Nella tana del coniglio

Negli ultimi quattro anni la Banca centrale europea ha tentato di tutto per produrre crescita e inflazione, ma ha ottenuto l’esatto contrario: meno crescita e più deflazione. Dopo quattro anni dal famoso “whatever it takes”, Mario Draghi è al punto di partenza. Il presidente della Bce, per perseguire l’obiettivo dell’inflazione del 2 per cento ha ridotto il tasso di interesse non una volta, non due, neppure tre ma ben quattro volte e infine li ha portati sottozero. Ha ampliato il Quantitative easing da 60 a 80 miliardi di titoli pubblici e ora ci prova con i corporate bonds emessi da società non finanziarie, controllate per giunta da società estere, le quali vista la convenienza a comprare euro per indebitarsi a tassi infimi, lo stanno rivalutando. La svalutazione della moneta unica proprio non gli è riuscita: l’inflazione ufficiale nell’Eurozona è negativa (-2 per cento). Un fiasco completo.

“Entrata nella tana del coniglio, Alice precipita in un buco profondo senza punto riflettere come mai avrebbe fatto per riuscirne fuori”. Purtroppo non siamo nel Paese delle meraviglie ma nel mondo reale e al fondo della tana non ci aspetta un’avventura fantastica, ma l’incubo. Si tratta ora di capire quanto è profonda la tana, anzi la trappola in cui il coniglio Draghi ci ha fatto precipitare.

Innanzitutto, perché questa ossessione dell’inflazione? Draghi crede che facendo pagare di più il carrello della spesa ai consumatori metta l’economia sulla strada della crescita? Crede che l’inflazione produca occupazione? Se il raggiungimento dell’inflazione fosse il vero problema dell’Eurozona, ci sarebbe un metodo infallibile per crearla subito senza tante contorsioni monetarie: basterebbe aumentare l’Iva sui beni di consumo del 2 per cento. Et voilà l’inflation. Sarebbe allora finalmente chiaro (soprattutto ai media) che l’unico suo effetto sarebbe la riduzione del potere d’acquisto dei consumatori, non la crescita economica. Ma Draghi fermamente rivendica il sacro mandato della Banca centrale europea: la stabilità dei prezzi. Già e poi cos’ha risolto? La stabilità dei prezzi nell’Eurozona già c’è. Stabilità significa che i prezzi non variano. È così grave che i prezzi siano gli stessi dell’anno scorso e di quello precedente? Perché forzarne l’aumento e penalizzare i consumatori? Il problema, ovviamente, non è la stabilità dei prezzi. Il vero problema è che l’inflazione monetaria serve a puntellare i traballanti mercati borsistici e obbligazionari che, senza stimoli monetari, si affloscerebbero e, ovviamente, sostenere i governi che ormai si indebitano solo per pagare gli interessi. Aumentare la velocità della circolazione della moneta, il numero di volte che l’euro passa da una mano all’altra, non serve a nulla se l’euro trasferisce perdite, o guadagni speculativi invece di guadagni di produttività. Incrementare la dotazione monetaria finora è servito a trasferire consumi e perdite ed a tassi sottozero non produrrà né inflazione, né crescita ma deflazione perché le persone spenderanno sempre meno e risparmieranno di più per compensare l’inesistenza dell’interesse. È così difficile capirlo?

La Bce vuole che le banche eroghino più credito possibile e a tal fine ha imposto l’interesse negativo dello 0.4 per cento sulle loro riserve di liquidità in eccesso per forzarle a fare prestiti. Draghi crede che la crescita sia in funzione dei prestiti, non importa quali e quanti. Più si presta, più c’è crescita. Questa è una teoria elementare con conseguenze nefaste. Il credito deve generare reddito e rifluire nelle banche, altrimenti circola come un veleno moltiplicando investimenti speculativi e antieconomici che alla fine si risolvono in bolle generando panico (ci si è dimenticati della crisi dei mutui di dieci anni fa?).

Si presume che le banche siano istituzioni conservatrici e che per proteggere il denaro dei clienti mantengano riserve in eccesso che depositano presso la banca centrale. Le riserve rappresentano il margine di sicurezza per le esigenze di liquidità dei clienti. Ma dal 2014 Draghi ha imposto su tale margine di sicurezza un’imposta. Misura folle che rende le banche ancora più illiquide. Solo in Germania si è avuta una ribellione a questo diktat finanziario: l’associazione delle banche bavaresi ha infatti raccomandato alle associate di non depositare più le riserve presso la Bce, ma di tenerle in contanti proprio allo scopo di proteggere la clientela.

Draghi finalmente è riuscito a formalizzare l’eliminazione della banconota da 500 euro, ma non perché fosse uno strumento per attività illegali. Draghi vuole creare un sistema finanziario che distrugga l’incentivo a risparmiare per incoraggiare debito e consumo e siccome già avverte i prodromi della prossima crisi, vuole intrappolare i risparmiatori. La dismissione delle banconote è un passo importante verso l’obiettivo dell’eliminazione del contante e l’imposizione aggressiva di tassi negativi per impedire corse agli sportelli e per costringere il pubblico a spendere per creare inflazione.

In tale scenario, nessuna persona razionale terrebbe soldi in banca ma Draghi vuole obbligare a depositarli in banche illiquide per essere soggetti a tassazione. Una tassa sul denaro già tassato! Paradosso da Alice nel Paese delle banche che ha il suo lato comico perché eliminando il contante sparirebbero quelle transazioni tipicamente in contanti, droga e prostituzione, che i governi bancarottieri hanno incluso nei loro Pil per rivalutarli, in media, di un punto. Ancora una volta, tentando di seminare inflazione, Draghi raccoglierà deflazione.

Nell’Eurozona sono stati già emessi quasi 3 trilioni di titoli con rendimenti negativi: chi li compra ha la certezza sicura di perdere. Come faranno fondi pensione e assicurazioni che li hanno in carico ad erogare pensioni e premi con capitali che non rendono? Quanto valgono i loro bilanci con attivi negativi? Lo stesso dicasi delle banche. Con i tassi di interesse negativi Draghi ha reso il sistema finanziario potenzialmente insolvente. È questa licenza di distruggere che egli chiama indipendenza politica della Banca centrale? I tassi di interesse negativi sono una prospettiva terrificante: qualunque cosa si faccia, si perde. Sono una doppia tassa. Una sul capitale attuale e una sui futuri redditi. La prima è peggiore della seconda in quanto perdere quello che si già guadagnato è molto più grave di perdere presunti guadagni futuri. Oggi ciò che conta è dunque solo la preservazione del capitale a rischio di espropriazione. L’esatto contrario di ciò che incentiva la crescita. Tutto il sistema bancario e finanziario sembra essere stato escogitato apposta per impoverire la classe media e causare il collasso definitivo. Intanto è la collettività dei risparmiatori che sopporta i costi dello sfacelo in atto.

La morale depravata di Alice nel Paese delle banche è appunto questa: i danni delle politiche monetarie sono a carico della collettività che dovrà essere sempre più tassata per consentire agli autori dei danni di continuare indisturbati e impuniti a farne altri. Qualche storico del futuro riflettendo sulla nostra epoca forse si chiederà: come è stato possibile che intere popolazioni abbiano lasciato ad una istituzione il potere assoluto di combinare un disastro così grande sotto i loro occhi?

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:37