Recovery Plan: innovazioni al via

Pochi giorni fa mi sono soffermato su una esperienza che ritengo non solo di particolare interesse ma, addirittura, capace di creare le condizioni per dare vita a quel processo davvero rivoluzionario che è la costruzione degli Stati Uniti d’Europa. Ho ricordato, infatti, che l’ultima fase che portò alla costruzione degli Stati Uniti d’America era stata caratterizzata proprio dalla contestualità con cui i vari Stati avevano reso possibile sia un riassetto infrastrutturale, sia un organico processo riformatore. Le singole tessere del mosaico “Stati Uniti” autonomamente dettero vita, nello stesso momento storico, ad un processo riformatore ed in questa non facile esperienza seguirono delle linee guida comuni.

In questo preciso momento stiamo vivendo, forse senza neppure capirlo in modo adeguato, una grande operazione strategica. Voglio ricordare che nel 2003 prima e nel 2009 dopo, in occasione della redazione del Programma delle Reti transport european network (Ten-T), la Unione europea ha vissuto, senza dubbio, un grande ruolo strategico; in fondo per la prima volta dalla sua costituzione diventava il rifermento chiave per la redazione di un programma infrastrutturale condiviso. Nell circostanza, però, la Unione Europea era solo un catalizzatore e al tempo stesso un rifermento che, in caso di non condivisione, cercava di mediare identificando possibili compromessi pianificatori.

Oggi, invece, sono i singoli Stati membri a definire e caratterizzare le proprie scelte strutturali ed infrastrutturali per adeguarle ad un assetto comune, per costruire, concretamente, un tessuto omogeneo. In questa operazione i singoli Paesi hanno un codice comportamentale comune rappresentato dalle Linee guida che, in realtà, condiziona l’accesso al Recovery Fund; un accesso possibile solo se le scelte dei singoli Paesi sono coerenti a determinati “pilastri” di riferimento. Cosa significa tutto questo, dove potrebbe portarci questo nuovo approccio, quali ricadute può generare nel nostro impianto costituzionale il nuovo modo di operare della Unione Europea. A mio avviso, il primo sostanziale impatto all’interno del nostro assetto istituzionale dovrebbe essere una concreta rivisitazione proprio del Titolo V della Costituzione e questa esigenza già da tempo era emersa.

Esiste già nell’Unione Europea una apposita Direzione che affronta le tematiche delle Regioni ed in particolare delle Regioni periferiche ed insulari e se si tiene conto dell’articolo 174 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (Tfue) che riconosce, accanto a quello economico e sociale, il cosiddetto “terzo pilastro della coesione territoriale” in base al quale l’Unione europea avrebbe il dovere di intervenire a ridurre squilibri non solo di carattere economico e sociale ma anche territoriale. E si tiene conto dell’articolo 170, sempre del Tfue, per consentire all’insieme delle collettività regionali e locali di beneficiare pienamente dei vantaggi derivanti dall’instaurazione di uno spazio senza distinte frontiere interne. Diventa quantomeno inadeguato l’articolo 117 della nostra Costituzione; senza voler frantumare il nostro assetto istituzionale forse una prima azione sarebbe proprio quella di seguire questa peculiarità a scala comunitaria e fare in modo che prenda corpo non una macro Regione ma una realtà che, fermo restando l’articolazione delle attuali aree regionali, persegua, però, finalità ed interessi che superino i confini delle singole realtà territoriali.

Non sono un costituzionalista e, quindi, non posso entrare in un’area tematica che non conosco. Posso, però, ricordare la importanza di questo particolare momento storico. Infatti, se è tramontata la formula “Europa delle Regioni”, si sta affermando proprio in questi giorni la nuova formula di una “Europa con le Regioni”. La definizione dei Recovery Plan europei mette in evidenza una Unione articolata in una rete non necessariamente gerarchica di attori diversi, sovra statali, statali, locali e, appunto, regionali. L’Europa di tutte le Regioni non è ancora emersa, e non lo sarà in un futuro prossimo. Le Regioni e altre autorità locali hanno accresciuto la loro partecipazione al policy-making europeo e questa loro partecipazione sfugge al controllo del tradizionale gatekeeper, il Governo degli Stati nazionali. D’altra parte, l’articolo 117 della Costituzione precisa già in modo inequivocabile un preciso ruolo delle Regioni, in particolare l’articolo ribadisce tra l’altro che sono materie di legislazione concorrente quelle relative a rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.

Pare quindi fuor di dubbio che la politica di coesione, economica e sociale, perseguita dalle istituzioni europee al fine di superare le disparità territoriali, abbia incoraggiato, più di ogni altra politica comunitaria, il ruolo attivo delle Regioni. Proprio perché attenta al concreto svolgersi delle vicende politico-istituzionali, l’interpretazione che ha visto uno stretto legame fra le riforme regionali in vari Stati europei e il progredire del processo di integrazione europea ha avuto una certa diffusione. I fondi strutturali associati con la politica di coesione, vero e proprio strumento di redistribuzione macro-sociale, sono stati considerati dalla Commissione europea come un mezzo per stabilire rapporti con autorità e attori sub statali. La politica di coesione, uno degli obiettivi fondamentali dell’Unione europea, si è visto, passa ormai inevitabilmente per le Regioni. Se le responsabilità delle Regioni per la salvaguardia degli equilibri economici sono cresciute, ciò significa che è cresciuto il loro ruolo attivo nella costruzione della società europea.

Questo ruolo delle Regioni italiane, almeno finora, è stato diverso o molto distante sia da quanto previsto dall’articolo 117 della Costituzione, sia dalla esperienza delle altre Regioni comunitarie; in realtà le anomalie italiane che stiamo scoprendo proprio in questo particolare momento storico sono:

la interpretazione della Conferenza Stato-Regioni come sede determinante per incidere sulle scelte dell’organo centrale, cioè come strumento forte per condizionare scelte costruendo spesso anomale forme di Stato nello Stato;

la autonoma definizione e gestione dei Fondi di sviluppo e coesione (Fsc); concordando con l’organo centrale una distinzione, ripeto autonoma, dei comportamenti e dei ruoli relativamente all’impegno e alla spesa dei Pon (Programmi operativi nazionali) e dei Por (Piani operativi regionali);

la sottovalutazione del ruolo delle Regioni nella definizione del Recovery Plan per diventare soggetti chiave solo nella fase attuativa dello stesso;

la chiara distinzione dei ruoli e della rilevanza strategica di alcune Regioni rispetto ad altre; una evidente articolazione legata essenzialmente sulla capacità di contribuire nella formazione del Prodotto Interno Lordo.

In realtà, queste anomalie denunciano una sostanziale diversità delle nostre Regioni, in quanto nelle altre realtà comunitarie si sentono tessere di un mosaico “Paese” e non autonomie non integrate e spesso non coerenti a precise linee strategiche sia interne che esterne allo stesso Paese. Quindi, non si tratta di riformare l’articolo 117 ma solo lo strumento regionale perché, a mio avviso, il lungo e non facile itinerario verso gli Stati Uniti d’Europa parte proprio dalla rivisitazione sostanziale delle funzioni e dei ruoli delle Regioni. E ciò, in modo particolare, per le nostre Regioni del Mezzogiorno.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 24 maggio 2021 alle ore 10:23