Il Paese avrebbe bisogno di un “tagliando”

Forse essendo usciti da poco da una fase traumatica caratterizzata dal blocco di tutte le attività, ci sentiamo quasi incapaci di prendere nelle prossime ore, nei prossimi giorni delle scelte su quello che ormai sarà la nostra nuova vita. Tutti abbiamo avuto ed ancora abbiamo la paura di essere scelti per anticipare la nostra partenza da questa esperienza terrestre e, in modo particolare gli ultrasettantenni si sentono ogni giorno fortunati di non essere stati sorteggiati per abbandonare questa vita. Questo preoccupante senso di paura, rimarrà ormai indelebile e, cosa più preoccupante, coinvolgerà una intera fascia generazionale. Ora questo complesso o, addirittura, questa psicosi quasi ancestrale non ci ha ancora fatto capire che è necessario, per uscire da questa rischiosa solitudine, da questa pericolosa depressione, avere il coraggio di dare vita ad un crash program carico di azioni strategiche. Solo un crash program, anche rivoluzionario, con una chiara impostazione metodologica e con un riferimento certo per quanto concerne le coperture finanziarie, può fare uscire sia la mia generazione, sia quella che ci insegue, non da una fisiologica recessione ma da una decrescita irreversibile; una decrescita che rischia di coinvolgere l’intero nostro tessuto socio economico.

L’Italia dopo il boom degli anni Sessanta non era mai stata sottoposta a nessun “tagliando”, in realtà è andata avanti con uno spontaneismo imprenditoriale encomiabile legato essenzialmente alla intelligenza ed alla lungimiranza di storiche famiglie. Questa peculiarità è stata più volte criticata ma nei fatti grazie a queste famiglie il grappolo degli imprenditori minori è riuscito a seguire, a fasi alterne, con momenti di crescita e momenti di crisi, un itinerario davvero inimmaginabile se si pensa che tali risultati si siano raggiunti senza disporre di una intelligenza pubblica capace di indicare determinati scenari, capace di effettuare processi pianificatori di ampio respiro. Questo spontaneismo imprenditoriale ricco di successi (siamo riusciti ad essere nell’Unione europea il secondo Paese manifatturiero), dagli anni Sessanta, qualcuno giustamente dirà addirittura dal dopoguerra, ad oggi non ha mai subito un “tagliando”.

Forse è opportuno chiarire cosa debba intendersi per “tagliando”; in fondo, nel caso di un auto, il tagliando è quell’insieme di controlli ed interventi necessari per mantenere elevati standard e prestazioni della vettura; non invoco la revisione che è invece una verifica prevista dallo Stato a scadenze temporali prefissate. Ho parlato solo di tagliando perché una revisione ci farebbe scoprire tante anomalie nella macchina dello Stato da scoraggiarci a tal punto da non dare corso a nessuna azione di risanamento, a nessuna azione di vero rilancio della cosa pubblica.

Quali sono gli strumenti analoghi al tagliando di un veicolo nel caso della macchina dello Stato, a mio avviso, i Piani di settore, quelli veri hanno proprio questa funzione. Il nostro Paese quasi in un secolo ha prodotto almeno 75 Piani-Programma e solo quattro o cinque hanno, in parte, svolto tale funzione. Qualcuno si chiederà come mai solo quattro o cinque possono ritenersi comparabili con un vero “tagliando” e la risposta è semplice tali Piani rispondevano a precisi canoni quali:

1) l’intera procedura del Piano era approvata per Legge

2) la Legge imponeva un aggiornamento almeno triennale

3) avevano una copertura finanziaria necessaria per dare attuazione all’intero iter programmatico

4) rispondevano a quanto previsto dal Titolo V della Costituzione, cioè davano pieno spazio alle competenze regionali

Dei quattro-cinque Piani che in un certo senso hanno avuto un ruolo importante nella vita del Paese ne ricordo in particolare solo due: il Piano Energetico Nazionale ed i Piano Generale dei Trasporti. Avendo vissuto direttamente la esperienza del Piano Generale dei Trasporti non posso che ricordarne proprio il rispetto metodologico dei quattro canoni prima descritti. Infatti, la Legge 245 del 1984 imponeva un aggiornamento triennale dello strumento perché il legislatore era cosciente della evoluzione naturale nel tempo di un settore come quello dei trasporti. Il Piano fu approvato nel 1986 e nel 1989 si avviarono i lavori di aggiornamento e nel 1991 fu approvato il Piano aggiornato e poi nel 1997 si avviò l’altro aggiornamento che fu approvato nel 2000 ed infine nel 2006 si decise di avviare un ulteriore aggiornamento ma non si è mai arrivato ad una sua approvazione.

La logica del “tagliando” ha funzionato praticamente fino al 2000, quindi, da venti anni non abbiamo ritenuto opportuno pensare a quali potevano essere gli scenari che avrebbero caratterizzato sia la domanda che la offerta dei trasporti sia del Paese che dell’intero sistema internazionale al cui interno si colloca il Paese stesso. Forse abbiamo fatto bene a non programmare nulla, forse abbiamo fatto bene a non fare tagliandi perché sicuramente non avremmo previsto un blocco quale quello che stiamo vivendo. Oggi però, ricchi anche di questa assurda ed imprevedibile esperienza, dobbiamo avviare una sostanziale rilettura di ciò che, soprattutto nel comparto dei trasporti, chiamiamo “domanda” per ridisegnare e, forse, reimpostare integralmente l’intero sistema della “offerta”.

Questo articolato e complesso lavoro non si può assimilare ad un aggiornamento del Piano generale dei Trasporti, cioè non può configurarsi come un banale adeguamento della offerta, infatti la esigenza che viviamo non è legata ad un aumento della domanda ma ad un radicale cambiamento della stessa. Dobbiamo, quindi, prioritariamente, identificare una rosa di scenari che caratterizzeranno le logiche economiche del medio e lungo periodo e impostare una rosa di possibili algoritmi capaci di rispondere alle attese e alle finalità di ogni singolo scenario. Stiamo, ormai da molto tempo inseguendo una nuova interpretazione delle categorie della pianificazione. Una interpretazione che porrà le reti immateriali tra i primi riferimenti strategici di un simile lavoro, una interpretazione che rileggerà integralmente le categorie dello spazio e del tempo, categorie che hanno assunto valori e significati completamente diversi anche alla luce di quanto vissuto ultimamente, una interpretazione della logistica completamente diversa in quanto la supply chain ha praticamente messo in crisi la logica e la gestione degli impianti intermodali, una interpretazione della offerta di trasporto non più slegata da tutte le altre componenti socio economiche che caratterizzano il sistema Paese.

In fondo, quello che si vorrebbe e si dovrebbe fare non è, ripeto, un semplice aggiornamento ma qualcosa di più vicino ad piano strategico capace di riaccendere, dopo molti decenni, un obiettivo ormai ritenuto irraggiungibile: l’obiettivo della crescita.

Aggiornato il 14 maggio 2020 alle ore 13:06