Michele Geraci, già sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico nel Governo Conte I, è un economista e politico italiano, docente alla New York University di Shanghai e alla Business School della Nottingham University. Promotore dell’accordo bilaterale di partnership italo-cinese per la costruzione della Via della Seta 2.0, rilascia quest’intervista al chairman del “Nodo di Gordio”, Daniele Lazzeri, sulla manovra economica di sostegno alle imprese del governo e sui futuri sviluppi della tecnologia 5G.

Da economista, quali saranno a Suo avviso gli effetti economici del Coronavirus a livello globale e per l’Italia?

Il Coronavirus lo inserisco nella lista di quegli shock esogeni che alternano drammaticamente i modelli socioeconomici di un singolo Paese e, quindi, in aggregato del mondo intero. Più che un Cigno nero, shock inaspettato, come ho letto di recente, lo considero invece un Rinoceronte Grigio, cioè quell’animale che è già presente nella stanza, grande, ma viene ignorato forse per distrazione, forse per scarse capacità analitiche. Gli effetti per l’economia italiana saranno devastanti, sia nel breve che nel medio e lungo termine e purtroppo la gestione di questa emergenza da parte del nostro governo sta aggravando la situazione. Vediamo un po’: non abbiamo moneta e quindi qualsiasi politica keynesiana non trova canali. Un terzo del Pil deriva dall’export, e l’export è l’unica componente del Pil che è cresciuta negli ultimi 15 anni. Con più della metà del nostro export diretto verso l’Europa, anch’essa colpita dalla crisi, e con i nostri consumi interni che non potranno che crollare, parlare di un –10% di Pil per il 2020 e forse numeri simili per gli anni a venire non è più fantascienza. Potremmo bilanciare con una politica di investimenti? Neppure, perché oltre ad avere problemi di finanziamento, quindi di fonte dei fondi, da noi il problema è anche l’uso dei fondi, nessuno sano di mente penserebbe di investire da noi, con una domanda interna a picco, burocrazia, lungaggini legali, ed un governo che è instabile per la mancanza di consenso popolare e perché è nato non con l’idea di pianificare il rilancio economico del Paese, ma soltanto per non fare andare al governo Salvini. È chiaro che ad un investitore, questi giochi di palazzo importano fino ad un certo punto. Aggiungo che con queste condizioni, i giovani, i migliori in genere, andranno giustamente via e ciò sarà la mazzata finale. Ci vorrebbe leadership, competenza, non guardare ai sondaggi e fare cose nell’interesse del Paese, cose che oggi non intravedo.

Lei è un sostenitore del “Secolo Asiatico”. Nessuna chance dunque per l’Europa?

Se posso fare una lista, i paesi che emergeranno relativi vincitori di questa sfida saranno la Cina, l’Asia in generale con CoreaGiappone, ma anche sud-est Asiatico, Gran Bretagna e, forse Stati Uniti.
Io sono sostenitore del secolo asiatico perché credo di aver intuito che il mix di cultura e di sistemi di governo sono forse più adatti a fronteggiare le nuove sfide. Sfide che saranno sempre più frequenti e sempre più intense. Ed i sistemi politici, sia quelli a democrazia elettorale sia quelli non, come la Cina, sono più adatti ad agire. L’Europa continentale, lenta e incapace di agire con la velocità, resterà ferma a fare proclami, leggi, dibattiti, promesse, ma nulla di concreto. Esempio: l’uso delle APP per il tracciamento dei contagi. Sia Cina che Corea lo usano da fine gennaio, hanno ognuno secondo i loro modelli sociali, superato il dilemma tra privacy e sicurezza sanitaria, mentre noi, oggi a Pasqua ancora filosofeggiamo su quale modello usare, con 15.000 morti sulle spalle, record al mondo purtroppo. Idem il cosiddetto bazooka di 700 miliardi annunciato dal Presidente del Consiglio, che è fuffa pura, dal momento che i soldi non li possiamo stampare né possiamo fare debito di tale cifra. È qui la differenza tra Europa ed Asia: noi parliamo senza fare, loro fanno senza parlare. 

Quale sarà il futuro dell’Italia nell’Ue viste le crescenti frizioni con Bruxelles?

Io credo che l’Unione europea stia perdendo il suo motivo di esistere nella sua forma attuale. Ci tengo a dire che bisogna una volta per tutte chiamare le cose per quello che sono. Una cosa è l’Europa un’altra cosa è l’Unione europea. Io sono europeista e credo che il blocco continentale dell’Europa sia importante nelle dinamiche economiche mondiali ed è per questo che mi piaceva molto l’Europa di vent’anni fa, quella fondata sui quattro pilastri che hanno consentito il libero scambio delle merci ed il movimento dei popoli. Io stesso sono stato il primo Erasmus della mia università e quindi ho goduto di questi vantaggi. Altra cosa completamente inutile e controproducente è l’Europa del dopo Maastricht, del Parlamento della bandiera dell’inno... L’Asean non ha una bandiera, un inno o, se ce l’ha, non lo conosco... Il Nafta nemmeno. Eppure quei Paesi riescono ad interagire in modo molto positivo. L’Unione europea oggi è un freno all’integrazione. Non un motore di integrazione, perché crea frizioni. Laddove deve presentare soluzioni, invece crea problemi perché le soluzioni si trovano sempre a livello dei singoli Paesi, così come stiamo vedendo in questi giorni con la saga del Mes, e non a livello di Unione che non serve a nulla. 

Lei è stato Sottosegretario allo Sviluppo economico nel primo governo Conte. Non ritiene che le misure sinora messe in atto dall’esecutivo siano del tutto inadeguate alla situazione?

Le misure messe in atto dall’esecutivo corrente sono completamente inadeguate e invece di anticipare il problema come farebbe un normale leader – che appunto dalla parola inglese to lead significa condurre – invece insegue il problema. Così come quando da bambini tutti si correva dietro alla palla invece che giocare con una strategia, un piano, e anticipare i movimenti. È chiaro che con questo modus operandi, ad andare sempre ad inseguire, si hanno pochissimi risultati. Anche perché le misure prese in modo incrementale, una dopo l’altra, non sono quello che questa crisi richiede. Questa crisi richiedeva una misura immediata, e già siamo in ritardo di due mesi. E non un decreto la settimana, non un’autocertificazione alla settimana, non un budget che cresce da 3 poi 7 miliardi poi 20 miliardi, poi 50 poi 100. Questo modo di lavorare incrementale tradisce l’incompetenza di chi sta gestendo questo momento che ovviamente, quando proponeva un pacchetto da 3 miliardi e mezzo ai primi di Marzo chiaramente non aveva contezza della gravità del problema. Cosa che non mi sorprende perché Gualtieri non ha un solidissimo background di economia...

Il 5G fa paura. Non solo come cavallo di Troia cinese ma come fonte di inquinamento. Secondo Lei è un rischio o una opportunità?

Si parla tanto di 5G e, giustamente, Lei mi chiede i rischi e le opportunità. Entrambi sono sempre presenti in qualsiasi investimento. Io credo che il 5G sia una grande opportunità di rilancio per la nostra economia.
Il non farlo ci relega al medioevo della tecnologia, quello in cui siamo già oggi, come abbiamo visto quando abbiamo avuto il crash del sito dell’Inps. Quando vediamo che non riusciamo in poche ore a sviluppare una App per il tracciamento dei contagi... Quando sappiamo che ancora i pagamenti via “mobile” sono arretratissimi... Quando c’è proprio scarsa conoscenza del mondo digitale e, mi creda, venendo dall’Asia, dalla Cina, dalla Corea, il popolo italiano non ha contezza di come funziona un’economia digitale avanzata. Quindi noi dobbiamo decidere se rimanere nel medioevo della tecnologia per limitare i rischi oppure tracciare una linea da un’altra parte, un po’ più in là, e sviluppare un po’ di più la tecnologia... Rinunciare un po’ di più alla privacy?... Anche qui questa domanda può essere illusoria perché noi, senza saperlo, abbiamo già rinunciato alla privacy... Per darla a Google,Facebook, e a tutti i siti dove andiamo quotidianamente. Società che sanno benissimo le nostre abitudini, i nostri acquisti, il nostro nome, il nostro cognome, la nostra età e i nostri spostamenti... Quindi, sì al dibattito tra rischi e opportunità del 5G. Ma deve essere un dibattito obiettivo, anche questo non basato sulla fuffa. E poi, oltre a dire no a certe soluzioni, bisogna anche proporne altre. E, ad oggi, non ho visto proposte serie.

(*) Chairman del think tank Il Nodio di Gordio

Aggiornato il 09 aprile 2020 alle ore 14:15