Chiacchiere da caffè

Mentre, fra alti e bassi, l’economia italiana stenta a riprendersi e rimane per ora il fanalino di coda degli altri Paesi europei, i sacerdoti della teoria dei consumi ripetono fino alla noia la solita mezza verità. Da buon ultimo, Riccardo Illy l’altra sera ha ripetuto in televisione la lezioncina: se, ha detto, i consumi non aumentano gli imprenditori non investono perché non prevedono alcun aumento della domanda, per cui la ripresa economica non può che partire dalla “stimolazione” dei consumi.

In realtà, la storia economica insegna che prima viene la produzione (dunque gli investimenti) e solo dopo, se il prodotto piace, i consumi. Illy è evidentemente condizionato dal suo prodotto, il caffè, che in Italia ha una domanda sostanzialmente anelastica e, inoltre, non richiede alcuna complessa “ricerca e sviluppo” poiché, semmai, il caffè è un prodotto da eternare così com’é. Ma in larga parte dei settori manifatturieri la produzione che conta è quella nuova, generata appunto dalla ricerca e, ben s’intende, dall’assunzione di rischio da parte dell’imprenditore, convinto che il nuovo prodotto incontrerà il favore del pubblico. Purtroppo la ricerca e l’innovazione non sono molto di casa nell’industria italiana e, sebbene disponiamo delle migliori intelligenze e di ottime capacità tecnico-scientifiche, la propensione all’investimento e all’assunzione del rischio è una risorsa sempre più rara. È però un peccato che persone come Illy si facciano portavoce di dottrine che, sul piano storico e su quello pratico, non stanno in piedi contribuendo a diffondere l’idea, inconsistente, che sia la diminuzione del “potere d’acquisto” a generare le crisi e non viceversa.

Forse Henry Ford, gli Agnelli o magari Steve Jobs e i mille altri imprenditori che hanno creato o sviluppato l’economia dei beni di consumo durevole e non durevole, aspettavano l’aumento dei redditi monetari e dei consumi per investire e produrre nuovi oggetti o servizi? Com’è possibile che emerga, e poi aumenti, la domanda dell’iPhone se nessuno l’ha ancora concepito e poi prodotto? Nei più diversi settori industriali è esattamente l’offerta di un nuovo prodotto che “stimola” la domanda, non certo il contrario. Credere, ingenuamente o peggio, che sia la maggiore disponibilità di moneta a creare miracolosamente la crescita è davvero stolto.

Anni fa, Pierre Martineau raccontava l’episodio di un insediamento militare americano in centro America in cui c’era bisogno di scavare un lungo condotto in un prato. Non avendo forze sufficienti, il comandante offrì alla popolazione locale di collaborare. Molti aderirono ma il lavoro procedeva lentamente poiché i lavoratori prestavano la loro opera solo fino a quando raggiungevano un reddito settimanale sufficiente per acquistare ciò che da sempre li soddisfaceva: qualcosa da bere e da fumare e poco più per poi tornare alla “siesta”. Il comandante ebbe allora un’idea geniale: fece arrivare dagli Usa decine di copie dell’ultimo catalogo illustrato di un’azienda di vendite per posta e le distribuì. Il risultato fu clamoroso poiché, attirati dai beni illustrati nel catalogo - radio, chitarre, rasoi elettrici, giocattoli, aspirapolvere ecc. - i collaboratori aumentarono la loro dedizione allo scavo del condotto, che presto fu ultimato. Insomma, essi aumentarono la propria disponibilità di moneta solo perché, prima, qualcuno aveva prodotto e poi introdotto nel mercato quei beni. Ma, questo è il punto, li aveva concepiti, prodotti e poi introdotti nel mercato “a rischio”, perché nessuno può garantire il successo di un investimento.

Le continue lamentele che da decenni gli industriali italiani rivolgono al Governo sono in parte giustificate – vedi, per esempio, la questione della soffocante burocrazia o delle tasse e delle imposte troppo onerose – ma la radice del problema sta, in ultima analisi, nella propensione degli imprenditori, attuali o potenziali, ad innovare e produrre beni e servizi assumendo rischio. La cosiddetta “finanziarizzazione” dell’economia è un processo assai antico nell’Italia dei “furbi” mentre in altri Paesi esso convive con una robusta presenza di imprenditoria classica, cioè manifatturiera, che immette continuamente nel mercato grandi quantità di nuovi prodotti. Ora che la ciclicità della crisi è testimoniata dalla ripresa in atto in numerosi Paesi, è necessario guardarci negli occhi e capire se, in Italia, esistano risorse imprenditoriali comparabili, in quantità e qualità, a quelle degli altri Paesi ed all’altezza della concorrenza internazionale.

Certo, nessuna nuova imprenditorialità viene “stimolata” dalla perdurante dottrina della Chiesa cattolica la quale, come testimonia anche la recentissima enciclica, si attarda nel non capire (approvata in questo dalle sinistre) che una larga diffusione del profitto è esattamente ciò che ci serve anche perché sarebbe la prova dell’esistenza di imprenditori capaci e coraggiosi. Se ci sono, battano un colpo, facciano, e magari parlino un po’ di meno.

 

 

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:30