In salita la strada per Cairo sul Corriere

Un groviglio di banche e avvocati. E soprattutto di debiti. La mossa di Urbano Roberto Cairo che ha annunciato a sorpresa un’Offerta pubblica di scambio (Ops) sul gruppo del Corriere della Sera sta facendo discutere il mondo imprenditoriale e del credito milanese.

Dopo la fusione tra il gruppo De Benedetti (“la Repubblica” e i 17 quotidiani locali, più “L’Espresso”) e “La Stampa” della famiglia Agnelli (con “Il Secolo XIX” in cui pesa ancora la famiglia Perrone) le concentrazioni editoriali sono il segnale con il quale i gruppi cercano di giocare un ruolo che li ponga in pole position negli incroci tra i media. E lo fanno all’interno di una legislazione vecchia in cui non è stato aggiornato il criterio del Sistema integrato delle comunicazioni (Sic) che avrebbe dovuto indicare i paletti per non superare la soglia di posizione dominante. Sono, infatti, tutti da chiarire gli sviluppi dell’acquisizione da parte della Mondadori di Rcs Libri e l’accordo tra l’imprenditore Vincent Bollorè e la famiglia Berlusconi sul passaggio del controllo di Mediaset Premium a Vivendi e dei sottostanti accordi tra i due gruppi.

La forzatura delle regole da parte del gruppo Caltagirone fa il resto con lo stravolgimento di relazioni sindacali e schemi contrattuali consolidati nel tempo. In movimento anche la Rai (a parte la questione dell’odiato canone in bolletta bocciato dal Consiglio di Stato) la cui struttura tripartitica di una volta fa acqua da tutte le parti, non migliorata, certo, dall’immissione di una miriade di personaggi esterni a contratto triennale.

La partita per il controllo del “Corriere della Sera” è stata lanciata con l’Ops subordinata all’assunzione da parte del pool che vanta crediti per 423,6 milioni dell’impegno a rinunciare al rimborso anticipato dei prestiti in conseguenza del cambio di controllo in Rcs e di una moratoria sul debito fino alla data di approvazione del bilancio 2017. L’indebitamento globale Rcs sul quale sta lavorando il nuovo amministratore delegato Laura Cioli è di 487 milioni.

L’editore pubblicitario, della tv “La7” e presidente del Torino calcio deve scalare due montagne: avere l’assenso del pool creditizio e convincere gli azionisti. La prima operazione di Cairo sono gli incontri con le banche creditrici. In prima fila Banca Intesa che vanta 162,4 milioni ma è anche azionista di Rcs con una quota del 4,176 per cento e che tramite Banca IMI assiste Cairo come advisor nell’Ops. Secondo creditore è la Banca IMI con 108 milioni di esposizione. Seguono Unicredit con 54,4 milioni, Bnp Paribas con 40,55 milioni, Banca Popolare di Milano con 40,55 milioni e Mediobanca con 17,7 milioni. Le regole del consorzio prevedono l’unanimità sulle decisioni relative al finanziamento ed eventuali dissensi potrebbero essere superati soltanto con il subentro di un altro istituto.

Uno dei passaggi chiave dell’offerta è allora ottenere l’ok delle banche. Gli schieramenti si vanno definendo con le due banche azioniste, Intesa San Paolo e Mediobanca, su posizioni diverse. L’amministratore delegato Carlo Messina di Intesa San Paolo, l’amministratore delegato Victor Massiah di UBI Banca e l’azionista Giovanni Tamburi favorevoli all’operazione Cairo. I vertici di Piazzetta Cuccia sono contrari all’offerta Cairo. Le divergenze tra il ceo Alberto Nagel e Gaetano Miccichè sono di lunga data e si ricollegano agli ultimi passaggi chiave che riguardano le vicende del Corriere e soprattutto la gestione del debito e il cambio del management. Mediobanca, Della Valle, Unipol, Tronchetti Provera hanno spinto affinchè il Consiglio di amministrazione, guidato da Maurizio Costa, definisse “ la proposta Cairo non congrua e non concordata”.

Da qui è nata la richiesta di un intervento della Consob per una valutazione sulla correttezza delle condizioni poste da Cairo Comunication a partire dalla questione del prezzo troppo basso secondo gli azionisti dell’ex patto alla moratoria della scadenza del debito, anche perché questa interferisce sulla trattativa in corso con le banche finanziatrici di Rcs.

Nella vicenda ci sono anche i dubbi relativi all’annuncio fatto da Sergio Marchionne della distribuzione della partecipazione Fiat Chrysler Automobiles ai soci tradizionali. Cruciale allora sarà il mercato, tenuto conto che con la distribuzione della quota Fiat ai suoi azionisti il flottante salirà intorno al 60 per cento in buona parte in mano a Fondi esteri con Schroders e Vanguard in prima fila.

L’imprenditore piemontese dovrà faticare molto per convincere gli azionisti dato che la condizione subordinata all’offerta è l’adesione di almeno il 50 per cento del capitale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:21