Economia, cosa fare   per farla ripartire

Premessa

Lo sviuppo richiede una società con nuove strutture e comportamenti, che affronta nuovi problemi e attività e abbandona quelli vecchi e oramai superati, che sceglie le attività, le strutture e i comportamenti da assumere tra quelli che le possono essere più congeniali per tradizione, educazione, cultura, così da sfruttare i propri asset. Qui di seguito ne daremo un’indicazione succinta.

Eliminare le rendite di posizione

Il nostro Paese è caratterizzato dal fatto che qualsivoglia attività è organizzata per garantire la propria posizione e i propri occupanti, ossia è una rendita di posizione con posti fissi, possibilmente per la vita, attività fisse dal tassista agli insegnanti, dagli spazzini agli scienziati, dalle badanti ai notai e, naturalmente, i politici. Ogni cosa è regolamentata e conseguentemente garantita e il “merito” non viene preso in considerazione quasi mai; al suo posto contano l’appartenenza a corporazioni (nel più onesto dei casi, il titolo di studio) e l’età. Fare qualunque cosa al di fuori delle regole stabilite - come i tassisti di Uber - fa scandalo e viene proibita. Ognuno dovrebbe invece essere “libero” di svolgere qualsivoglia attività pur che la sappia fare, quasi sempre senza dover documentare (non dimostrare) la sua capacità, ma pagando duramente se bara al gioco. Del resto cosa garantisce, ad esempio, un titolo di studio vecchio di dieci anni con le nozioni apprese che avevano, nel migliore dei casi, almeno altri dieci anni d’età? Si debbono concepire nuovi modi per valutare le competenze, per mantenere o licenziare chi lavora, per remunerare le attività svolte, ma comunque abolire ogni rendita di posizione.

Individuare le grandi aree tecnologiche per il futuro prossimo...

Ricordiamo innanzitutto la stampante 3D con la quale si può progettare e costruire qualsiasi oggetto piccolo o grande, di qualsiasi materiale duro o morbido, di qualsiasi forma o classe di impiego, dal busto di Steve Jobs a una casa, una medicina, delle cartilagini o dei gioielli, i cibi. Qualche anno fa per la stampante 3D si è lanciato lo slogan “Good by China” e l’Economist ha scritto: “There is a lot of hype around 3D printing. But it is fast becoming integrated with mainstream manufacturing”. Tuttavia in Italia, pur con la sua tradizione artigianale e di piccole imprese si usa ancora troppo poco, per la ignoranza di operatori e di politici. Sta esplodendo il settore dei robot, e se ne sono accorti media e imprenditori; c’è chi addirittura afferma che fra qualche anno ogni attività condotta oggi dall’uomo sarà eseguita da robot. Tutta una serie di funzioni, volo, trasporto, osservazione, guerra, saranno compito dei droni. L’Internet delle cose - trasporto, organizzazione di magazzini, gestione delle attività agricole e di quelle industriali - è uno dei settori in via di sviluppo. I settori dell’alimentazione e dell’acqua si stanno rivoluzionando fino alla prospettiva dei cibi sintetici e di ottenimento e modo di impiego dell’acqua. L’energia ha aperte tutte le prospettive, dalle soluzioni convenzionali rese più efficaci (fossili, nucleare, rinnovabili), alla fusione nucleare e alle soluzioni quantistiche. Il più ambizioso dei progetti tecnologici è lo studio, sino alla sua costruzione, dell’uomo. Ricordo il progetto-cervello voluto da Obama, i primi interventi di modifica del nostro genoma per correggerne errori e gli studi per arrivare a migliorare le sue funzioni. Nel 2030 l’uomo sarà un ibrido col cervello connesso direttamente alla “nuvola” e a migliaia di computers...

e quelle organizzative...

La struttura sociale che si prospetta con la distruzione delle rendite di posizione e la scelta delle grandi aree tecnologiche per attuare uno sviluppo di tipo esponenziale, deve essere libera, senza vincoli, compreso quello del lavoro fisso, per garantire flessibilità di organizzazioni, operatori economici e produttivi, imprenditori e cittadini. La società che per svilupparsi si basa sull’innovazione deve essere mobile e senza regole fisse. Questo si traduce innanzitutto nella totale distruzione della burocrazia, cioè nel fatto che non ci dovranno più essere governi che fissano regole e leggi, né funzionari che le traducono in regolamentazioni che dirigono la società ma, viceversa, una società - rappresentata dai suoi cittadini, con le loro esigenze e prospettive - che dà le indicazioni ai vari livelli di governo su come tradurle in organismi e comportamenti che favoriscono e sostengono le mutevoli esigenze sociali e il loro sviluppo. Un ruolo essenziale dovrà essere giocato da tutte le istanze culturalmente preparate, tecno-scientifiche, etiche, organizzative, col rigetto di qualsiasi istanza ideologica se priva del supporto della ragione: a titolo di esempio anche la dichiarazione del Papa quale “l’estendersi delle coltivazioni di cereali transgenici distrugge la complessa trama degli ecosistemi, diminuisce la diversità nella produzione e colpisce il presente o il futuro delle economie regionali”, nell’Enciclica “Laudato sì”, non può essere accettata perché, così com’è enunciata, è parziale, di parte, e pertanto sostanzialmente falsa; inoltre “The Conversation” denuncia che “Pope’s climate letter is a radical attack on the logic of the market”.

Realizzare una tale società e gestirla pone un gran numero di problemi a partire da chi potrebbe governarla; a livello strettamente politico in Europa non saprei indicare nessuno e pochi a livello economico: tra questi Mario Draghi e soprattutto Ignazio Visco, uno dei rari "politici" che ha capito l'attuale evoluzione (si legga la sua XXX lettura del Mulino, Bologna, 18 ottobre 2014, “Perché i tempi stanno cambiando...”). Nel mondo Stati Uniti e Cina sono i soli Paesi preparati, ai quali si deve aggiungere Singapore. C’è una miriade di altri problemi (altri perché i politici si occupano dell’inutile e non del supervisibile che serve): i princìpi che governano i rapporti sociali e che debbono consentire la massima libertà senza che si danneggino i cittadini; il sostenere un’economia non di anatre zoppe ma di star, “working for the many, not for the few”; il capire perché si riesca a rendere più o meno equi (parità di diritti e opportunità tra uomo e donna, bianchi e neri, ecc.) sistemi mediamente avanzati mentre quelli iperavanzati rimangono appannaggio di élite, come è il caso della Silicon Valley ove dominano i maschi bianchi, mentre le donne inserite sono molto poche e ancor meno neri e spanish. Peter Diamandis si chiede allora: “Why is Silicon Valley better at innovating than most of the world?”, “Why are the number of successful startups so high there?” se vogliamo capire “Where is the next Mecca of tech-startup success going to emerge?”. Le startup europee sono ridicolmente più misere (anche se spesso non meno geniali), e ancor più quelle italiane.

Ma allora c’è bisogno dello Stato, e quale?

Certamente sì; ma, come è discusso in un dibattito pubblicato recentemente dal Club della Lettura: “La democrazia non basta: facciamo l’esame a chi comanda”. Lo studioso canadese Daniel A. Bell - che insegna all’Università Tsinghua di Pechino - sostiene che l’assetto istituzionale liberale possa essere superato, prendendo a modello Pechino con la sua strategia di cooptare dirigenti abili, anche se per l’Occidente è ancora troppo presto per farlo. La morte della democrazia, che Bell prefigura, non è violenta e dovrebbe portare ad una sorta di “meritocrazia politica” che, anche se non realizzata, sarebbe in fase di costruzione in Cina ove la “governance”, secondo Bell, funziona e prova la bontà di una selezione dei leader che prescinde dal voto popolare ma procede per cooptazione dei migliori. Egli lo sostiene su “La Lettura” e su un libro di prossima pubblicazione a Princeton, “The China Model”; le sue convinzioni ne fanno uno dei più autorevoli tra quegli studiosi occidentali interessati ai lati positivi del modello cinese e accusati di troppa indulgenza nei confronti di Pechino. Bisogna rendersi conto che l’alternativa alla società dell’innovazione e della crescita, e alla trasformazone dello Stato da democratico a meritocratico, è la stagnazione non provvisoria, ma “secolare”, ampiamente studiata - ad esempio da Roger Backhouse e Mauro Boianovsky - ma drammatica in un mondo la cui popolazione è in crescita e non si inventano nuove soluzioni e risorse. Compito dei governi è affrontare le insufficienze del mercato: beni pubblici, asimmetrie informative, settori di mercato prevaricanti, esternalità, una certa attenzione sui programmi di welfare conseguenza inevitabile del suffragio universale, discutendo il loro “design” appropriato e la loro scala. Ma i governi non soltanto debbono occuparsi, e gestirla, della produzione dei beni economici, ma intervenire per “raddrizzare” quelli che sono considerati fallimenti del mercato e sono invece i suoi successi, come l’eliminazione delle cosiddette anatre zoppe, o il sostegno delle attività di prestigio, come le linee aeree che non hanno altra giustificazione se non la rilevanza politica. Lo Stato sostenga invece la ricerca libera; i grandi progetti culturali, dallo studio del cervello all’eliminazione delle grandi malattie come il cancro - che sembra si possa oramai debellare - e la sclerosi multipla; programmi gli insegnamenti delle discipline principali, come le matematiche; programmi sistemi educativi che spieghino cosa sia la scienza e quanto inconsistente sia la sua negazione.

Per concludere

Mai i governi combattano il sapere, perché è sempre giusto, né lo dichiarino non naturale per due semplici motivi: perché il sapere non può fare ciò che le leggi della natura non consentono e perché l’essere umano è, a tutti gli effetti, un elemento ineludibile della natura se non il più rilevante e, pertanto, il suo intervento sulla natura non solo è naturale ma, in generale, benefico. Tutto quello che si studia è lecito e, anzi, doveroso. Si sta studiando la vita eterna, forse è possibile ottenerla, e se ne è occupato con intelligenza anche il Cardinale Gianfranco Ravasi, discutendo di “transumanesimo”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:28