La crescita dimensionale delle banche italiane, conseguenza dell’abbandono della specializzazione bancaria, (netta separazione tra il credito a breve da quello a medio e lungo termine) favorita dalla cosiddetta “moral suasion” da parte della Banca d’Italia, ha ridotto e continua a ridurre le aziende di credito che operano nel mercato del credito italiano. Le banche, autorizzate dalla Banca d’Italia alla raccolta del risparmio e all’esercizio del credito, sono oggi tutte simili sul piano giuridico e possono operare a tutto campo, senza limitazioni per quanto riguarda le operazioni di finanziamento e i servizi complementari e collaterali all’attività creditizia. Le acquisizioni ed integrazioni bancarie sono state ulteriormente favorite dalla perdita di valore delle azioni (capitalizzazione di borsa) delle nostre banche quotate nei mercati finanziari regolamentati (borsa valori). È convinzione comune, nel mondo delle istituzioni economico-finanziarie, che le banche di maggiori dimensioni, rispetto a quelle piccole e medie, siano in grado di meglio contrastare gli effetti negativi delle crisi economiche cicliche dei sistemi economici capitalisti, crisi che inevitabilmente incrementano gli Npl (Non Performing Loans) ovvero i crediti bancari in sofferenza. È, inoltre, universalmente riconosciuto dagli operatori finanziari qualificati che le banche di grandi dimensioni siano nelle condizioni oggettive di meglio attuare, in linea teorica, quei principi base di una sana e corretta gestione dei rischi legati agli impieghi quali:
- la ripartizione finanziaria dei rischi;
- la ripartizione economica dei rischi;
- la ripartizione geografica dei rischi.
La ripartizione finanziaria dei rischi bancari si concretizza limitando, alla stessa impresa o allo stesso gruppo societario, i finanziamenti. In sostanza è buona norma contenere gli importi dei finanziamenti erogandoli al maggior numero possibile di imprese. L’eventuale incapacità di restituire i finanziamenti da parte di alcune imprese è compensata da quelle che onorano gli impegni assunti. La ripartizione economica dei rischi si riferisce alla buona pratica bancaria di finanziare, nei limiti del possibile, tutti i settori economici sempre al fine di contenere gli effettivi negativi di comparti economici in difficoltà. La ripartizione geografica dei rischi è attuabile solo da quelle banche che hanno una presenza su tutto il territorio nazionale ed europeo, quelle che nel gergo tecnico sono considerate banche sistemiche. La distribuzione geografica dei rischi persegue i medesimi obiettivi di quelli finanziari ed economici. Più complicata per le aziende di credito la ripartizione economica dei rischi per il fatto che il nostro tessuto produttivo si caratterizza per la presenza dei cosiddetti distretti industriali, ovvero intere aree del Paese in cui le imprese operano nella medesima filiera produttiva. I distretti industriali sono un unicum nei paesi economicamente avanzati e sono considerati il fattore di successo del nostro apparato produttivo. Alcuni effetti positivi derivanti dalla concentrazione delle banche sono generati da sinergie quali:
- l’ottimizzazione dei costi di gestione con particolare riferimento alla significativa riduzione del costo del lavoro (i costi del personale sono quelli che maggiormente incidono sul conto economico);
- la riduzione degli sportelli bancari;
- l’esubero del personale con conseguente incentivazione ai pensionamenti.
Gli effetti negativi della eccessiva concentrazione bancaria sono certamente individuabili nella minore concorrenza tra aziende di credito (oligopolio) a danno di imprese e famiglie. L’Italia è il Paese dove il costo dei servizi bancari è tra i più alti del mondo occidentale. La riduzione degli sportelli bancari danneggia gli utenti dei piccoli comuni dove si è maggiormente concentrata la chiusura di filiali. Le banche di maggiori dimensioni si affidano per la valutazione del merito del credito a sistemi esperti. In sostanza, la decisione se finanziare o meno un impresa è affidata a metodi standardizzati: algoritmi elaborati per imprese di medie e grandi dimensioni e soprattutto fortemente capitalizzate. La struttura produttiva del nostro Paese si basa su micro, piccole e medie imprese che storicamente sono sempre state sottocapitalizzate e dipendenti dai finanziamenti bancari. La fragile struttura patrimoniale delle nostre piccole aziende pregiudica l’accesso al credito quando il merito creditizio è affidato ad un algoritmo. Le banche del territorio e i loro funzionari un tempo avevano conoscenza diretta delle imprese e degli imprenditori locali ed erano in grado di assistere i clienti utilizzando parametri di valutazione più soggettivi e più compatibili con il tessuto economico. Ciò nonostante, siamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa, dopo la Germania, e tra i primi dieci del mondo. I nostri piccoli imprenditori hanno una spiccata vocazione all’esportazione e contribuiscono allo straordinario successo del made in Italy e all’attivo della nostra bilancia commerciale. Non sempre “grande” è bello.
Aggiornato il 27 gennaio 2022 alle ore 12:18