Il primo gennaio del 2002 entrava in vigore, per la maggioranza dei Paesi membri della Unione europea, la moneta unica. L’euro, durante questo primo ventennio di esistenza, ha già attraversato più di una vicissitudine. La più importante e impegnativa è stata senz’altro la crisi economica globale esplosa nel 2008 e seguita poi dal cortocircuito delle finanze pubbliche di alcuni membri Ue, fra i quali l’Italia. In quel frangente storico sembrò davvero che dovesse venire giù tutto da un momento all’altro, quindi sia l’impalcatura istituzionale della Unione che la valuta comune europea. All’epoca, l’euro era ancora una moneta giovane, ma in tanti si spingevano a prefigurarne una morte prematura. Tuttavia, la cosiddetta euro zona è riuscita poi a guadare il fiume dei vari shock economici e finanziari senza lasciare annegare il pargolo nato nel 2002 e oggi ne ricordiamo il ventesimo anno di vita.
Ma una larghissima parte del Vecchio Continente non se la sente di festeggiare in maniera gioiosa e appagata. Proprio la crisi economica mondiale ha rivelato come in Europa vi siano Paesi con il ruolo da attori protagonisti e altri, anche se fondatori della Comunità come, per esempio, l’Italia, destinati invece a fare da comparsa o animare la claque. Non a caso, i primi hanno superato lo tsunami finanziario molto meglio rispetto ai secondi, e talvolta a loro discapito. La narrazione ufficiale dell’europeismo acritico può indorare la pillola quanto vuole, ma la diminuzione del potere d’acquisto reale, che è peraltro l’indicatore più attendibile per stabilire il benessere o il malessere di una determinata comunità, è un fatto che più categorie sociali e più aree del Continente hanno concretamente percepito dall’avvento dell’euro a oggi. Si tratta della vita di tutti i giorni e non di pregiudizi ideologici euroscettici. Chi non tollera dubbi verso lo status-quo europeo, in particolare per quanto riguarda il nostro Paese tende a dare le colpe maggiori, per l’impoverimento generale degli ultimi vent’anni ai governi nazionali succedutisi nel tempo.
Certo, la classe dirigente italiana, purtroppo anche di centrodestra, in tante circostanze si è dimostrata inconcludente, ma un certo abbassamento del tenore di vita comportato dalla moneta unica è stato registrato anche in quelle nazioni europee governate un po’ meglio rispetto all’Italia. Tutto questo, persino in un Paese di serie A come la Germania, altrimenti non si spiegherebbe l’avanzata elettorale degli euroscettici di Afd. La Germania, ricordiamolo, insieme a pochi altri membri Ue del Nord Europa, non ha patito le medesime sofferenze di Italia, Spagna, Grecia e altri.
Sempre circa il caso italiano, si dice che l’euro abbia protetto la Penisola da un sicuro default e da aggressioni esterne alla lira inimmaginabili. Manca però la controprova e per il momento vi è una sola certezza, incontrovertibile, e cioè che l’italiano medio guadagnava e spendeva meglio prima del fatidico 2002. Questo sarà pure un giudizio terra-terra, ma a volte le considerazioni più semplici sono quelle che meglio descrivono la realtà. L’euro ha forse garantito finora una sorta di stabilità, ma si è trattato e si tratta di un immobilismo quasi mortifero, privo di slancio e crescita economica. Infatti, l’Europa cresce di solito a velocità più contenute se paragonata alle altre aree macroeconomiche del mondo.
La moneta unica europea ha altresì il limite di non avere dietro di sé uno Stato vero e proprio. Alcuni membri Ue (Svezia, Danimarca e i Paesi dell’Est), utilizzano tuttora le loro rispettive valute nazionali e non sembrano impazienti di abbracciare l’euro. La zona euro è piena di fragilità e fare finta di nulla significa anzitutto non voler bene al Continente in cui viviamo.
Aggiornato il 07 gennaio 2022 alle ore 11:29