L’Europa al bivio   tra moneta e pensiero

Il sogno di poter unire sotto l’egida della cooperazione, Stati che per millenni si sono sanguinosamente combattuti è la conferma di quale passaggio nella storia dell’uomo rappresenti la costituzione di un’Unione europea. Arnold J. Toynbee, nella sua visione dell’evoluzione e declino delle civiltà (“Civiltà al paragone”, 1947), indicava un percorso di cooperazione che potesse diventare un ordine mondiale condiviso; un “bene comune” verso cui tutte le nazioni dovrebbero convergere, superando le naturali controversie, perché una civiltà di ordine superiore può essere possibile solo con la cooperazione dei cittadini e la loro volontà di superare i loro interessi privati verso il bene comune. Oggi la realtà ci riporta con i piedi per terra a confrontare i desideri con i problemi dell’uomo e dei suoi nazionalismi e quanto siamo lontani da quelle visioni di respiro culturale distratti dall’esclusiva dimensione monetaria dei problemi.

La debolezza dell’Unione (monetaria) europea dipende dall’incapacità di superare gli interessi economici dei singoli Paesi, perché questi sono messi in primo piano e dettano l’agenda delle priorità della società. Se leggiamo la storia e proviamo a sperimentare l’idea che la società, invece, è fondamento dell’economia potrebbe apparirci chiaro che una rinuncia a un interesse particolare oggi può avere una maggiore ricompensa domani. Solo nel lungo periodo la crescita del sistema è il bene per tutti e forse sarà ancora la paura di perdere tutto che ispirerà la virtù del popolo europeo ad andare avanti. Il tema della tenuta dell’Euro, valore monetario simbolico di un’unione monetaria ma non politica e culturale, va ben al di là del solo problema economico e finanziario, ma rappresenta una sfida sociale. Nel momento in cui la storia ci sta chiedendo di scrivere una nuova pagina del suo libro, le ancestrali tendenze della natura umana sembrano continuamente oscillare fra aggressività e socialità in una dimensione di pensiero privo di creatività e di spessore. Alcuni Paesi dal momento dell’entrata nell’Euro hanno fatto una politica di spesa pubblica dissennata, correndo dietro la ricerca del consenso nel breve periodo e aggravando continuamente la spesa corrente, anche in modo illecito. L’incremento del debito dei singoli Paesi è stato favorito da una politica eterea e dal dogma della finanza razionale eretta a verità incontrovertibile contro ogni logica. L’Ue si costituisce nel 2001 a ridosso della totale e dissennata deregolamentazione fatta nel 1999 dalla Federal Reserve di Alan Greenspan di tutti i titoli tossici che come le locuste hanno invaso l’Ue creando le premesse perché la politica cicala si indebitasse e venisse messa alla garrota. La prima responsabilità dell’Ue è stata di non volere capire il pericolo per la sudditanza verso la finanza degli Usa totalmente lontana dalla nostra storia e cultura arginando con una sua regolamentazione il vento della speculazione finanziaria usata come arma egemonica.

La guerra finanziaria scatenata da Wall Street con la campagna d’Europa (2010-?), dal loro modello socioculturale, così, ha avuto facile presa su un terreno maldestramente preparato e ha sollevato i conflitti di fronte a cui ci troviamo, tutti pronti a cercare un responsabile, ma cercare di addossare agli altri le proprie responsabilità nei tempi avversi è ancora più pericoloso che il credere in una prosperità infinita. La sfida si gioca su modelli socioculturali diversi: la cultura anglosassone si basa sul mercato mentre quella europea è fondata sulla solidarietà e sul welfare, quindi in netta opposizione. Certamente l’azione di forza verso la moneta europea ha altre motivazioni che non la sola sostenibilità finanziaria e lascia aperta l’idea di un pregiudizio strumentale e manipolatorio nelle valutazioni delle agenzie di rating che continuano ad attribuire agli Usa, prossimi ad un collasso socioculturale senza precedenti, la tripla A. Era del tutto evidente che l’Ue di fronte ad asimmetrie di giudizio delle agenzie di rating derivanti da modelli culturale diversi fosse indispensabile la costituzione di un’agenzia di rating in grado di mediare tra la cultura assoluta del mercato Usa e quella del welfare europeo. La forza della moneta ha prevalso sulla debolezza del pensiero.

La politica monetaria di austerità ha avuto nella Germania la massima espressione della sua storia di dominio che ha radici antiche. Toynbee nel 1947 in “Civiltà al paragone” (p. 201) scriveva: “In un’Unione europea che escluda tanto gli Stati Uniti quanto l’Unione Sovietica - e questo ex hypothesi è il punto di avvio per tentare di costruire una “Terza grande potenza europea” - la Germania deve venire fuori e al sommo, presto o tardi, in un modo o in un altro anche se questa Europa unita dovesse presentarsi all’inizio con una Germania disarmata, decentralizzata o addirittura divisa […] In qualunque forma la Germania fosse inclusa, di tale Europa essa diverrebbe, a lungo andare, la padrona: e quando la supremazia non potuta raggiungere con la forza in due guerre, fosse venuta alla Germania, sia pure, questa volta per vie pacifiche e graduali, nessun europeo non tedesco potrà credere che i germanici, col potere a portata delle loro mani, avrebbero la saggezza di trattenersi dal ricominciare ad agitare la frusta e a giocare di speroni “Un popolo è la storia di millenni, già Cesare nel “De bello gallico” notava che i Germani “Id quod volunt credunt” (credono quello che vogliono). Questa rigidità a due velocità è stata durissima nei confronti della Grecia, un Prodotto interno lordo come quello di Parigi ed un debito di 280 miliardi di euro, ma ha sempre sorvolato sulle responsabilità della Bundesbank che non è mai intervenuta sulla Deutsche Bundesbank da quando questa si è seduta al banco dei derivati con le banche d’affari di Wall Street legittimando proprio quei prodotti tossici che dovevano essere regolamentati e la mettono al primo posto al mondo come esposizione globale e rischio complessivo del loro spread: la Deutsche Bundesbank ha un debito pari alla metà del Pil tedesco e con derivati pari a 20 volte lo stesso che hanno determinato il crollo del titolo e l’esposizione al rischio: i 75mila miliardi di euro in derivati della Deutsche Bundesbank spaventano meno dei 280 miliardi di euro del debito greco? I conti ed i paragoni non tornano ed è del tutto evidente che i giochi sono altri. Comunque dopo l’invasione dei derivati proprio la Germania ha imposto un’austerity, per certi aspetti giusta, ma lasciando intoccati i prodotti tossici che hanno continuato a mordere la società europea. Wolfgang Schäuble ha mostrato un accanimento particolare da esattore delle tasse, qual’era il suo primo impiego, con una rigidità che il suo mentore Helmut Kohl, studioso di storia, non avrebbe mai attuato; ma Kohl era un grande politico. L’azione di indebolimento dell’unità europea è grave e pericolosa anche per chi lo promuove; d’altro canto la preoccupazione di un’Europa unita era stata espressa anche dall’ex presidente americano Richard Nixon, che la vedeva come temibile concorrente.

Nell’attuale perdurante cultura egemonica degli Stati Uniti il timore può essere fondato, ma se l’orientamento va verso una forma più collaborativa, anche loro non possono fare a meno di questa Europa; infatti per il bene del mondo è necessario che l’America si apra al mondo per renderlo più sicuro ma per farlo ha bisogno di un’Europa forte che sia vicina ma non più in posizione di sudditanza, come è stata pensata fino a oggi, perché i tempi sono cambiati. Senza una sua autonomia l’Europa rimane perennemente in mezzo al guado, nel suo ultimo libro Kohl rimarcava il fatto che la vicinanza con gli Usa era importante ma la posizione sua era di informare sulle decisioni prese ma non quella di prendere ordini. Oggi anche la posizione ostile contro la Russia è anacronistica sia in senso politico che economico; la storia della Russia è parte integrante della storia europea, così la sua letteratura (Gogol, Turgenev, Dostoevskij, Tolstoj), la sua cultura è europea ed infine la grande Caterina di Russia era tedesca e la porta di Brandeburgo è rivolta all’Est.

Il lascito dei grandi pensatori europei a partire dai Greci antichi è parte imprescindibile della cultura dell’uomo, qualunque esso sia; proprio a questa eredità si deve la formazione del pensiero che ci ha portato a una forma di unione. Il ruolo e il compito dell’Europa per questo motivo sembrano determinanti nel futuro dell’uomo, come erano stati splendidamente descritti da Romano Guardini nel discorso tenuto in occasione del conferimento del Praemium Erasmianum a Bruxelles nel 1962: “Perciò io credo che il compito affidato all’Europa (…) sia la critica della potenza. Non critica negativa né paurosa né reazionaria, tuttavia a essa è affidata la cura per l’uomo, perché essa ne ha provato la potenza non come garanzia di sicuri trionfi ma come destino che rimane indeciso dove condurrà. L’Europa è vecchia (…) oggi sembra rinnegare la sua vecchiaia e sorgere a una nuova gioventù, certo grandiosa ma anche pericolosa. L’Europa ha creato l’età moderna; ma ha tenuto ferma la connessione con il passato. Perciò sul suo volto, accanto ai tratti della creatività sono segnati quelli di una millenaria esperienza. Il compito riservatole, io penso, non consiste nell’accrescere la potenza che viene dalla scienza e dalla tecnica - benché naturalmente farà anche questo - ma nel domare questa potenza. L’Europa ha prodotto l’idea della libertà (dell’uomo come della sua opera); a essa soprattutto incomberà, nella sollecitudine per l’umanità dell’uomo, pervenire alla libertà di fronte alla sua propria opera” (“Europa. Compito e destino”, pag. 26).

Di fronte alla portata di questo pensiero le misere posizioni verso la Grecia non sembrano credibili se si pensa solo alla dimensione del debito, 1/10 del nostro, ma forse lo sono di più se si pensa alle implicazioni geopolitiche che una sua uscita dall’euro potrebbe significare. La chiesa greca è la madre di quella russa ed un ritorno ad una comune visione porterebbe ad uno sconvolgimento dell’assetto di un sistema Nato che comunque va ripensato alla luce delle modificate condizioni politiche.

Oggi siamo sempre qui a dibatterci in un confuso pensiero tra la cultura monetaria che ci sta strangolando e la cultura vera che abbiamo perso, nessuno sembra capire che se non si interviene sulla sovrastruttura di una finanza deregolamentata e sulla scelta di un’autonomia vera come soggetto politico globale non si risolverà niente.

(*) Professore ordinario di Programmazione e Controllo - Università Bocconi

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:29