Rilancio economico e concorso di idee: intervista a Fabio Piluso

Fabio Piluso è docente di Economia degli Intermediari finanziari presso l’Università della Calabria. Il Decreto liquidità di aprile aveva recepito due misure importanti, quali l’estensione del limite individuale su base annuale dei versamenti in un fondo Pir (Piani individuali di risparmio) compliant e alcuni incentivi fiscali alla quotazione delle Pmi (Piccole e medie imprese) italiane; la legge di bilancio 2021 prevede ulteriori agevolazioni fiscali per le Pmi che decidono di dar vita a operazioni di M&A (Mergers and Acquisition). Tre misure opportunamente ipotizzate a inizio pandemia dal professor Fabio Piluso dell’Università della Calabria e dall’associazione culturale Dialogo”. Misure che, discusse in ambito governativo, hanno evidentemente trovato ampio consenso nella maggioranza parlamentare. Di questi argomenti vogliamo discutere con il professor Piluso.

Professor Fabio Piluso, come nasce questo contest di idee?

A inizio pandemia, ho ricevuto alcuni solleciti da parte del think tank Dialogo” a riflettere su possibili idee progettuali da inoltrare, attraverso canali istituzionali, alle Commissioni parlamentari che si occupavano di economia e sviluppo; l’idea era quella di prevedere possibilità di rilancio dell’economia che, come facilmente prevedibile, da lì a breve sarebbe andata incontro a una forte contrazione del Pil. Medesimo invito a partecipare a un “concorso di idee” veniva contestualmente lanciato dalla mia università, l’Unical, a tutti i docenti di ciascuna facoltà, al fine di contribuire, ognuno con le proprie specificità culturali, a trovare soluzioni ottimali per la nostra povera Italia. Dinanzi a detti solleciti, ho provato a ipotizzare delle idee concrete di sviluppo dell’economia italiana che, superata la fase di lockdown – dove risultavano necessari trasferimenti pubblici a sostegno della sopravvivenza di persone fisiche e giuridiche – potessero segnare la fase di ripresa veloce dell’economia italiana. Ho sempre ritenuto – e la mia storia personale lo dimostra – che il ruolo del docente universitario fosse quello di formare le menti delle nuove generazioni, unitamente a quello di portare il proprio sapere a vantaggio della collettività in cui si vive e opera. In una visione squisitamente neoplatonica, credo che ciò sia un dovere morale che ciascuno di noi dovrebbe avvertire.

Quale è la sua visione dell’economia e del rilancio del Pil in Italia?

Beh, guardando alla situazione dell’Italia, ho ragionato da due diverse angolazioni, quella della domanda e quella dell’offerta, ed ho cercato di incrociare le due esigenze per il raggiungimento di un benessere collettivo diffuso e, soprattutto, sostenibile. In relazione alla domanda di fonti di finanziamento, appare fin troppo pleonastico ricordare che l’Italia è il Paese delle Pmi. Se volessimo citare alcuni dati forniti da “Il Sole 24 Ore” (2019), potremmo ad esempio ricordare che il 63 per cento del settore afferente alla meccanica è composto da Pmi (dato più basso!) per arrivare al 99 per cento del settore agricolo, passando – ad esempio – per l’81,5 per cento del settore moda e l’87,9 per cento dei servizi erogati. Se consideriamo che il nostro sistema finanziario, di tipo profondamente banco-centrico, mostra palesi difficoltà nell’erogare il credito in forza degli “eccessivi” vincoli regolamentari, ritengo doveroso provare a sviluppare una cultura d’impresa maggiormente incline ai mercati finanziari. I minibond, ad esempio, sono un ottimo viatico verso una successiva quotazione in Borsa, da realizzarsi magari attraverso l’Aim Italia. In effetti, secondo un’indagine Cerved (2018), nel nostro Paese circa 4400 Pmi sono potenzialmente quotabili in Borsa. Quanto detto, permette di concludere che in Italia esiste una enorme domanda “potenziale” di capitali che potranno permettere la crescita dell’occupazione, dell’export e, in generale, del Pil italiano. In tal senso, ho ritenuto che si dovesse pensare a incentivare la quotazione attraverso le seguenti misure (complementari o alternative): tassazione agevolata sulle plusvalenze realizzate dai soci in sede di Ipo o tassazione agevolata sul reddito prodotto dalla nuova Ipo per un certo numero di esercizi. Ritenevo (e ritengo) altresì interessante (e questa volta integrativa e non complementare rispetto alla ipotesi testé descritta) applicare una tassazione agevolata tra imprese che volessero effettuare operazioni di M&A di tipo orizzontale al fine di aumentare i volumi di produzione e realizzare quelle marginalità attese, frutto di economie in senso lato. Da sottolineare che tale misura è stata applicata negli Usa nei decenni precedenti ed ha dato vita a una enorme vivacità nel mercato delle fusioni e acquisizioni.

Professore, non crede che il basso livello di cultura finanziaria degli italiani possa rappresentare un ostacolo al finanziamento diretto nelle Pmi?

L’Italia, è vero, è tra gli ultimi Paesi industrializzati per livello di educazione finanziaria, e ciò è un problema di cui le Autorità competenti si stanno occupando. Il basso livello di cultura finanziaria è un forte ostacolo agli investimenti finanziari degli italiani e ciò crea un problema di trasferimento di risorse finanziarie verso quegli investimenti produttivi delle aziende che necessitano di risparmio pubblico. Esiste una ampia letteratura che dimostra come i Paesi con maggiore cultura finanziaria producano una maggiore crescita economica e finanziaria. Mi pongo però una domanda. E con essa cerco di completare il mio ragionamento (questa volta) sull’offerta di fonti di finanziamento. Il primo dato che balza agli occhi è rappresentato dall’enorme massa di liquidità sui conti correnti degli italiani: 1.571 miliardi di euro al 31 dicembre 2019. Detta liquidità è attualmente remunerata mediamente dalle banche allo 0,37 per cento. Le proiezioni effettuate (tra gli altri) dalla London Business School mostrano come 10mila euro detenuti sul conto corrente dopo vent’anni diventano poco più di 6.600 euro a causa di costi di gestione e inflazione; diventano 27mila euro se vengono invece investiti sul segmento azionario. Occorre allora far sì che questa enorme massa di liquidità diventi produttiva tanto per le aziende, quanto per i risparmiatori. Ho sempre ritenuto in tale contesto di ragionamento, che i Pir, emanati per la prima volta dal Governo nel 2017 con risultati importanti, avrebbero dovuto prevedere un tetto massimo abbondantemente superiore ai 30mila euro annui per sottoscrittore e, con ciò, fornire capitali alle imprese italiane e, nello specifico alle Pmi quotate che rientrano nello small cap e nell’Aim. Il Decreto liquidità, da lei precedentemente citato, ha recepito questa indicazione innalzando notevolmente l’asticella del plafond e nei prossimi anni i risultati dovrebbero essere palesi. In sostanza, dunque, stante l’enorme liquidità in mano agli italiani e il rilancio dei Pir da parte dell’attuale Governo, occorrerebbe far crescere contestualmente la domanda di capitali attraverso l’incentivazione delle Ipo (Offerta pubblica iniziale) per come sopra chiarito.

Professore, lei finora ha parlato di imprese. Cosa pensa del sostegno alle famiglie?

Sul punto vorrei dire che, considerato che la popolazione italiana risulta la più anziana dopo il Giappone, e che nei prossimi 10 anni la Commissione europea prevede che 8 milioni di anziani in Italia avranno almeno una malattia cronica grave (quale diabete, demenza, malattie cardiovascolari e respiratorie), risulterebbe allora prioritario in primis incentivare qualsiasi forma di copertura alternativa al sistema statale previdenziale e sanitario. Penso ad esempio all’opportunità di incrementare l’incentivazione della deducibilità fiscale sulle pensioni integrative, portando il tetto massimo dagli attuali 5mila euro circa ad almeno 10/15mila euro. Tale incremento potrebbe portare gli italiani ad accantonare una quota maggiore di liquidità prodotta nell’anno (quella che attualmente giace sui conti correnti) sui prodotti di previdenza integrativa e ciò che permetterà loro di avere una pensione integrativa maggiore in futuro e, allo stesso tempo, mettere in circolo sui mercati finanziari una maggiore parte della propria liquidità (attualmente) infruttifera. In merito al secondo punto, se lo Stato non tornerà a puntare forte sul sistema sanitario di tipo pubblico, ma continuerà a favorire un sistema di tipo pubblico-privato, sarebbe allora necessario prevedere forme adeguate di deducibilità fiscale per chi volesse crearsi un piano di long term care e curarsi privatamente nelle migliori strutture nazionali o estere.

Aggiornato il 17 novembre 2020 alle ore 13:07