Il Pil cinese, la nostra incapacità strategica e dell’Ue

La Cina è un Paese comunista, caratterizzato da un regime totalitario. È un Paese che sottovaluta in modo sostanziale i diritti dei lavoratori non assicurando adeguate forme assicurative, specialmente in termini di previdenza sociale. È un Paese che, approfittando del basso costo del lavoro, vince, in termini di concorrenza, su tutti i mercati internazionali. Queste sintetiche e oggettive caratteristiche, quindi, testimoniano ampiamente le negatività di un popolo che fra pochi anni (forse solo uno) sarà la prima potenza economica del pianeta.

C’è da chiedersi però dove era l’Unione europea e il nostro Paese quando nel 2008 la Cina nell’arco di soli tre anni decise di creare un collegamento ferroviario Pechino-Amburgo, un asse alternativo al collegamento via mare tra il sistema asiatico e quello europeo. Dove erano l’Unione europea ed il nostro Paese quando la Cina decideva e costruiva le condizioni per rendere operativi impianti portuali di suo interesse all’interno del bacino del Mediterraneo. Dove erano l’Unione europea e il nostro Paese quando la Cina decideva di realizzare un porto a Mombasa, di costruire un asse autostradale Mombasa-Lagos per evitare del tutto il teatro economico e logistico del Mediterraneo e ciò soprattutto per evitare danni causati da possibili crisi dei Paesi dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente. Dove era l’Unione europea quando la Cina poneva seri dazi sul costo della movimentazione dei container; in realtà non c’era l’Unione europea ma c’erano e ci sono gli accordi bilaterali con i singoli Paesi della Unione europea che rendevano e rendono più forte la Cina.

Questi sono solo alcuni esempi della capacità strategica internazionale della Cina nel campo della logistica ma, a mio avviso, fanno paura ancora di più una serie di macrodati su alcune crescite interne: un Paese che in trenta anni è cresciuto in modo inimmaginabile, un Paese che ha creato condizioni chiave nella logistica, un Paese che ha raggiunto e forse sta superando l’economia Usa, un Paese che ha diversificato le proprie strategie soprattutto negli ultimi venti anni, un Paese che ha raggiunto al suo interno, e questi dati fanno davvero paura, livelli nel comparto dei servizi che denunciano un gap con il resto del mondo ormai insuperabile.

In proposito penso siano davvero preoccupanti due macrodati: uno relativo al numero di chilometri di reti metropolitane e uno relativo al numero di chilometri di reti ferroviarie ad alta velocità; due macrodati comparati con quelli di altri Paesi avanzati dell’intero pianeta di seguito riportati.

Ed è inutile e gratuito rispondere di fronte a questi dati che in Cina ci sono 1.400.000.000 abitanti e che la sua dimensione territoriale di 9.596.000 chilometri quadrati (il terzo dopo la Russia e il Canada, l’Italia ha soli 301.000 chilometri quadrati) è difficilmente paragonabile con il resto del pianeta; è inutile e gratuito perché, a mio avviso, contano poi le capacità reali di chi possiede simili indicatori dimensionali.

In particolare, mi riferisco ad alcuni dati quali: la Cina è il terzo Paese del mondo per valore delle merci che l’Italia importa dall’estero, dopo Germania e Francia. Dalla Cina arrivano prodotti per un valore quasi doppio rispetto, per esempio, a quelli che arrivano dagli Stati Uniti (28,4 miliardi di euro contro 15 miliardi) e la Cina è stato l’ottavo Paese del mondo nel 2017 come destinazione delle merci esportate dal nostro Paese: si dirigono lì beni prodotti in Italia per un valore simile a quelli che sono diretti in Belgio (13,5 miliardi) e un terzo di quelli che prendono la rotta per gli Stati Uniti (40,5 miliardi). Importiamo dalla Cina molto di più di quanto esportiamo verso la Cina: quasi il doppio. Per ogni euro che spendiamo in merci prodotte nel loro Paese, i cinesi spendono meno di 50 centesimi in prodotti italiani. Quindi la nostra bilancia commerciale (che a livello complessivo è in attivo) rispetto alla Cina è negativa.

Il Pil cinese oggi è sei volte quello italiano, nel 1998, più di venti anni fa, il Pil italiano era il 20 per cento più alto di quello cinese; come reddito pro capite ogni italiano dispone di oltre tre volte e mezza la somma di cui dispone un cinese (31.900 dollari contro 8.800). Vent’anni fa il rapporto era di 26 volte. Per ogni dollaro a disposizione di un cinese oggi un italiano ha 3,5 dollari mentre vent’anni fa ne aveva 26.

Quindi critichiamo pure e giustamente i fattori negativi del tessuto socio-economico cinese ma cerchiamo, una volta tanto, di analizzare attentamente i motivi e le cause che, in questi ultimi anni, hanno visto il nostro Paese e la intera Unione europea quasi fermi, quasi divorati da una inerzia incapace di crescere o, nel migliore dei casi, di crescere ma solo pochissimo.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 09 luglio 2021 alle ore 13:24