Mancano opere al Sud, almeno lo Stato rispetti l’articolo 117 della Costituzione

Ormai dopo quasi sei anni di stasi incosciente ci siamo rassegnati e convinti che per il prossimo quinquennio il Mezzogiorno non disporrà di nessuna delle opere che, secondo quanto definito nel programma delle Infrastrutture strategiche previsto dalla legge 443/2001 (Legge obiettivo), dovevano essere completate entro il 2023 se non fossero state bloccate agli inizi del 2015. Escluso l’intervento relativo all’asse ferroviario ad alta velocità Napoli–Bari il resto, sì anche quelle infrastrutture dichiarate pronte nei passati cinque anni e negli ultimi mesi, non sarà disponibile. Non sarà pronto né il lotto consegnato un mese fa della strada statale 106 Jonica in Calabria, non sarà pronto l’asse viario Maglie–Santa Maria di Leuca nel Salento, non sarà pronto l’asse viario Caianello Benevento (Telesina) in Campania, non sarà pronto l’asse ferroviario ad alta velocità Salerno–Reggio Calabria, non sarà pronto l’adeguamento funzionale dell’asse ferroviario Taranto–Metaponto –Battipaglia, non sarà pronto l’asse viario di collegamento tra l’autostrada A1 e il porto di Bari (camionale) in Puglia, non sarà pronto il sistema metropolitano di Catania, non sarà pronta l’autostrada Ragusa–Catania, non sarà pronto l’asse ferroviario ad alta velocità Palermo–Messina–Catania, non sarà pronto l’asse viario Olbia–Sassari e l’adeguamento dell’asse viario Cagliari–Porto Torres in Sardegna.

Questa mia è, purtroppo, una previsione ormai scontata; allora di fronte a questa rassegnazione prende corpo una naturale reazione nei confronti dell’attuale Governo: i cittadini del Mezzogiorno d’Italia chiedono subito il rispetto “dell’articolo 117 comma 2 lettera m” della Costituzione che ribadisce: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie”. E qui la lettera m, ossia “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

Il compito della definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) spetta esclusivamente allo Stato ma la loro realizzazione compete oltre che allo stesso Stato ai diversi enti territoriali, ovvero alle Regioni e ai Comuni. Una delle ragioni per cui tali livelli essenziali tardano a trovare una puntuale definizione è di natura economica. La loro individuazione comporta infatti l’approntamento delle risorse finanziarie necessarie per attuarli e garantirli; tali coperture dovrebbero gravare tanto sui soggetti tenuti a fornire le relative prestazioni quanto sullo stesso Stato con finalità perequative. Solo in tal modo si attua quanto previsto nell’articolo 119 della Costituzione che, tra l’altro, precisa: “Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”.

Allora, non potendo il Mezzogiorno disporre nei prossimi cinque anni di un territorio attrezzato e funzionale come quello che caratterizzerà il centro nord del Paese dove, sulla base degli interventi in corso di attuazione per un valore pari a circa 70 miliardi di euro, la offerta infrastrutturale sarà in grado di offrire, si chiede allo Stato di garantire almeno un misurabile quadro di servizi : garanzia nel trasporto pubblico locale con la creazione di un fondo destinato solo alla realtà urbane del Mezzogiorno, sia per la mobilità interna alle città, sia per il pendolarismo; garanzia nella disponibilità di plessi scolastici funzionali ed efficienti sia per la loro qualità che per la loro ubicazione soprattutto per quanto concerne gli accessi: garanzia nella organizzazione della offerta sanitaria, sia nei grandi centri urbani che in quelli con dimensione demografica minima; garanzia nella disponibilità di risorse idriche adeguate (in alcune realtà l’approvvigionamento idrico avviene ancora tre volte a settimana per sole sette ore); garanzia nei servizi relativi alla digitalizzazione in modo da assicurare una diffusa efficienza e sistematicità nelle comunicazioni.

Questo elenco di esigenze è facilmente individuabile ed è anche attuabile in poco tempo; questi interventi mettono subito in evidenza se lo Stato vuole davvero trasferire risorse o vuole solo trasferire impegni “percentuali” per il Mezzogiorno, impegni assunti dai vari ministri competenti: 34 per cento, 40 per cento, 55 per cento (una corsa patetica verso il nulla). Trattasi di una azione capillare che, tra l’altro, mette in evidenza la qualità e la serietà proprio degli Enti locali. Fondamentale diventa il trasferimento delle risorse dal centro alla periferia e viene meno l’alibi delle responsabilità: se davvero arrivano le risorse gli organi locali preposti alla realizzazione degli interventi diventano i diretti responsabili e prende corpo anche un confronto trasparente tra le singole realtà territoriali.

Solo de esempi: uno relativo al trasporto pubblico locale e uno relativo ai servizi sanitari. In merito al trasporto pubblico locale ricordo che un cittadino di una qualsiasi realtà urbana del Sud deve poter disporre, almeno nelle ore di punta, di un mezzo di trasporto pubblico locale con una frequenza di 5–7 minuti; per ottenere un simile risultato l’Azienda concessionaria dei trasporti locali deve acquistare più mezzi di trasporto e più personale, in tal modo il bilancio aziendale non risponderà alla logica del rapporto tra proventi del traffico e ripiano del disavanzo e, quindi, il ripiano del disavanzo sarà più consistente ma motivato proprio dalla esigenza di riequilibrio funzionale e lo Stato dovrà garantire più risorse. In merito ai servizi sanitari riporto alcuni dati che da soli denunciano quanto siamo ancora distanti dal rispetto del richiamato articolo 117, lettera m, della Costituzione. In particolare, di seguito ho elencato il numero di posti letto disponibili nelle terapie intensive, prima della pandemia e dopo. Ho preso quattro Regioni, due al Nord e due al Sud, che hanno più o meno gli stessi numeri di abitanti ed è emerso, anche in questa emergenza, che a parità di abitanti il Sud è abbondantemente penalizzato.

Ho cercato anche di prendere come riferimento il numero di posti letto per ogni mille abitanti ed ho verificato che il numero di posti letto in Italia è di 3,5 ogni mille abitanti, nei Paesi dell’Ocse il dato medio è di 4,7 ogni mille abitanti. In Germania tale soglia sale a otto per ogni mille abitanti e addirittura in Giappone a 13,1 ogni mille. Se scendiamo al Sud troviamo che in Calabria tre posti letto per mille abitanti, in Campania 3,1 posti letto per mille abitanti, in Puglia 3,1 posti letto per mille abitanti. Questi sono servizi che vanno resi a tutti coloro che vivono in questo Paese, questi sono interventi che non comportano tempi lunghi, queste sono scelte che chiedono e pretendono solo volontà dello Stato, queste sono iniziative che hanno bisogno di risorse e basta, queste sono azioni che il Governo deve attuare davvero senza continuare a credere che i livelli essenziali delle prestazioni siano una masturbazione mentale di chi ha scritto la Costituzione.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 29 ottobre 2020 alle ore 12:25