In pochi anni la storia ci ha portato per ben due volte di fronte a scelte epocali:
La prima in seguito alla crisi finanziaria del 2008 ed alla crisi del debito greco, conclusasi con la famosa frase di Mario Draghi “we’ll do whatever it takes” del 2012 (faremo il necessario “a qualsiasi costo”). Certo, a sentire la nuova governatrice della Banca centrale europea, Christine Lagarde, qualche dubbio comincia a sorgere.
Ora è il momento di affrontare l’emergenza senza alcun indugio e alcuna polemica nella speranza di limitare il numero delle perdite umane. Questo è il momento della solidarietà, del rispetto delle regole, delle ricerca e per molti di noi della preghiera. Non ho alcuna volontà di inquinare questo delicato periodo con dibattiti di politica interna e mi interrogo su come sarà il Paese nel post-pandemia. Ormai è chiaro che i tempi non saranno brevissimi ed i costi saranno enormi e al momento impossibili da quantificare. Ci sono ancora troppe variabili e i tempi per sconfiggere il Covid-19 nel nostro Paese non corrisponderanno a quelli della Francia, Germania, Spagna ed altri Paesi Ue, senza considerare il resto del mondo come gli Usa ed i Paesi Africani.
Naturalmente il vaccino sarebbe la soluzione ideale, ma non avverrà in tempi così brevi da sterilizzare gli impatti che comunque avremo nell’economia reale. Dobbiamo evitare che il futuro shock economico si trasformi in una débâcle sociale e finanziaria; questo dovrà essere il fulcro della partita da giocare. Le cause alla base del 2008 sono ancora lì: la massa di debito sia pubblico che privato rispetto al Pil mondiale è ancora enorme, così come il valore dei derivati. Se a tutto ciò aggiungiamo una costante e reale deflazione, il quadro è completo.
Dunque si dovrà evitare che le “obbligate” chiusure dei singoli Paesi, causate da esigenze di sicurezza sanitaria, non si trasformino in “definitive” chiusure per spicciole e miopi politiche economiche che sarebbero funzionali solo ai miraggi degli interessi egoistici dei singoli Stati.
Siamo davanti ad un evento europeo che coinvolgerà tutti i popoli che compongono la Ue, ed il costo sociale ed economico non potrà ricadere sui singoli Stati, dei quali i più deboli subirebbero un effetto così devastante che potrebbero creare le condizioni per una rottura di questa Europa (basta vedere i 550 miliardi messi a disposizione della Germania con i 25 miliardi del nostro governo nella consapevolezza che forse ne serviranno 300).
Da una crisi esistono due vie di uscita: una è quella della frantumazione di un processo europeo dove prevalgono gli egoismi nazionali e il miraggio del piccolo è bello; l’altra via è quella che uniti si vince rilanciando il processo europeo con una maggiore integrazione politica. È il momento di fare l’Europa politica che integri quella monetaria. Spero in quella lungimiranza politica che vada oltre il calcolo elettorale ed il sentire popolare.
Dunque la mia proposta è la creazione di un “Unico Fondo Europeo” finanziato con Bond Europei sottoscritto dai singoli Paesi nelle stesse proporzioni della loro partecipazione al bilancio europeo e senza naturalmente gravare sul debito pubblico dei singoli Stati. Una specifica commissione europea gestirà tale fondo analizzando le richieste dei Paesi per le cause direttamente collegate a questo evento straordinario. Naturalmente si dovranno prevedere ulteriori regole e modalità di utilizzo, ma attingere da un Fondo unico europeo per politiche sociali e di investimento che rilancino insieme i fondatori dell’Ue colpiti di un comune nemico servirebbe per dare concretezza alla nascita dell’Europa dei popoli, e cioè quella politica.
Aggiornato il 16 marzo 2020 alle ore 14:12