Il fallimento del Sistema Italia

Christine Lagarde, oggi vertice della Banca centrale europea (fino a ieri al Fondo monetario) ha volutamente ricordato che la Bce tutela il differenziale tra Btp e Bund, lo spread.

La frase della Lagarde ha distrutto la Borsa italiana e dimostrato che il potere bancario europeo non guarda certo alla solidarietà. “Non siamo qui per chiudere gli occhi sullo spread” è la frase della Lagarde incriminata da media e politici cosiddetti populisti: in pratica la presidentessa Bce ha ammesso che farà l’opposto delle “responsabilità bancarie” auspicate da Mario Draghi.

Per dirla in soldoni, chiudere gli spread significa ridurre le differenze di spesa tra due mercati Ue, ovvero il mercato titoli italiano e quello tedesco: permettendo all’Italia di pagare sul debito gli stessi tassi d’interesse della Germania. Ma sappiamo bene come l’asse bancario franco-tedesco si regga speculando su sempre maggiori tassi imposti all’Italia su debito e uso della moneta euro: in parole povere l’Italia paga signoraggio al potere bancario Ue. Di fatto, l’Italia è in balia del “corona virus” ma la Lagarde non intende fermare la morsa speculatrice delle borse, di Moody’s, Fitch, S&P. Così la Lagarde è complice del “big downgrade” contro le imprese italiane e, purtroppo, la vedremmo come controparte del Belpaese in caso di giudizio di default (processo fallimentare) presso una corte Ue.

Banche e strutture borsistiche in questi giorni (complici le parole della Lagarde) si preparano alla svendita di aziende e mattoni italiani. E non ben chiari “investitori internazionali” guardano con preoccupazione alle prossime mosse delle agenzie di rating, che potrebbero portare la loro valutazione sull’intera “azienda Italia” in area “junk”: ovvero il “made in Italy” diventa solo robaccia da svendere e velocemente, o da assegnare in tribunale Ue a banche tedesche. La politica italiana (il governo Conte) è di fatto commissariata: la manovalanza dello “spread” e dei tassi del “midswap” conta più dei parlamentari o delle parole paciose del presidente Sergio Mattarella. Il “big downgrade” contro il sistema Italia vuol dire che, causa fermo da “corona virus”, c’è una comune azione della speculazione contro tutti i titoli di aziende italiane quotate: è una mossa utile a far uscire i titoli italiani da certi indici, e costringerebbe i fondi a svendere l’Italia. In questa situazione, molti dipendenti in Italia verrebbero licenziati (e questo è gradito nel salotto buono Ue). La robusta azione anti-italiana dell’Unione europea non la faranno i governi, bensì i gestori del potere finanziario. Del resto il far quadrare i conti, a costo di licenziare, c’era stato detto qualche settimana prima del corona virus. E che si taglino posti di lavoro nel pubblico o nel privato non ha granché importanza per l’Ue: perché secondo i soloni di Strasburgo “in Italia è eccessiva la commistione tra pubblico e privato”, ergo il licenziamenti in ex Ilva sono più che graditi. Non dimentichiamo l’ultima sentenza (roba del 2019) europea in merito ai comuni italiani in dissesto: in caso di fallimento delle amministrazioni locali, toccherà allo stato centrale dover rispondere patrimonialmente. Una sentenza europea che, solo in apparenza salva i comuni in dissesto, di fatto accelera la scivolata dell’Italia verso le procedure fallimentari. Ora lo stato italiano è tenuto a pagare (nei tempi rapidi in uso in Germania, Olanda e nord Europa) i debiti dei Comuni insolventi. E qualora lo stato faccia orecchio da mercante, la corte europea è già pronta ad iscrivere tra i creditori preferenziali e chirografari privati cittadini, enti, società di capitale, banche, società e stati esteri. Per la Corte europea dei diritti, ed in forza del Mes (meccanismo di stabilità), è ormai finita la fase dell’Italia che regola i propri debiti senza dar conto all’Ue. Non sono mancati i commenti del tipo “in Italia il cattivo pagatore è lo stato ed il cittadino subisce e s’adegua”.

Ma il fallimento dell’Italia verrà pagato soprattutto da quei cittadini che hanno ragione da vendere. Perché, Mes alla mano, sarà una corte Ue a decidere se nella procedura di default si dovranno aggiungere anche i patrimoni privati (quelli dei cittadini) in buona compagnia di tutto il patrimonio pubblico italiano. Infatti per Bruxelles lo Stivale andrebbe trattato come una qualsiasi azienda. Nel caso di fallimento l’intero monte immobiliare italiano (sia pubblico che privato) come del resto aziende e qualsivoglia cespite di diritto italiano verrebbe tirato per i capelli nella procedura fallimentare. Ovvero, ogni bene che non sia nel frattempo già passato in mani straniere o che non appartenga ad italiani che ormai pagano le tasse all’estero (valga l’esempio della Fiat ormai di diritto britannico come di altre imprese ex italiane che pagano da tempo le tasse nel Regno Unito) verrebbe avocato alla procedura fallimentare che, ovviamente, si discuterebbe in sede europea e con periti e curatori tutti di gradimento della Bce.

Eni, Enel, Fincantieri, Finmeccanica, Trenitalia… parleranno tutte ben preso francese o tedesco. Il corona virus non rappresenta che l’ultima desertificazione del tessuto produttivo, e non c’è rimedio, a patto che non intervenga una politica nazionale coraggiosa. Capace di far proliferare le imprese in barba alle limitazioni europee. Sarebbe utile abrogare il decreto Monti che obliterava il corso legale della lira, non permettendo più dal 2012 che il cittadino potesse cambiare in euro eventuali tesoretti in vecchie lire. Così si potrebbe armare una moneta a circolazione interna (una lira cambiale avallata dallo Stato) in grado di permettere la ripresa del mercato interno, del commercio e dell’artigianato già da maggio 2020. Proteggersi dalla politica monetaria della Lagarde è ora importante quanto curarsi dal coronavirus.

Aggiornato il 13 marzo 2020 alle ore 14:40