Ci siamo dimenticati il Ponte sullo Stretto

Ormai richiamando il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina si viene tacciati per nostalgici e per ignoranti delle vere esigenze, delle vere necessità del Mezzogiorno. Scatta automaticamente un diffuso attacco che ribadisce: occorre, prima di fare un’opera faraonica come il ponte, assegnare adeguate risorse per realizzare l’asse ferroviario ad alta velocità Napoli-Bari, l’asse ferroviario ad alta velocità Catania-Palermo, l’asse autostradale Trapani-Palermo-Messina, l’asse autostradale Catania-Siracusa, l’asse autostradale Ragusa-Catania, l’asse Stradale 106 Jonica, l’asse autostradale Caianello-Benevento (Telesina), l’asse stradale Maglie-Santa Maria di Leuca.

Potrei continuare ad elencare tante altre opere ma sarebbe inutile perché chi dice no al ponte, invocando la necessità di garantire risorse per una serie di infrastrutture essenziali per i collegamenti nel Mezzogiorno, dimentica che le opere da me prima elencate sono già state supportate da adeguate risorse, per alcune si sono aperti i cantieri e per altre si è fermi perché si è preferito utilizzare le risorse (questa volta sì destinate al Mezzogiorno) per manovre assistenzialistiche come gli “80 euro” e il “Reddito di cittadinanza”.

Quindi la banale e forse motivata critica alla realizzazione del ponte basata sulla opportunità di realizzare prima altre opere infrastrutturali è del tutto inutile e nasconde, invece, la vera motivazione: la infrastruttura ponte è la prima azione dello Stato slegata da ogni logica localistica, è la prima azione dello Stato dal dopo guerra in cui non si creano impianti industriali concordati con gli organi locali mirati alla creazione di posti di lavoro e ricchi di compromessi clientelari, è la prima volta che nel Mezzogiorno si annullano le ridicole logiche portate avanti nella gestione dei Fondi comunitari (Fondo Coesione e Sviluppo, Pon, Por, ecc.) e si invocano le risorse previste dal Fondo delle Reti Trans European Network (Ten-T), cioè il ponte diventa non uno dei progetti ma il progetto chiave del Corridoio Comunitario Berlino-Palermo (oggi Helsinki-La Valletta). Questa rilevanza strategica preoccupa e dà fastidio a chi come coloro che governano le Regioni Calabria e Sicilia intravvedono in un simile intervento un segno forte che modifica non solo l’impianto geografico del Mezzogiorno ma soprattutto quello economico e politico.

Per la Sicilia il sistema chiuso, tipico di una realtà insulare, la fa sentire davvero autonoma e slegata da sudditanze dall’organo centrale, per la Calabria l’assenza di un collegamento stabile con la Sicilia non la fa sentire territorio di attraversamento. In fondo effettuando una semplice analisi storica scopriamo che la città di Reggio e quella di Messina vivono la stessa esperienza e lo stesso comportamento vissuto dalla città di Buda e dalla città di Pest in Ungheria; per secoli queste due città ungheresi preferirono non collegarsi con un ponte proprio per evitare di perdere le loro autonomie e, soprattutto, perché convinti che il segno geografico caratterizzato dal Danubio rappresentava una intoccabile soluzione naturale; proprio come il mare dello Stretto.

Prima o poi però qualcuno tornerà ad affrontare in modo laico la folle decisione assunta nel 2011 di non fare più il ponte; qualcuno chiederà i motivi di una simile scelta e produrrà ampia documentazione tecnico-economica da cui ancora una volta emergerà:

la validità di un Piano Economico e Finanziario effettuato da primari organismi internazionali;

la copertura dell’intervento fino al 20% da Fondi della Unione europea;

la disponibilità tecnica ed autorizzativa di un progetto definitivo;

la conclusa disponibilità di un contratto amministrativo pubblico-privato.

E allora emergeranno non solo le responsabilità di chi volutamente, senza alcuna motivazione difendibile, ha preferito bruciare no una iniziativa progettuale, no un impianto progettuale ma una grande ed unica occasione che avrebbe sicuramente prodotto un “cambiamento sostanziale” in ciò che per anni abbiamo chiamato il riequilibrio del Mezzogiorno e che nei fatti è stato sempre e solo una assegnazione di risorse al massimo equilibrata e comparabile con quelle assegnate al centro ed al nord del Paese. Invece, tutti, dico tutti, ci convincevamo che per “riequilibrare” occorreva una azione aggiuntiva sostanziale; occorreva ed occorre un atto forte sia dal punto di vista finanziario che dal punto di vista strategico.

D’altra parte nasce spontaneo un ulteriore interrogativo: perché si è realizzato un asse autostradale come la Salerno-Reggio Calabria, perché si sono spesi circa 10 miliardi di euro per collegare Salerno con Reggio Calabria, perché, giustamente si vuole realizzare anche l’alta velocità ferroviaria su tale collegamento se poi tutto si blocca davanti allo stretto. Ma giustamente scatta un altro interrogativo: che senso ha realizzare una rete ferroviaria efficiente in Sicilia, soprattutto per la movimentazione delle merci, se questa rete non interagisce con la rete continentale.

Il Paese oggi continua a vivere nel grave equivoco, nella grave dicotomia tra chi crede e vuole fare le infrastrutture e chi non le vuole realizzare; una dicotomia paradossale perché, nei fatti, sia i sostenitori del fare che quelli del non fare alla fine assistono inermi al blocco della offerta infrastrutturale del Paese. Ebbene, la realizzazione del ponte sullo Stretto può, a mio avviso, diventare una grande occasione non per riaprire un dibattito o riaccendere uno scontro ma per far uscire allo scoperto proprio coloro che hanno per anni ricoperto il ruolo dei sostenitori dell’opera e nei fatti poi hanno preferito il fallimento della iniziativa progettuale.

Lancio a questo punto una proposta, forse una sfida: in occasione della definizione del Programma comunitario 2021-2027, dopo il fallimento della mancata spesa delle risorse assegnate alle infrastrutture relative al Programma 2014-2020 (appena il 4% di circa 46 miliardi di euro), le Regioni Calabria e Sicilia destinino il 40% dei rispettivi fondi Por (Piani Operativi Regionali) alla realizzazione del ponte, mentre le altre Regioni del Mezzogiorno continentale (Puglia, Basilicata, Campania, Molise e Abruzzo) destinino solo il 10% delle rispettive assegnazioni. In realtà le Regioni continentali del Mezzogiorno direttamente ed indirettamente beneficeranno di una simile opera. In tal modo sarebbe possibile ottenere tre distinti risultati significativi:

la spesa sicura, in sette anni, di una quota rilevante delle risorse previste nel Programma 2021-2027;

la realizzazione di un’opera che davvero trasferisce nel Mezzogiorno un volano elevato di risorse;

un aumento del Prodotto Interno Lordo nelle aree meridionali prima ricordate di almeno un punto percentuale all’anno.

Lo so sono proposte che rimarranno tali perché purtroppo siamo tutti d’accordo nel ricercare la crescita ma preferiamo solo ricercarla.

Tratto da Stanze di Ercole

Aggiornato il 03 settembre 2019 alle ore 14:01