Si torna a parlare di Monte dei Paschi di Siena. L’Unione europea impone giustamente al Governo italiano di uscire dalla gestione e dalla partecipazione all’istituto di credito attraverso Cassa depositi e prestiti, poiché questo, configurandosi a tutti gli effetti come aiuto di Stato, viola il principio della libera concorrenza. A questo punto, si fa avanti Unicredit, che per bocca dell’amministratore delegato, Andrea Orcel, fa sapere di essere intenzionata all’acquisto delle quote di Monte dei Paschi, ma solo di quelle capaci di realizzare profitti. Ciò significa che i “cocci”, i cosiddetti “crediti malati”, resteranno al Tesoro, che ha avuto il grande torto di salvare più volte questa banca dal fallimento, arrivando a detenere il sessantaquattro percento delle azioni: praticamente una banca di Stato. Si fa largo l’ipotesi di affidare la parte più debole di Monte dei Paschi a Microcredito centrale, un’altra partecipata pubblica presente in particolar modo nel sud Italia. Insomma, in un caso o nell’altro, sempre lo Stato c’è di mezzo. Questo “scherzetto”, si stima, finirà per costare ai contribuenti italiani qualcosa come dieci miliardi di euro.
In molti criticano Unicredit per aver imposto condizioni “draconiane” per l’acquisto delle azioni di Monte dei Paschi: alcuni parlano addirittura di “privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite”. Quanta ipocrisia. Cosa si aspettavano, esattamente? Che Unicredit si facesse carico anche dei dissesti finanziari provocati da decenni di gestione pubblica e dissennata? Nel caso non l’avessero capito, Unicredit non è un ente di beneficienza e – come tutte le aziende – ha a cuore unicamente la realizzazione di una maggior quota possibile di utili al minor sacrificio. Questo per un motivo molto semplice: perché è un istituto privato. Il che implica fare attenzione e ponderare bene le proprie scelte, a differenza delle banche partecipate, che invece possono permettersi di sperperare denaro, di indebitarsi e di rischiare senza paura, proprio perché garantite dallo Stato o, per meglio dire, dai contribuenti che lo Stato costringe a finanziare un istituto di credito per il quale non hanno alcun interesse.
In secondo luogo, c’è da chiedersi per quale motivo le quote “malate” debbano restare in mano allo Stato, facendo in modo che gli italiani continuino a sobbarcarsi una spesa inutile e improduttiva: nel caso a nessuno fosse venuto in mente, si deve cercare un compratore spregiudicato, uno che sia disposto a correre il rischio: si trovano eccome, se non ci si mette a fare gli schizzinosi e se si è disposti ad accettare condizioni “a ribasso”, tra cui anche il prezzo stracciato delle quote (che ovviamente non possono avere chissà quale valore). Altro che svendita o “spezzatini”: sarà già tanto se qualcuno sarà disposto a comprare, considerando la situazione disastrosa di Monte dei Paschi. Naturalmente, lo Stato dovrebbe avere la decenza di restituire ai contribuenti italiani tutti i soldi che ha sottratto loro negli anni per tenere in piedi questo inutile carrozzone: ma mi rendo conto si tratti quasi di un’utopia.
In ogni caso, potrebbero andare persi seimila posti di lavoro: personale in esubero. Dinanzi a questa prospettiva insorgono i sindacati, che chiedono al Governo di intervenire per evitare tale emorragia e per impedire la svendita delle quote della banca. Forse, ai sindacati è sfuggito un passaggio fondamentale: è proprio per gli interventi governativi che siamo in questa situazione e che Monte dei Paschi si trova in difficoltà. Perché si tratta di un istituto che avrebbe dovuto fallire da molto tempo e che, invece, è stato tenuto in piedi fuori mercato dai contributi e dalla partecipazione pubblica, nonostante non avesse alcuna utilità che non fosse quella di procacciare voti e denari per il Partito democratico. Ma la cosa che colpisce maggiormente è l’unanimità di voci che si levano dal mondo della politica: nessuno che abbia avuto il coraggio di dire le cose come stanno. Tutti che sollecitano l’intervento dello Stato per tenere in piedi un “votificio” della sinistra travestito da banca, per evitare licenziamenti e per mercanteggiare sul prezzo di vendita delle azioni.
Non sorprende che tale richiesta venga dal Partito democratico, così come da Italia viva e dalla sinistra radicale: a loro conviene, sia in termini elettorali che finanziari, dal momento che molti dei soldi che girano nei comitati e nei direttivi dei partiti di sinistra vengono da quelle parti. A lasciare ancora una volta interdetti è l’atteggiamento della destra, che in questo Paese non fa il suo lavoro e troppo spesso preferisce unirsi al coro degli statalisti. A questo proposito, Matteo Salvini ha dichiarato che la Lega ha quattro obbiettivi: primo, la difesa dei posti di lavoro a rischio; secondo, la difesa delle filiali che verranno chiuse; terzo, la difesa di questa “banca storica”, la più antica del mondo; quarto, la creazione di un “terzo polo” bancario (con la regia dello Stato), avvicinando Monte dei Paschi agli altri istituti locali, al fine di dare vita a una Banca dei Territori, lasciando a Intesa e Unicredit il ruolo di grandi player.
Forza Italia resta in silenzio: atteggiamento giusto che la politica dovrebbe tenere quando si tratta di dinamiche di mercato, di economia e di finanza, materie dalle quali è bene che lo Stato resti fuori il più possibile. Mentre Fratelli d’Italia, per bocca del deputato toscano Giovanni Donzelli, sollecita una discussione parlamentare sul caso Monte dei Paschi per trovare una soluzione, accusando il Partito democratico di aver distrutto una banca e un territorio per i suoi interessi. Le proposte di Salvini sono irricevibili. Primo, in virtù di un fondamentale principio economico, nessun’azienda assume più di quanto sia necessario per soddisfare la domanda di mercato. I licenziamenti sono una parte dell’adeguamento dell’offerta alla domanda: quando quest’ultima diminuisce è ovvio che debba diminuire anche l’offerta e con essa il personale necessario per generarla. Gli esuberi sono possibili solo nelle aziende pubbliche o partecipate dallo Stato, dove ci si può permettere di non tener conto dei meccanismi di mercato perché tanto sono altri a pagare.
Per salvare quei posti di lavoro, l’unico modo è perpetuare i sostegni pubblici: la spirito giusto per la tassa orizzontale al quindici percento, insomma. Secondo, non ha senso tenere aperte filiali se non ci sono più clienti o se la necessità di fare economia impone all’istituto di risparmiare in qualche modo. Terzo, il fatto che Monte dei Paschi sia la banca più antica d’Italia e del mondo non è una ragione valida per sottoporla a una sorta di speciale regime “protezionistico”, rendendola così immune dalla dinamiche di mercato. Quarto, fa rabbrividire l’idea di mettere assieme una serie di banche fallite o sull’orlo del fallimento, tenute in piedi dai contributi pubblici, per farne un gruppo cui dovrebbero rivolgersi i piccoli risparmiatori e correntisti locali: come affidare le pecore al lupo, insomma. I piccoli risparmiatori non sono idioti e continueranno a preferire e ad avere maggior fiducia nelle banche più solide e grandi, che continueranno a essere premiate dalla domanda. Per cui, il “terzo polo bancario” finirà quasi sicuramente per trasformarsi in un cartello di banche statali, tenute in piedi “contro-mercato” e più che altro per interessi politico-elettorali. Quanto alla proposta di Fratelli d’Italia, non c’è molto da discutere in Parlamento: o si vende la “baracca” a chi la vuole e ci liberiamo di questo fardello, oppure la lasciamo fallire.
Quello di cui si dovrebbe seriamente discutere in sede legislativa è come difendere i contribuenti dalle incursioni fiscali ai loro danni per soddisfare bisogni e interessi di parte, come in questo caso. In secondo luogo, a distruggere Monte dei Paschi e il territorio non è stato il Partito democratico, se non indirettamente, ma l’intervento dello Stato in un ambito che non è di sua competenza e che non ha la capacità di gestire: quello economico-finanziario, che segue dinamiche del tutto diverse ed estranee da quelle proprie della politica. L’economia ha le sue ragioni che la politica non comprende. La vicenda Monte dei Paschi dimostra che l’intervento pubblico in economia non può che fare male. È controproducente tenere in piedi un’attività che non è in grado di stare sul mercato. Anzi, l’aiuto pubblico serve solo a peggiorare la situazione, in quanto disincentiva l’azienda a rinnovarsi o a economizzare nel tentativo di salvarsi: comunque fallirà non appena i contributi pubblici verranno interrotti (cosa che, prima o poi, deve verificarsi). Le banche non fanno eccezione: se sono in crisi è bene che vengano lasciate fallire.
Aggiornato il 04 agosto 2021 alle ore 12:09