No, no e poi no. Non ci siamo conte Paolo Gentiloni; non ci siamo con i suoi appelli indirizzati ai privati per farli investire nel Mezzogiorno perché “oggi ci sono le condizioni anche grazie a un contesto fiscalmente favorevole”. Non c’era bisogno del suo appello perché le imprese sanno leggere la realtà e sanno anche sfruttarla. Le imprese non hanno bisogno solo di qualche “aiutino fiscalmente favorevole”, ma hanno anche bisogno di infrastrutture con le quali si possono abbattere i tempi di trasporto delle merci prodotte.
È questo che fa la vera differenza tra una zona e l’altra. Il Sud dell’Italia non ha le infrastrutture in grado di farla competere col resto del Paese. La stessa autostrada, che il pifferaio di Rignano sull’Arno esaltava come autostrada a quattro corsie per senso di marcia, non solo non ha queste caratteristiche (che esistono solo per i primi 54 chilometri da Salerno in giù), ma è rimasta a tre corsie per 337 chilometri mentre, per essere realmente completata, ne mancano ancora 52; chilometri di strada rimasti così come erano stati costruiti nel lontanissimo 1972 (si tratta di quattro tronconi tra i più pericolosi in assoluto).
Ma da Salerno in giù mancano anche l’Alta Velocità e l’Alta Capacità, che continueranno a mancare anche dopo l’inaugurazione della stazione di Afragola. Chi da Reggio Calabria, infatti, deve andare a Roma in treno, è costretto a impiegare, per circa la stessa distanza, il doppio del tempo che serve per raggiungere Milano da Roma. È tutto il profondo Sud che soffre anche l’isolamento per la grave contrazione dei voli su Reggio Calabria e la mancata modernizzazione degli aeroporti siciliani.
A conti fatti, le imprese che decidessero di dare ascolto a Gentiloni e localizzassero le proprie imprese nel Mezzogiorno, si troverebbero a produrre merci che usufruiscono (!) “di un contesto fiscalmente favorevole” ma sarebbero letteralmente fuori mercato. Ma allora perché questo invito signor Conte? Il suo sembra proprio un classico discorso elettorale, un semplice spot per catturare consensi sia nel voto amministrativo dell’11 giugno che nel probabile voto politico d’autunno, e anche nel voto regionale siciliano (5 novembre prossimo), voto che invece deve chiudere con la Giunta Crocetta facendo eleggere chi sa opporsi alle scelte suicide dei governi centrali.
Forse, avrà pensato il conte, non costa nulla invitare a investire nel Mezzogiorno. Nessuno potrà accusarmi di promettere e non mantenere (che è la specialità usata dal Matteo di Rignano). Lui, il conte, l’invito l’ha fatto, che colpa ne avrebbe se le imprese sono letteralmente sorde? Gliele ricordiamo noi le sue colpe, anche perché sono recenti. Prima ha dato l’ok al Def, caratterizzato da investimenti al Nord e studi al Sud (ma quanto vorremmo invertire, per un anno solo, l’attuale realtà con studi al Nord e investimenti al Sud); e poi ha esultato per la falsa “via della Seta” perché i cinesi gli hanno promesso qualche piccolissimo impegno nell’uso dei porti di Venezia e Trieste.
Ma sono proprio questi ultimi due episodi a dimostrare la cecità non delle imprese (che chiaramente pensano solo al loro interesse), ma quella della nostra classe dirigente che ignora le opportunità che il traffico mercantile offre al Belpaese. Parliamo di classe dirigente perché Gentiloni non ha fatto altro che quello che hanno fatto gli altri tre premier abusivi, cioè ignorare il fiume d’oro che scorre nel Mediterraneo e che, se indirizzato bene, farebbe la ricchezza dell’Italia. Lo stesso Mezzogiorno otterrebbe una salutare svolta col Ponte sullo Stretto e l’Alta Velocità che sancirebbero la fine dell’isolamento e l’utilizzo dei propri porti senza nulla togliere agli altri porti italiani. Il fiume di container che scorre mensilmente nel Mediterraneo farebbe lavorare tutte le realtà portuali mentre, con l’Alta Velocità, diventerebbe concreta la sfida turistica, anche per il Sud, evitando di raggiungere Messina via mare, saltando un pezzo di Mezzogiorno, con l’imbarco a Salerno.
Aggiornato il 08 giugno 2017 alle ore 17:29