Ha ragione Luca Ricolfi che dalle colonne de “Il Messaggero” di sabato scorso sottolinea l’insulsaggine della proposta di “Liberi e Uguali” sull’abolizione delle tasse universitarie. Ha ragione ma non basta, perché è proprio sul concetto di tassa che i comunisti, i postcomunisti, i cattocomunisti e compagnia cantante hanno sbagliato e devastato il devastabile. Anzi, a dirla tutta si potrebbe affermare che sul tema, a sinistra, più che un concetto ci sia sempre stato un preconcetto oltretutto piuttosto ipocrita.
Del resto è proprio interno all’ipocrisia che in Italia si è sviluppata una linea politica di governo cattocomunista economicamente devastante per contribuenti e debito pubblico. Quando, infatti, il principio della tassa si utilizza per mortificare la ricchezza, fare assistenzialismo, statalismo clientelare e compensare lo spreco e lo sperpero di Stato, il Paese finisce in ginocchio, piegato dai debiti e dall’inefficienza. Insomma, se le tasse non si usano per lo sviluppo del sistema dentro il quale ovviamente al primo posto deve esserci la redistribuzione e la giustizia sociale, si finisce a ramengo.
La storia dell’Italia repubblicana è un po’ così, nella sua prima fase si è del tutto o quasi trascurato il concetto fiscale a favore del cattivo utilizzo del debito pubblico, nella seconda si è iniziato a lavorare sul fisco, rendendolo sempre più complicato, pervasivo, pesante e persecutorio. Insomma, da noi si è cominciato tardi e male, molto male, a pensare intelligentemente alle tasse e alla vera ragione per cui devono esistere ed essere pagate. Come se non bastasse, per decenni la sinistra ha fatto passare l’idea che la ricchezza fosse una colpa, una vergogna, un privilegio ingiusto da attaccare con ogni mezzo. Per i “compagni” dunque la ricchezza era intesa solamente come un male da sconfiggere, anziché un fattore da stimolare per essere in parte redistribuito equamente e a vantaggio della crescita collettiva.
Bene, anzi male, l’utilizzo distorto negli anni di questi due elementi, il deficit spending e la fiscalità, ha piegato così tanto l’Italia da renderla il colabrodo insostenibile che vediamo. Tanto è vero che oggi ci si ritrova con il terzo debito planetario, un sistema pubblico gigantesco, furbetto e inefficiente, una fiscalità troppo alta, ingarbugliata e aggressiva. Inoltre questo vergognoso andazzo ha generato una guerra senza frontiere fra fisco e contribuenti, una indignazione collettiva per il malfunzionamento dei servizi, una sfiducia totale verso la politica. Per non parlare della corruzione intorno agli sperperi di Stato, della violazione dei diritti del contribuente, della devastazione clientelare nella previdenza, dei favoritismi nell’utilizzo delle risorse collettive.
In definitiva, le tasse servono allo sviluppo e il deficit spending pure, solo così il Paese cresce e garantisce un ritorno utile alla redistribuzione, all’equità sociale, alla fornitura di servizi di qualità, alla creazione di infrastrutture efficienti e dell’occupazione. Ecco perché diciamo che questa stortura sulle tasse nei concetti della sinistra e del centrosinistra nostrani hanno piegato colpevolmente l’albero italiano. Al Paese serve come il pane quella che è sempre mancata, l’opzione laica e liberaldemocratica, solo in questo modo ci si potrà riprendere e guardare veramente a un futuro migliore per tutti.
Aggiornato il 23 gennaio 2018 alle ore 08:18