Appeso all’Istat

Così come Matteo Renzi, Paolo Gentiloni si aggrappa all’Istat per cantare vittoria e tenere alto il morale del Paese. Peccato che non sia così.

Il mondo delle statistiche, si sa, è fatto di numeri, campioni, percentuali, indicatori e probabilità, intorno ai quali, a essere bravi, si può addirittura decidere quale taglio dare alla notizia. Insomma, è la vecchia storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, del pollo di Trilussa, oppure dell’effetto dell’ora legale. Spostare in avanti le lancette, infatti, fa credere a molti che ci siano più ore di luce nelle 24 che ci toccano. Non è così ovviamente, ma un artifizio che conviene.

Altrettanto con le statistiche può convenire l’utilizzo di un calcolo piuttosto che di un altro, di un dato anziché dell’altro, di un riferimento al posto di uno diverso. Basti pensare al famoso “paniere”, è sufficiente metterci dentro alcuni prodotti scelti ad hoc per determinare a piacimento il risultato o la tendenza preferita. Con la tecnica della ricerca sociale, in sostanza, si può inserire o disinserire, utilizzare o meno, un metodo, un calcolo, una quota di fattori, di cifre e di rilevazioni tali da adattare gli orizzonti.

Del resto la tecnica antica del modo di confezionare la notizia fa parte anche di quell’arte giornalistica ampiamente e purtroppo universalmente utilizzata; dunque nulla di nuovo. L’informazione può estrapolare dal contesto una frase e fissarla ad hoc per un annuncio positivo o negativo, a favore o contro, per osannare o crocifiggere. Sondaggi, statistiche, rilevazioni a campione e totalizzatori possono fare altrettanto e rendere per questo più o meno amaro, più o meno appetibile, un percorso, un traguardo, un risultato atteso.

Insomma, volendo esagerare potremmo dire di essere al tutto e al suo contrario, un ossimoro, oppure al palindromo da leggere in un verso ma anche nel contrario. Del resto che i dati suggestionino, condizionino, spingendo all’ottimismo piuttosto che al pessimismo, è noto. I consumi, ad esempio, dipendono più dalla testa che dal portafoglio. Ecco perché, specialmente in certi passaggi, la politica da noi, ma non solo, ha bisogno di incrementare almeno in parte lo scenario virtuale, fornendo per questo i dati necessari.

Serve per la gente, per alzare i cuori, incrementare la fiducia, guardare con più ottimismo le cose. Serve ma non basta, oggi poi basta sempre meno. Sempre meno perché i cittadini la misura se la fanno da soli, come si fanno i conti e i calcoli; lo fanno quotidianamente, settimanalmente e peggio che mai alla fine del mese. Lo fanno quelli che lavorano e disperatamente quelli che lo cercano o l’hanno perso, lo fanno con le bollette, le tasse, la spesa, la benzina e le pratiche da sbrigare.

Insomma, gli italiani l’Istat personale dal Nord e specialmente al Sud ce l’hanno in casa e se non bastasse ce l’hanno al bar, alla fermata degli autobus, in treno o al mercato. Ce l’hanno per strada, nelle periferie stracolme di immigrati sconosciuti, nel numero dei rovistatori di pattume, nei cinghiali, nei topi e nei gabbiani che girano nelle città trasformate in zoo. Gli italiani l’Istat se lo portano dietro tutti i giorni quando entrano in un ufficio pubblico, ricevono cartelle fiscali, oppure aspettano una visita medica o chiedono un prestito in banca. In conclusione, la gente l’Istat ce l’ha sulle spalle e sulle dita delle mani per vedere e misurare lo stato e la realtà inequivocabile della vita e del Paese. Ecco perché gli annunci di successo e di rinascita, di vittoria e di benessere, non bastano e non possono bastare. Del resto, a proposito di statistiche, ci sarà un motivo se la sfiducia, il disagio, la rabbia della gente verso la politica, la classe dirigente e l’amministrazione sono ai massimi livelli di sempre.

Aggiornato il 26 giugno 2017 alle ore 12:47