Riporto di seguito una domanda rivolta da Rosaria Amato (giornalista del quotidiano La Repubblica) al ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili Enrico Giovannini; in particolare, al quesito “a preoccupare le imprese sui progetti del Pnrr e sugli appalti c’è invece l’allarme inflazione”, Giovannini risponde: “Rfi e Anas hanno rivisto i prezziari con aumenti del 20 per cento per le gare del 2022 che quindi partiranno con prezzi ragionevoli. Poi si valuteranno i prezzi di aggiudicazione. Per le gare del 2022 e 2023 abbiamo anche cambiato radicalmente i meccanismi di adeguamento ai costi dopo l’assegnazione dell’appalto, rendendoli molto più bilanciati e favorevoli alle imprese. L’Istat calcolerà nuovi indici semestrali per i costi dei materiali e ci siamo allineati alle pratiche di molti Paesi europei, restringendo dal 10 per cento al 5 per cento la franchigia a carico delle imprese mentre per aumenti superiori a tale soglia la stazione appaltante assorbirà l’80 per cento dell’aumento non più il 50 per cento”.
Giustamente, Rosaria Amato ha subito chiesto al ministro: “E come verranno coperti questi meccanismi di tutela delle imprese?”. La risposta di Giovannini è stata immediata: “Il Tesoro ha fatto sapere che man mano che le gare verranno aggiudicate, se ci saranno scostamenti, si stabilirà come coprirli”. Sono passati ormai quattro giorni dalla pubblicazione di questa intervista e non ho letto finora nessuna dichiarazione da parte dell’Ance e neppure da parte del ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco. L’Ance, quanto meno, avrebbe dovuto subito precisare più che al ministro Giovannini ai consiglieri del ministro, che hanno sicuramente informato in modo poco esatto il ministro, che la stazione appaltante non può a valle della gara assicurare delle aggiuntività finanziarie, delle coperture necessarie a contrastare forme inflattive, perché un simile atto renderebbe praticamente discrezionale la funzione della stazione appaltante e, soprattutto, toglierebbe alla gara, alla competizione tra i partecipanti, la capacità di considerare i possibili rischi da inflazione. Al tempo stesso, una simile genericità nella definizione del costo di un’opera renderebbe illeggibile il quadro delle disponibilità finanziarie assegnate dalla Unione europea e ubicate in modo dettagliato all’interno del Piano nazionale di ripresa e di resilienza.
La cosa più grave è che il ministero dell’Economia e delle Finanze non abbia fatto subito una precisazione, chiarendo che esiste una precisa distinzione tra una esplosione di alcuni prezzi essenzialmente legati ad alcune materie prime e le forme inflattive. Per la esplosione dei prezzi gli interventi dello Stato possono esistere per opere già in corso e sono relativi a specifiche voci del capitolato d’appalto, mentre la crescita inflattiva, al massimo, può essere considerata rivisitando, come già fatto, la franchigia a carico delle imprese. Tutto questo, quindi, non rientra in una banale disinformazione ma, a mio avviso, rischia di produrre automaticamente false e pericolose aspettative da parte delle imprese di costruzione e una altrettanto rischiosa esplosione di contenziosi presso le varie stazioni appaltanti.
Come sarebbe bello se davvero affrontassimo l’intero pacchetto delle opere inserite sia nel Pnrr che nel Programma complementare con un atteggiamento diverso, innanzi tutto disegnando le opere che rispondono in modo organico, come ho avuto modo di ribadire poche settimane fa, alle esigenze di un Paese che ha soglie di infrastrutturazione ancora bassissime, soglie che nel Mezzogiorno rischiano di diventare sempre più critiche ed irreversibili.
Oggi, esaminando tutte le reali assegnazioni, disponiamo di queste risorse: 191,5 miliardi del Pnrr, 30,6 miliardi del Programma complementare, 30 miliardi di risorse non spese del Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020 e 70 miliardi del Fondo di sviluppo e coesione 2021-2027. Siamo cioè in presenza di una potenziale disponibilità di circa 322,1 miliardi di euro. Ho voluto effettuare questa analisi delle disponibilità per chiarire anche quanto di questo quadro finanziario possa gravare sulle competenze del bilancio ordinario.
Da questa tabella si evince che dovremmo ricordare, ogni tanto a noi stessi, che le risorse provenienti dalla Unione europea e che non gravano sul nostro bilancio ordinario sono pari a 118,9 miliardi di euro e che invece gravano, sul bilancio dello Stato, 203,2 miliardi di euro. Questa corretta analisi ci porta a essere molto attenti nell’invocare un ulteriore impegno pubblico. Cerchiamo di rendere davvero operativo il programma, non cadendo in gratuite assicurazioni legate sulle coperture ed evitiamo di raccontare innovazioni procedurali impossibili, innovazioni utili per rispondere alla domanda di una cronista ma non per superare le reali emergenze che, sicuramente, nasceranno quando dalla fase degli appalti, dalla fase delle aggiudicazioni si passerà alla fase dell’avanzamento dei lavori.
Questo bagno di concretezza e, soprattutto, il convincimento che non sarà facile garantire nelle prossime Leggi di Stabilità una copertura annuale aggiuntiva, nei prossimi quattro anni, di circa 50 miliardi l’anno, ci porta alla obbligata esigenza di chiedere alla Unione europea, in occasione del previsto tagliando a cui il nostro Pnrr dovrà essere sottoposto nei primi mesi del 2023, due possibili variazioni:
– rinviare al 2029 le scadenze, in particolare seguire la stessa logica seguita per le scadenze del Fondo di sviluppo e coesione, cioè la cosiddetta clausola +3 (un respiro di tre anni alla soglia della scadenza attuale);
– utilizzare, come riferimento temporale, il raggiungimento di una soglia finanziaria concordata; cioè, a titolo di esempio, per l’asse ferroviario ad Alta velocità Salerno-Reggio Calabria fissare, come spesa realmente sostenuta al 31 dicembre 2026, l’importo di 1.800 milioni di euro e non la collaudazione di un lotto funzionale. In realtà, queste modifiche offrono la possibilità di ridimensionare, in modo sostanziale, le quote da ubicare all’interno delle Leggi di Stabilità: da 50 miliardi di euro passeremmo a 20-25 miliardi di euro.
Ritengo utile essere sin da ora attenti a questa possibile articolazione per evitare che, come avvenuto negli anni 2015, 2016, 2017, 2018, 2019 e 2020, la quota del 50 per cento di competenza dello Stato italiano del Fondo di sviluppo e coesione non venga inserita in modo completo all’interno delle Leggi di Stabilità; in tal modo, penalizzeremo ancora una volta il Mezzogiorno in quanto forniremmo le famose assicurazioni sulla percentualità delle assegnazioni ma non daremmo corso reale alla erogazione reale delle risorse.
Sono dell’avviso che non sarà facile rispettare i riferimenti finanziari stabiliti sui vari filoni dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel 2021 ed è per questo che ogni assicurazione al mondo delle costruzioni di possibili aggiuntività, di ulteriori ristori, riveste oggi la triste funzione di “temporanea e gratuita illusione mediatica”.
(*) Tratto dalle Stanze di Ercole
Aggiornato il 01 marzo 2022 alle ore 11:13