È passato il mese di luglio del 2020; è passato il mese di agosto del 2020; è passato il mese di settembre del 2020; è passato il mese di ottobre del 2020; è passato il mese di novembre del 2020; è passato il mese di dicembre del 2020; è passato il mese di gennaio del 2021; è passato il mese di febbraio del 2021; è passato il mese di marzo del 2021; è passato il mese di aprile del 2021; è passato il mese di maggio del 2021; è passato il mese di giugno del 2021; è passato il mese di luglio del 2021; è passato il mese di agosto del 2021; è passato il mese di settembre del 2020; è passato il mese di ottobre del 2021; è passato il mese di novembre del 2021; è passato il mese di dicembre del 2021; è passato il mese di gennaio del 2022; sta passando il mese di febbraio del 2022.
Ho voluto scriverli tutti e i mesi che sono passati dalla data del 13 luglio del 2020 in cui conoscemmo il quadro di risorse che rendevano possibile l’attuazione di un Piano nazionale di ripresa e di resilienza; li ho voluti scrivere dettagliatamente tutti, perché sono passati senza che si riuscisse a spendere nulla (o forse pochissimo) di quell’enorme volano di risorse che la Unione europea ci aveva in vari modi (a fondo perduto o in prestito) assicurato. In realtà, purtroppo, disponiamo ormai di una chiara diagnosi che, in modo inequivocabile, ci dice che il nostro Paese, la nostra Pubblica amministrazione, da almeno sette anni, ha praticamente dimenticato come “spendere le risorse”, come aprire i cantieri, come dare corrispondenza operativa tra intuizione ed attuazione.
Molti, leggendo questa mia denuncia, diranno “ma nei prossimi mesi, addirittura nei prossimi giorni partirà tutto”, ma guardando ai mesi che si sono susseguiti dal 13 luglio del 2020 a oggi scopriamo che la frase “ma nei prossimi mesi, nei prossimi giorni partirà tutto” rimane solo una promessa inevasa. A tale proposito, ritengo utile ricordare che l’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il 13 luglio 2020, tornando dalla riunione dei presidenti della Ue in cui si era praticamente approvato il Pnrr rilasciò apposito comunicato in cui veniva precisato che “entro l’anno (cioè entro il 2020) avremmo ottenuto una prima tranche di 20 miliardi di euro, una tranche che ci avrebbe consentito di aprire i primi cantieri”.
Ora, a mio avviso, prendono corpo due sostanziali preoccupazioni:
– un Paese che ha dato prova di grande efficienza progettuale e realizzativa, costruendo in un anno e mezzo il viadotto di Genova, dimostrando di essere in grado di dare un misurabile esempio proprio nel comparto delle costruzioni, rimane, invece, inerme di fronte a una operazione organica che coinvolge direttamente ed indirettamente tanti soggetti attuatori;
– e partito, invece, il Superbonus, un’agevolazione prevista dal decreto legge “Rilancio” che eleva al 110 per cento l’aliquota di detrazione delle spese sostenute dal primo luglio 2020 al 30 giugno 2022 (poi prorogato al 2023), per specifici interventi in ambito di efficienza energetica, di interventi antisismici, di installazione di impianti fotovoltaici o delle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici.
Ho preso come esempio questi due casi perché rappresentano, almeno nel comparto delle costruzioni, dei veri paradossi. Il primo, infatti, denuncia una capacità a fare tale da, grazie ad un apposito decreto legge (130/2018):
– affidare un’opera del costo di 327 milioni di euro (tra demolizione del vecchio viadotto e costruzione del nuovo) in soli 40 giorni;
– progettare il nuovo viadotto lungo più di un chilometro entro un arco temporale davvero inimmaginabile (60-90 giorni);
– collaudare l’opera nel mese di giugno del 2020;
– inaugurare l’opera il 3 agosto 2020.
Tutto questo è stato possibile grazie a un decreto che ha praticamente messo da parte il vergognoso Codice degli Appalti (prodotto nel 2016) e ha ridimensionato i vincoli procedurali posti da strumenti come la Verifica di impatto ambientale. In realtà, quello che poi abbiamo chiamato “modello Genova” ha funzionato grazie a un provvedimento legislativo che sulla base di una chiara volontà dello Stato e del Parlamento ha annullato la serie di inerzie che caratterizzano il comparto delle costruzioni ed al tempo stesso è emerso un chiaro e forte segnale: quando si vuole davvero è possibile dare concretezza alle scelte programmatiche. Invece dal 2015 in poi, ripeto escluso il caso Genova, questa volontà è mancata.
Il secondo caso, quello del Superbonus, è ancora più sconcertante, siamo cioè in presenza di un provvedimento che è nato da una intuizione esterna a qualsiasi strategia programmatica e ha avuto grande successo coinvolgendo, in modo capillare, tutti gli operatori piccoli e medi del comparto delle costruzioni, facendo, in parte, ripartire un settore che nei sei anni precedenti aveva perso oltre 120mila imprese e 600mila occupati del comparto edile.
In realtà, un provvedimento che pochi pensavano potesse ottenere un successo così rilevante e che, visto l’arco di tempo limitato in cui dare corso alle operazioni, non sarebbe stato in grado di coinvolgere tante imprese. Invece, questo provvedimento è stato praticamente l’unico che, come dicevo prima, fuori da ogni atto programmatico, fuori da ogni liturgia ricca di riforme e di provvedimenti diffusi sul territorio, ha ridato, anche se solo temporaneamente, vita al settore.
Ma questi due casi, uno che denuncia la enorme capacità a fare, l’altro la casualità che riaccende le convenienze nel settore delle costruzioni, amplificano ulteriormente la meraviglia che stiamo provando nell’assistere alla mancata capacità di attivare la spesa, alla assenza di Stati di avanzamento lavori (Sal), alla completa atarassia dei soggetti attuatori a livello centrale che locale. E le risorse sono tante; lo ricordo perché è utile non dimenticarlo: 209 miliardi di Pnrr (da spendere entro il 2026), 30 miliardi di Programma complementare, 30 miliardi di Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 (da spendere entro il 2023), 75 miliardi di Fondo sviluppo e coesione 2021-2027 (da spendere entro il 2027); cioè una disponibilità globale di 44 miliardi di euro da “spendere” entro i prossimi cinque anni.
Insisto nel ricordare che di questi 344 miliardi di euro la componente legata alle opere edili (reti stradali e ferroviarie, edilizia scolastica, edilizia sanitaria, dighe, porti, rigenerazione urbana, riqualificazione ambientale) supera i 210 miliardi di euro. Finora, escluso il valore di spese pregresse relative ad opere attivate addirittura nel 2014 con la legge Obiettivo per un valore di 2,4 miliardi di euro, non riesco a trovare altro ed anche quelle che saranno rendicontate nel 2022 per un valore globale di circa 1,7 miliardi di euro sono relative a opere approvate, avviate a realizzazione e coperte sempre dalla legge Obiettivo sin dal 2014. E allora non resta che confermare che siamo purtroppo in presenza di una tragica patologia del sistema Paese; un sistema che, essendo caduto in un letargo quasi irreversibile, non riesce più a risvegliarsi.
Non per amplificare le preoccupazioni ma, per capire la dimensione della distanza tra quanto l’Unione europea aveva definito in termini di dettaglio programmatico e di attivazione delle risorse, riporto il quadro dettagliato delle erogazioni. Penso sia utile soffermarsi su un dato: entro la fine del 2022 dovremmo aver speso circa 70 miliardi di euro. Non dico nulla, gradirei però che non dicessero nulla tutti coloro che, con un ritmo giornaliero, ci raccontano, specialmente nel comparto delle infrastrutture, evoluzioni positive e intuizioni programmatiche che, come dicevo all’inizio, da 18 mesi non producono risultati, non attivano la spesa.
(*) Tratto dalle Stanze di Ercole
Aggiornato il 14 febbraio 2022 alle ore 10:42