Il problema dell’occupazione, in Italia, è sempre stato affrontato con troppe “rigidità”, con meccanismi che hanno pietrificato il funzionamento del mercato del lavoro. Occorre pertanto rivedere alcuni suoi aspetti, come i servizi di orientamento professionale e di formazione, oppure il ruolo del sindacato, per creare un grande “mercato dell’intrapresa” capace di fare incontrare più efficacemente domanda e offerta di lavoro.
Questi temi sono stati al centro del webinar Ibl di ieri, in cui è stato presentato e discusso il libro di Pietro Ichino “L’intelligenza del lavoro. Quando sono i lavoratori a scegliersi l’imprenditore“ (Rizzoli, 2020). Insieme all’autore sono intervenuti Pina Amarelli (presidente, Amarelli Fabbrica di Liquirizia) e Nicola Rossi (professore ordinario di Economia politica, Università di Roma Tor Vergata). L’incontro on-line è stato introdotto e coordinato da Serena Sileoni (vicedirettore generale, Istituto Bruno Leoni). Amarelli ha messo in evidenza il ribaltamento di prospettiva attuato da Ichino nel libro, in cui spetta ai lavoratori comprendere meglio il mercato del lavoro, per trarne poi i benefici. Perché la vera forza di un imprenditore risiede nei suoi collaboratori. Nell’esperienza italiana ci sono stati casi di imprese che, grandi o piccole che fossero, hanno dato prova di “intelligenza” nei loro rapporti con i lavoratori, e i vantaggi hanno ovviamente riguardato entrambe le parti.
Per Rossi, le idee formulate da Ichino sono importanti per tutto il mondo del lavoro, soprattutto per i giovani che magari oggi svolgono lavori “precari”. Inoltre, il futuro dei modelli sindacali delineato nel libro, incentrato su meccanismi concorrenziali, farebbe molto bene al nostro Paese. Attualmente esiste infatti un’infrastruttura giuridica, scritta e non, che costringe i sindacati a non poter competere, volutamente. Bisogna allora capire come liberarli da questa costrizione, affinché siano in grado di seguire i lavoratori in tutti i loro percorsi.
Durante il suo intervento Ichino ha raccontato come il dibattito in Italia sia sempre stato viziato da un errore di fondo: considerare il lavoratore in una posizione di intrinseca debolezza rispetto all’impresa, impossibilitato quindi a esercitare un potere negoziale. La cultura giuslavoristica ha costruito pertanto delle rigidità che probabilmente non hanno favorito il lavoratore, ma lo hanno danneggiato, ostacolandone il movimento e la ricerca di nuove opportunità. Anche le esperienze dei Paesi dell’Europa del Nord evidenziano il nostro ritardo in merito ai servizi che formano e informano i lavoratori creando un evidente mismatch tra domanda e offerta.
Aggiornato il 27 ottobre 2020 alle ore 11:52