Ho raccolto alcune dichiarazioni rilasciate dal ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, rilasciate a valle dei rincari delle materie prime: “Il 2022 è un anno cruciale sotto tanti i punti di vista ma anche per una possibile revisione dei Piani di ripresa presentati da vari Paesi, alla luce di eventi eccezionali, uno dei quali è il forte aumento dei prezzi delle materie prime, che metterà sotto pressione gli enti appaltatori e che potrebbe richiedere, a livello europeo e nazionale, un aggiustamento dei Piani presentati l’anno scorso”. Il ministro ricorda, nelle sue varie dichiarazioni, che una possibile modifica è contemplata nell’articolo 21 del regolamento dell’Unione europea 2021/241 (Regolamento che supporta formalmente l’intero Next Generation Eu).
Ma entriamo nel merito di tale articolo e cerchiamo di interpretare quanto riportato da più giornali dalla portavoce comunitaria Veerle Nuyts su tale provvedimento: “Lo Stato membro sarebbe chiamato a dimostrare che non può più attuare parte del suo piano a causa di circostanze oggettive. Questo richiederebbe una rigorosa valutazione caso per caso da parte della Commissione insieme al Paese membro interessato”. E sempre il ministro Giovannini, ripeto, in più interviste rilasciate sempre in questi giorni ha precisato che “il Next Generation Eu già contiene un meccanismo automatico di revisione annuale delle risorse legato alla inflazione, con un tetto del 2 per cento. Inoltre, se ricorrono condizioni eccezionali, il Consiglio europeo può valutare entro il 2022 eventuali proposte di revisione dei Pnrr nazionali. Il fenomeno di cui parliamo – ha continuato sempre Giovannini – non riguarda solo l’Italia, perché l’aumento dei prezzi delle materie per le costruzioni, dal ferro all’acciaio al legno, è un fenomeno internazionale. Infine, per quanto riguarda l’Italia, accanto al Pnrr il Governo ha previsto un Piano complementare finanziato con risorse nazionali, oltre alle poste già previste nelle leggi di Bilancio per gli investimenti. In caso di necessità, quindi, ci sono i margini per valutare come intervenire. Al momento non ci sono ritardi (come dichiarato dal mondo delle costruzioni nella formulazione dei bandi), almeno per la parte di nostra competenza. Abbiamo messo in campo un meccanismo stretto di monitoraggio dell’attuazione del Piano e non sono emerse criticità evidenti. Posso anzi dire che, per esempio, sul piano di rigenerazione urbana per la qualità dell’abitare tutti i Comuni selezionati hanno confermato di essere in grado di realizzare gli interventi entro il 2026”.
Potrei continuare a elencare questa ricca documentazione mediatica del ministro ma ritengo più utile soffermarmi su alcuni punti. Da molti mesi (addirittura da luglio del 2021) i costruttori, attraverso l’Ance, avevano denunciato in modo dettagliato al Governo una grave e oggettiva emergenza: con l’andamento dei prezzi esploso, ribadisco, nel mese di luglio 2021, le gare per le opere incluse nel Pnrr rischiavano di andare deserte. Il Governo, rispondendo a tale esigenza, ha introdotto delle norme davvero inconsistenti; riporto solo a titolo di esempio due elementi della norma: una sulla consistenza dell’aumento percentuale dei prezzi e uno sulla certificazione degli aumenti. Sul primo elemento è stato previsto un adeguamento dei prezzi solo se i costi dei materiali oscillano oltre l’8 per cento. Sul secondo elemento l’adeguamento è demandato a un meccanismo di rilevamento del Ministero che si affida a tre “rilevatori” ufficiali: i provveditori, l’Unioncamere e l’Istat.
Un meccanismo ritenuto contorto dall’Ance, un meccanismo che è stato subito impugnato; infatti gli aumenti riconosciuti sono stati in media del 43 per cento più bassi dei costi reali sui cantieri, con punte anche del 66 per cento per il legname. Ho volutamente richiamato la data in cui l’Ance ha sollevato la tragica esplosione dei prezzi perché eravamo nel mese di luglio, quindi il Governo avrebbe potuto inserire nel disegno di legge di Stabilità 2022 un apposito Fondo finalizzato al ripristino delle disponibilità finanziare dell’intero Pnrr, senza in tal modo invocare una rivisitazione del Pnrr approvato in sede comunitaria. Infatti è difficile, anche se previsto nel richiamato articolo 21 del Regolamento Ue 2021/241, modificare il Pnrr approvato. Inoltre, è davvero preoccupante che il Governo e il Parlamento abbiano varato una norma con una soglia di adeguamento dell’8 per cento, quando siamo in presenza di dati oggettivi che parlano di valori superiori al 40-60 per cento.
Veniamo ora al rischio di un Piano B, di un Piano da disegnare in un momento in cui non è ancora partito nulla e siamo solo in fase “pre-progettuale”, siamo ancora nella fase ricca di anticipazioni di cronoprogrammi e di coinvolgimento degli Enti locali attraverso lo strumento del dibattito pubblico e, purtroppo, siamo ancora nella sistematica assicurazione di “percentuali” sempre in crescita per gli interventi nel Mezzogiorno (ricordo che l’altalena passa da un minimo del 40 per cento a un massimo del 70 per cento). Ebbene, in questa entusiasmante fase che dura, come ho detto pochi giorni fa, da oltre 19 mesi, l’ipotesi di dover pensare a un Piano B produce automaticamente un ulteriore spostamento di tutte le previsioni temporali e quasi giustifica l’approccio, davvero preoccupante, seguito proprio in questi lunghi 19 mesi. Sicuramente il presidente Mario Draghi non credo sia informato di una ipotesi di rivisitazione di un Pnrr ancora, almeno per il comparto delle infrastrutture, solo nella fase di impostazione, cioè una rivisitazione di una pregevole sommatoria di proposte già disponibili sin dalla legge Obiettivo e rimasta ferma dal 2015 a oggi.
Come avverrà questa possibile redazione di un Piano B? Intanto, ricordo che nel luglio 2021 le Commissioni competenti del Parlamento avevano approvato il Contratto di programma di Rete ferroviaria italiana, un documento che era rimasto bloccato presso le Commissioni per quasi quattro anni. E, sempre in tale contratto, era anche stato ipotizzato il ricorso a un Piano B in caso di mancato avvio o di ritardi generati da eventi non prevedibili. Ora entriamo nel merito ed esaminiamo le possibili logiche con cui si darà corso a una revisione; diventa quasi automatico pensare che si cercherà, in tutti i modi, di difendere le proposte inserite nel Pnrr già supportate da progettazione esecutiva, già supportate dai vari provvedimenti autorizzativi. Questa scelta obbligata produrrà automaticamente un ulteriore ridimensionamento delle risorse destinate al Mezzogiorno e quindi rimarranno, almeno per le risorse nel comparto ferroviario, solo l’importo di 1,8 miliardi di euro per il primo lotto dell’asse ferroviario (Alta velocità) Salerno-Reggio Calabria (tratto Salerno-Romagnano), un lotto dell’asse ferroviario (Alta velocità) Napoli-Bari per l’importo di 1,2 miliardi di euro e un lotto dell’asse ferroviario Catania-Messina per l’importo di 1,3 miliardi di euro. Spero di sbagliarmi ma al Sud una ipotesi di Piano B conterrebbe solo una voce di appena 5 miliardi di euro. Senza dubbio, assicureranno la ministra Mara Carfagna che si terrà conto di questa temporanea rivisitazione dell’attuale Recovery Plan e del Programma complementare nel tagliando che i vari Paesi della Unione Europea effettueranno nel 2023. Non credo che la ministra Carfagna potrebbe accettare una simile assicurazione. La mia preoccupazione, la mia previsione, sicuramente poco condivisa, nasce dalla seguente banale constatazione: per quale motivo non si sia deciso di utilizzare le risorse del Capitolo 8000 della Ragioneria generale dello Stato relativo ai Fondi di sviluppo e coesione comunitari. In particolare, il dato relativo alle risorse residue del Programma comunitario 2014-2020 del Fondo di coesione e Sviluppo, un Programma di circa 54 miliardi di euro, è pari a oltre 30 miliardi di euro. Queste risorse vanno spese entro e non oltre il 31 dicembre del 2023.
In realtà, il ministero dell’Economia e delle Finanze sa benissimo che è un obiettivo quasi impossibile e infatti ha programmato una limitata disponibilità di cassa, cioè le previsioni reali di spesa sono 2,9 miliardi nel 2021, 3 miliardi nel 2022 e meno di un miliardo nel 2023. L’Unione europea ha già dato piena disponibilità a modificare le previsioni programmatiche di tale importo e, quindi, penso che l’utilizzo di tali risorse per superare l’emergenza dei prezzi avrebbe quanto meno assicurato due cose: non avrebbe consentito a nessun membro del Governo di ipotizzare una rivisitazione del Pnrr e, al tempo stesso, non avrebbe in nessun modo fatto scattare l’allarme di un possibile utilizzo di risorse destinate in questa fase a progetti solo “immaginati” come quelli del nostro Mezzogiorno. Una immaginazione necessaria per giustificare le varie previsioni realizzative. Insisto: spero che questo acceso effetto mediatico sia uno degli ormai sistematici comportamenti utilizzati dal ministro Giovannini per dimostrare che, anche se finora non è stato aperto nessun cantiere, si sta facendo di tutto per dimostrare la buona volontà di fare; la buona volontà di fare non credo sia sufficiente all’Unione europea, ma soprattutto non credo che tranquillizzi il presidente Draghi.
(*) Tratto dalle Stanze di Ercole
Aggiornato il 21 febbraio 2022 alle ore 09:41