La credibilità italiana in punti percentuali

Per Paolo Gentiloni si è concluso il primo vertice da presidente del Consiglio con la cancelliera tedesca Angela Merkel. E non sono passate inosservate le parole del Premier, secondo cui l’Unione europea adotterebbe “una sorta di flessibilità a corrente alternata: molto rigida sui decimali dei bilanci e molto ampia sulle questioni fondamentali come la questione migratoria”.

È, in fondo, la stessa critica che, per tutto il suo mandato, lo stesso Renzi Matteo ha mosso all’Ue. Con un bersaglio preciso: la Germania. Solo che, questa volta, Gentiloni non è un “ambasciatore”, ma il Premier. Il quale deve dare prova al “gendarme d’Europa” che il suo Governo non è “balneare”, ma solido abbastanza da poter affrontare l’attuale situazione esplosiva per l’Unione europea (crescita, migranti e Brexit). Senza dimenticare che bisogna, in ogni modo, mettere un argine al populismo montante per la crescente sfiducia delle persone verso il progetto europeo. Sono tutti dossier complessi, che richiedono Esecutivi stabili e competenti.

Ma in quel discorso su un’ Europa con “flessibilità a corrente alternata” fatto da Gentiloni, forse, un rifermento ad un altro dossier aperto per l’Italia c’è. E stiamo parlando del negoziato in corso tra Roma e Bruxelles relativo ad un (eventuale) sforamento del deficit strutturale del nostro Paese, per poco più di 3 miliardi di euro. Al termine del vertice, dichiarazioni su questo argomento non ce ne sono state. Ma le parole di Gentiloni, oltre a ricalcare le posizioni del suo predecessore, non possono essere casuali, vista la concomitanza delle cose.

Perché i 3,4 miliardi di euro, rispetto ai 1500 miliardi di Pil dell’Italia, rappresentano proprio quei “decimali di bilancio” di cui fa menzione Gentiloni. Ovvero, sono precisamente lo 0,2 per cento del Prodotto interno lordo. Soldi, certo. Ma non cifre da far tremare i polsi e da mandare un Governo in crisi, se pur costretto a fare una correzione di bilancio attraverso una “manovrina”.

Anche il sottosegretario all’Economia, Enrico Morando, ha criticato molto, nei modi e nel merito, l’iniziativa della Commissione europea verso l’Italia. Affermando con forza la sua contrarietà ad una qualsiasi operazione che incida negativamente sulla crescita italiana. Perché, se ci sarà, probabilmente la manovra conterrà solo tasse, visto che di tagli non se ne parla. E in tempi dove il voto è sempre dietro l’angolo, ogni centesimo tagliato, o tassato, può essere una zavorra per il Governo in carica. Ma l’effettiva bassa percentuale (lo 0,2 per cento) del (presunto) aggiustamento, qualche riflessione in più la fa fare. Perché, a prima vista, potrebbe aver ragione Gentiloni a lamentarsi di una richiesta del genere, la quale incide soprattutto a livello “mediatico”. In un momento, per giunta, decisamente difficile per l’Italia e l’Ue.

Ad un aggiustamento, senza tutto questo clamore, ci si poteva anche arrivare per altre vie, dando fiducia all’Italia. Che, in fondo, è un Paese, come ricordato, che produce ricchezza per quasi cento volte. Ma allora, se l’aggiustamento non è “sostanziale”, perché ci è stato comminato? Forse, come fatto notare dall’economista Michele Boldrin, è una sorta di “avvertimento” che la fiducia verso il nostro Paese è finita, dopo il credito enorme che l’Unione europea ha dato a Renzi ed al suo Governo. È il segnale, secondo il professore della Washington University di St. Louis, di “un Paese che continua a declinare economicamente, che è incastrato”.

I numeri parlano chiaro, anche se sono sempre interpretabili a seconda del verso che si sceglie per leggerli. Però l’Italia continua a crescere poco, mentre il suo debito pubblico aumenta inesorabilmente. Inoltre, siamo in un anno elettorale importante per tutta l’Europa, con il voto previsto in Paesi cardine come Francia e Germania. Il solo dire di voler dare credito all’Italia, sarebbe per chiunque una pessima idea elettorale. Non siamo ritenuti affidabili. Anche se sul problema immigrazione siamo stati il Paese che più ha saputo, visti i numeri, dare risposte concrete ed umane. Ma l’immigrazione, si sa, è anche questo un cattivo tema elettorale, visti i populismi in giro. Ma la credibilità può essere “altro” anche rispetto a numeri per noi impietosi. Se la nostra classe dirigente non lo comprende, non sarà più questione di uno “0,2 per cento”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:18