Al pari di ogni periodo di crisi economica anche in questi giorni si ripropone la cancellazione di parte del debito pubblico quale soluzione per aiutare i Paesi in difficoltà. In linea di massima la cancellazione di un debito con il consenso del creditore è sempre possibile. Nel passato la cosa non è stata infrequente per diversi Stati sovrani. Si trattava soprattutto di debito verso il Fondo monetario internazionale o verso la Banca mondiale contratto da Paesi in via di sviluppo. È successo, infatti, tra la fine degli anni Novanta e il 2005 quando venne deciso in ambito di uno dei periodici G7 che per aiutare le economie dei Paesi in via di sviluppo bisognava azzerare il debito estero. La Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale avviarono l’iniziativa per la cancellazione del debito dei Paesi più poveri e indebitati.
Dal 2000 al 2006 sono stati cancellati 100 miliardi di debiti e nei 26 Paesi africani che hanno beneficiato della Mdri (Multilateral debt relief initiative), il debito pubblico sul Pil è sceso dal 104 per cento al 27 per cento. L’attuale situazione economica in Europa registra valori negativi ovunque con i parametri in peggioramento di fronte ai nuovi lockdown introdotti per contenere la seconda ondata di contagi da Covid. Recentemente, il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, ha affermato che “ci vorranno due anni prima che l’economia europea si riavvicini al livello pre-pandemia e il livello estremamente elevato di incertezza mette a rischio le previsioni di crescita dell’Unione”. In tale quadro, anche sulla scia delle dichiarazioni di Kristalina Georgieva, direttore generale dell’Imf (International monetary fund), che ha accennato ad una nuova possibile cancellazione del debito per i Paesi in maggiore difficoltà, si sono rincorse indiscrezioni su analogo provvedimento da parte della Bce. Christine Lagarde ha finora dato risposte interlocutorie che preludono però ad una smentita. Potrebbe la Bce davvero cancellare il debito pubblico?
Con l’inevitabile ricorso all’aiuto del debito quest’anno l’Italia ha ottenuto ulteriori 180 miliardi per far fronte alle crescenti spese e alle minori entrate. La Bce detiene ora 500 miliardi del nostro debito pubblico, tramite la Banca d’Italia, in quanto sono le banche centrali nazionali ad effettuare, su mandato Bce, l’acquisto della quasi totalità dei titoli. Sarebbe un bel sollievo per l’Italia una misura di cancellazione ma la risposta alla domanda purtroppo è negativa in quanto vietato espressamente dall’articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il quale vieta “la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia (…) a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle Amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici”. In linea teorica il trattato è modificabile ma data la complessità del processo e dato il tema “controverso” politicamente, per usare un eufemismo, è pensabile che sia molto difficile da potersi realizzare e sicuramente non nel breve o medio periodo.
In sostanza, l’eventuale decisione di modificare il trattato sarebbe politica, poi da implementare a livello tecnico dalla Bce. L’implementazione tecnica della stessa non sarebbe per nulla semplice. Da un punto di vista economico la cancellazione del debito determina una perdita di pari importo nel bilancio della Bce o delle Banche centrali nazionali. Questa perdita farebbe si che la Bce o le Banche centrali nazionali si troverebbero tecnicamente “fallite, con capitale negativo” e quindi con necessità di ricapitalizzazione da parte degli azionisti. Gli studiosi favorevoli alla cancellazione risponderebbero che, stante la sua capacità di creare base monetaria, una Banca centrale è sempre solvibile nella propria moneta, giacché teoricamente dispone di mezzi di pagamento legali in quantità illimitata. Si, perché, anche con un capitale proprio temporaneamente negativo essa conserva la piena capacità di agire, e può quindi assolvere in ogni tempo il suo mandato. In caso di capitale proprio negativo, la Banca centrale non soggiace ad alcun obbligo giuridico né di risanamento né, tanto meno, di liquidazione. Di fatto, comunque, alcuni dei benefici dell’eventuale cancellazione possono essere ottenuti con altri strumenti, tipo quello che la Bce già sta facendo con la politica attuale di reinvestimento, comprando titoli su tutte le scadenze – anche a lunghissimo termine – e a termine scadenza ricomprare titoli simili. Questa operazione viene effettuata per raggiungere il fine istituzionale di stabilità dei prezzi, ma ha come effetto collaterale positivo il fatto che quel debito è nella sostanza fuori dalle logiche di mercato di domanda e offerta. Una conferma, a quanto sopra, è data anche dal recente pronunciamento delle agenzie di rating che hanno confermato la posizione dell’Italia nonostante il significativo aumento del debito pubblico nel corso del 2020.
È almeno dal 2012 che la Bce acquista titoli di Stato sul mercato secondario. Lo ha fatto nell’ambito del Quantitative Easing, e lo ha continuato a fare, con gli acquisti mediante il Pepp (Pandemic emergency purchase programme). Anche dall’andamento dello spread si può desumere che il debito di fatto è sterilizzato nel senso che quello in mano alle Banche centrali è già come se non esistesse. Nel caso di Banca d’Italia, ad esempio, in chiusura di esercizio i relativi bassissimi interessi sui titoli sono girati, per la quasi totalità, al ministero dell’Economia all’atto della distribuzione dei dividendi. Come una partita di giro! È forse questo il motivo per cui nessuno sta chiedendo di procedere alla complessa revisione dei trattati per anelare ad una cancellazione del debito pubblico.
Aggiornato il 17 novembre 2020 alle ore 11:12