Transizione ecologica e i trade-off che non si possono ignorare

Da alcuni giorni, il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è sotto attacco. Le sue interviste suscitano le proteste delle frange più ideologiche della maggioranza, il Parlamento gli manda colpi di avvertimento facendo approvando emendamenti al Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) nonostante il parere negativo del Governo, i giornali raccolgono le confidenze dei parlamentari sempre più insofferenti nei suoi confronti. Ma qual è la sua colpa? Semplicemente guardare con realismo al Piano europeo per tagliare le emissioni del 55 per cento entro il 2030.

Fin dal suo insediamento Cingolani ha detto chiaro e tondo che quella del clima è una sfida a cui l’Italia, l’Europa e il mondo non possono sottrarsi. Tuttavia, non ha ceduto alla retorica secondo cui la decarbonizzazione è tutta rose e fiori: anzi, ha giustamente enfatizzato le difficoltà e anche i velleitarismi sottesi all’atteggiamento di Bruxelles.

Le difficoltà: trasformare, in un periodo ridotto di tempo, i sistemi energetici che sono alla base della nostra economia implica vincolarsi a un cambiamento epocale, che non può avvenire senza costi e senza conseguenze. I velleitarismi: l’Unione europea pesa per meno del 10 per cento delle emissioni globali. Come europei, abbiamo naturalmente una responsabilità storica nei confronti del resto del mondo, visto che gran parte delle emissioni passate sono dovute all’Europa e al Nord America. Ma, contemporaneamente, sarebbe ingenuo ignorare il fatto che gran parte delle emissioni future arriveranno da altrove, da Paesi molto più poveri che giustamente rivendicano il proprio diritto a svilupparsi.

D’altra parte, se fosse vero che tutto è facile, che le fonti rinnovabili sono già più che competitive, che in fondo basta lasciare che le cose facciano il loro corso naturale, allora non avremmo bisogno di alcun piano per la riduzione delle emissioni: perché, appunto, sarebbero le forze del mercato a farsene carico, senza bisogno di alcuna spinta. Senza la necessità di sussidiare le tecnologie verdi e di tassare quelle inquinanti. Purtroppo, così non è, e fa bene Cingolani a ricordarlo: ci sono ottime ragioni perché l’Europa adotti obiettivi climatici ambiziosi, ma bisogna essere consapevoli che questo comporta sacrifici economici – particolarmente gravosi in un momento come l’attuale – e che non tutto ciò che appare verde è anche ambientalmente ed economicamente razionale.

Per esempio, se il clima è – come deve essere – la priorità della politica europea, allora è davvero incomprensibile l’ostracismo verso tecnologie più o meno mature (come il nucleare e la cattura della Co2) che possono dare un importante contributo al taglio delle emissioni.

Chi si rifiuta anche solo di prenderle in considerazione tradisce di avere un obiettivo che è ambientale solo a parole: ma che, in realtà, riguarda una trasformazione sociale e politica. Un conto, infatti, è dire che il mercato da solo non può perseguire obiettivi radicali di decarbonizzazione da qui a pochi anni, e va pertanto sostenuto attraverso un uso intelligente della politica fiscale e della regolamentazione (per esempio attraverso forme di carbon pricing). Altra cosa è usare la scusa del clima per affossare le dinamiche del mercato e sostituirle con ambizioni pianificatorie che non hanno mai funzionato e non funzioneranno neanche questa volta.

Per tutte queste ragioni, è un bene che un uomo come Cingolani – convinto degli obiettivi, pragmatico e consapevole dei tanti trade-off che dobbiamo affrontare – abbia oggi la responsabilità della Transizione ecologica. Negare le difficoltà non è una opzione: l’unico modo di raggiungere l’obiettivo è prendere sul serio la sfida che abbiamo davanti e tenere conto di tutte le sue implicazioni, soprattutto quelle spiacevoli.

Aggiornato il 22 luglio 2021 alle ore 09:32