Recovery plan: rivoluzione e programma

Quando nel 2002 iniziarono i lavori per la redazione del sistema integrato delle Reti transport european network (Ten-T), il primo Piano strategico di infrastrutture per l’intero assetto comunitario, un Piano che trova come riferimento di base una proposta fatta dai redattori del Piano generale dei trasporti italiano che nel 1985 propose la redazione di un master plan della intera Unione europea, tutti riconoscemmo alla Ue una grande capacità programmatica. Prendeva corpo in realtà un Piano che vedeva come riferimenti portanti i 15 Paesi storici della Unione europea e come auditori i 13 nuovi Paesi che sarebbero entrati nella Unione stessa nel 2005; nessuno immaginava che saremmo riusciti, nel semestre di Presidenza italiano della Comunità del 2005, ad approvarlo e ad ottenere all’interno dei 30 Corridoi portanti dell’intera proposta 3 Corridoi fondamentali per il nostro Paese. I tre Corridoi erano il Lisbona-Lione-Torino-Milano-Trieste- Kiev, il Corridoio Berlino-Palermo e il Corridoio Rotterdam-Genova. Si riuscì anche a stimare il possibile costo delle opere prioritarie e si definì un valore pari a circa 220 miliardi di euro. La Unione europea dichiarò la propria disponibilità a garantire il 20 per cento di tale valore e per i valichi elevare tale soglia fino al 40 per cento. In realtà la disponibilità non superava i 100 miliardi di euro.

Nel 2009 iniziarono i lavori di aggiornamento delle Reti Ten-T e questa volta i Paesi presenti erano 28 e tutti effettivi; i lavori durarono quattro anni e identificarono solo 9 Corridoi e definirono anche il ruolo chiave dei nodi urbani e dei nodi logistici (porti, aeroporti e interporti); dei 9 Corridoi, 4 interessavano direttamente l’impianto infrastrutturale del nostro Paese: il Corridoio Algeciras-Lione-Torino-Milano-Trieste-Kiev, il Corridoio Rotterdam-Genova, il Corridoio Helsinki-La Valletta, il Corridoio Baltico-Adriatico. Questa volta le Reti Ten-T disponevano, oltre all’impegno della Unione europea di assicurare contributi pari al 20 per cento per le opere ubicate all’interno delle reti Ten-T, anche di una apposita dote finanziaria di circa 40 miliardi di euro. La stima delle opere prioritarie si attestava su un valore globale di circa 280 miliardi di euro.

Adesso invece siamo di fronte, come si evince dalla Tabella a seguire, ad un impegno globale di 750 miliardi di euro. Una dimensione finanziaria davvero inimmaginabile in quanto di gran lunga superiore a quella stimata per l’attuazione delle infrastrutture ritenute prioritarie dal programma delle Reti Ten-T; qualcuno obietterà che in fondo le Reti Ten-T erano legate solo alle opere infrastrutturali ma questa osservazione era valida per la edizione del 2004 in cui l’intero programma era legato essenzialmente alle reti stradali e ferroviarie. Nella edizione del 2013 la proposta era organica e conteneva scelte cariche di organicità, coinvolgendo comparti non legati essenzialmente alla offerta trasportistica.

Non volevo però soffermarmi sulla dimensione finanziaria anche se non posso non ammettere che mai avrei immaginato che la Unione europea facesse ricorso ad una soluzione così forte ed incisiva per il rilancio dell’intero assetto comunitario. Volevo invece soffermarmi su un’altra grande occasione che i Paesi della Unione Europea stanno vivendo contestualmente: la redazione dei singoli Recovery Plan. Ed è davvero interessante che la Ue abbia posto dei pilastri di riferimento comuni per tutte le proposte, pilastri qui di seguito sintetizzati: Transizione verde; Digitalizzazione; Crescita sostenibile e inclusiva, compresi temi come la coesione sociale, il lavoro, la produttività, la competitività, la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione, e il rafforzamento del mercato unico che possa sostenere le Piccole e Medie Imprese; Coesione sociale e territoriale; Salute, insieme a resilienza economica, sociale ed istituzionale, con un focus sulla reazione alla crisi e alla preparazione in vista di future emergenze; Politiche per le nuove generazioni, bambini e giovani, inclusi gli argomenti istruzione e competenze.

Insieme a queste sfide, rese più urgenti dalla crisi di Covid-19, ogni Paese deve fare una panoramica che delinei in che modo il Piano può dare una risposta esauriente e bilanciata al contesto economico e sociale specifico, attraverso progetti e cifre chiave. In questo modo si fornisce anche un approfondimento non solo qualitativo, ma anche quantitativo circa l’impatto complessivo stimato del Piano e delle sue sinergie con altri strumenti della programmazione europea.

Di questo elenco che ripeto in modo trasversale coinvolge per la prima volta tutti i Paesi della Unione europea, un punto diventa davvero il comune denominatore dell’intero processo, un punto si configura come la condizione chiave per evitare che all’interno dell’assetto comunitario continuino ad esistere aree forti ed aree meno forti, continuino ad esistere, come nel caso italiano, aree con Pil pro-capite inferiore a 20mila euro e aree con Pil pro-capite superiore a 40mila euro. Allora questa grande occasione che vuole creare misurabili omogeneità all’interno dell’intero sistema economico europeo impone davvero una serie di vincoli e di riforme strutturali non dei singoli Paesi ma della stessa Unione europea, mi riferisco in particolare ai seguenti punti:

Un ripristino ed una riformulazione del Trattato di Schengen;

La costruzione di logiche fiscali comuni;

Una procedura comune nella redazione delle proposte progettuali e nell’affidamento delle opere;

La creazione di un organismo preposto al controllo dell’avanzamento delle procedure di attuazione dell’intero Piano ed al contestuale blocco dei trasferimenti delle risorse in caso di mancato adempimento dei vincoli imposti dalla stessa Unione.

Nasce spontaneo un interrogativo: perché si chiede il ripristino e la riformulazione del Trattato di Schengen; la risposta è immediata: la libera movimentazione delle persone e delle merci senza dubbio è il primo elemento che può davvero trasformare una giusta intuizione strategica come la “coesione sociale e territoriale” in atto compiuto. La pandemia ha praticamente bloccato il Trattato di Schengen e al tempo stesso, però, ha imposto il rilancio della coesione sociale e territoriale.

Mi soffermo su questo punto perché forse sarà opportuno approfittare di questo particolare momento per riformulare il Trattato inserendo i cambiamenti sostanziali che, proprio nell’ultimo decennio, hanno modificato l’intero sistema logistico. Mi riferisco in particolare alla supply chain, cioè ad un processo che direttamente ed indirettamente sta modificando i mercati e le forme di concorrenzialità attuali presenti in distinte aree della Unione europea. Questo approfondimento, a mio avviso, fa emergere al tempo stesso, due distinte considerazioni:

– la decisione positiva della Unione europea nel definire il Recovery fund trova, come motivazione primaria, il superamento della crisi delle aree periferiche e marginali della Comunità;

– la coesione sociale e territoriale può prendere corpo solo rendendo fluide e funzionali le interazioni logistiche tra tali aree ed il resto della Unione.

Appare evidente da queste considerazioni che il nostro Paese diventa ancora una volta riferimento strategico come lo è stato nella redazione delle Reti Ten-T se pone come uno dei riferimenti chiave dell’intero Recovery plan proprio il nostro Mezzogiorno e lo ponga, soprattutto, dimostrando che una delle condizioni chiave, forse la principale, è proprio quella legata alla assenza di un corretto rapporto tra domanda di trasporto ed offerta infrastrutturale, tra assetto logistico e sistema produttivo, tra nodi logistici ed interazione tra gli stessi ed il mercato.

Non ce ne siamo ancora resi conto ma gli altri Paesi hanno redatto i loro Recovery plan seguendo questa impostazione; consiglio a tale proposito il ministero dell’Economia e delle Finanze di effettuare un benchmarking su tutti i Recovery Plan; questo approfondimento sono sicuro farebbe scoprire quanto sia preoccupante la distanza che esiste tra il nostro approccio e quello seguito dagli altri Paesi proprio nella indicazione delle opere infrastrutturali ubicate nelle aree marginali. In realtà, il nostro Recovery Plan potrebbe incontrare seri problemi, perché non offre concretezza non tanto nella elencazione delle opere e nella copertura delle stesse quanto nel concreto avvio degli investimenti: infatti è discutibile che il concreto avvio di tutti i progetti proposti nel Mezzogiorno possa partire sono nel 2024 e questa discrasia temporale è antitetica alla volontà della Unione di dare la massima contestualità all’attuazione di questo grande ed irripetibile processo pianificatorio non di una Regione, non di un Paese ma, ripet,o come avvenuto per le Reti Ten-T, per l’intero sistema comunitario.

Voglio infine solo ricordare che se esaminassimo come si è pervenuti alla istituzione degli Stati Uniti d’America, scopriremmo proprio che tutto avvenne a valle di una contestuale e coordinata pianificazione infrastrutturale dei singoli Stati. Saremmo davvero solo degli incapaci se non vivessimo nel modo giusto questo momento storico, sarebbe pura follia se non ne capissimo la dimensione e la funzione strategica. Sono ottimista perché ho fiducia nel presidente Mario Draghi.

Le risorse del Recovery Fund assegnante ai Paesi dell’Unione europea

(*) risorse inferiori a 5 miliardi di euro

(**) risorse inferiori a 1 miliardo di euro

Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 17 maggio 2021 alle ore 10:42