Etica e finanza: l’Inganno Globale

I termini “etica” e “finanza” sono termini che definiscono contenuti molto diversi fra di loro, il primo sta a significare un aspetto valoriale che attiene al comportamento dell’uomo nella vita individuale e sociale, il secondo, invece, indica un’attività strumentale dell’uomo con riguardo alla negoziazione di beni mobiliari.

La differenza non è di poco conto perché il primo termine, l’etica, differisce dalla scienza in senso stretto, in quanto i contenuti che esprime sono nella sfera emozionale dell’uomo e non è misurabile in termini quantitativi ma piuttosto in termini qualitativi in modo da esprimere un giudizio etico/morale. Il secondo termine, la finanza, esprime un’attività la cui condizione essenziale dipende dalla sua misurabilità e può essere studiata con il ricorso, anche, alle scienze esatte fondamentalmente in modo quantitativo. Nella sostanza la finanza essendo un sapere tecnico non è in sé né bene né male perché deve sottostare, al fine di avere un giudizio qualitativo, ad una valutazione etica in grado di attribuire a quel sapere tecnico il giudizio di bene o male. L’attribuzione di un giudizio positivo o negativo, bene o male, ad un’attività finanziaria dipende da come viene nel tempo declinato il principio etico, cioè quali elementi consentono di giudicare l’attività rispetto al fine a cui quell’attività è destinata.

Ricordiamo a questo proposito che proprio l’etimologia del termine etico deriva dal greco antico “ethos”, che stava a significare il posto dove l’uomo realizza la sua felicità, lo stare bene. Sempre nel greco antico collegato a questo termine era quello di “tekhné”, che stava a significare la tecnica, anche in senso di arte, funzionale alla realizzazione del bene dell’uomo. In questo senso era ben chiaro che l’“ethos” definiva il fine cioè cosa significava il senso da attribuire alla felicità, rappresentava un sapere morale, mentre la “tekhné” era il sapere tecnico-strumentale necessario per la realizzazione del primo.

Nel tempo i due termini sono andati assumendo un profondo cambiamento nel loro ruolo rispetto all’evoluzione dei sistemi sociali e finanziari al punto che si sono scambiati tra di loro il ruolo, così la finanza è andata assumendo quello di fine mentre l’etica è diventata un suo corollario.

Infatti, il valore etico di un’azione dipende da come si declina il giudizio qualitativo legato al concetto di bene o male; nel tempo un comportamento era considerato etico quando l’uomo veniva messo al centro dell’azione sociale ed il bene comune veniva perseguito. Oggi, in una società divenuta estremamente individualista ed antiegalitaria nella redistribuzione delle ricchezze finanziarie, la felicità si associa alla realizzazione di un benessere fisico a breve termine anche a costo di normalizzare comportamenti illeciti che pongono il perseguimento del bene comune in secondo piano rispetto al perseguimento del bene individuale. In questo modo si lascia spazio all’avidità ancestrale dell’uomo che diventa il principio valoriale dominante del nostro mondo. Paradossalmente si potrebbe arrivare a sostenere che Madoff, l’autore del più imponente default finanziario dei nostri tempi, sia rappresentativo di un comportamento etico nel rispetto di quell’accezione valoriale.

Un altro aspetto che ha contribuito a questo cambiamento del ruolo della finanza nell’economia e nella vita sociale è legato al suo progressivo distacco dall’economia reale a cui dovrebbe essere se non asservita almeno collegata. La finanza ha assunto una dimensione globale,come valori espressi, assolutamente non paragonabile all’economia reale - l’ammontare solo dei derivati è oltre 20 volte il pil mondiale annuo - così ha una sua vita che sembra indipendente dall’economia reale e non rappresentativa del valore da cui dipende. La moneta, infatti, e quindi la finanza hanno un valore fiduciario, in sé la moneta cartacea ha un valore nullo, ma rappresentano una promessa di pagamento; su ogni banconota emessa dalla corona inglese sta scritto: prometto di pagare al portatore della presente la somma di... Con l’avvento dei sistemi elettronici la moneta è diventata sempre più virtuale e questo contribuisce a farle assumere ancora una dimensione indipendente dal valore reale che rappresenta; se i portatori passassero all’incasso avremmo, probabilmente, un default globale. L’immensa liquidità immessa sul mercato ha alterato il valore reale dei beni da quello finanziario che determina il primo , così diventa facile per chi è in grado di governare la finanza usare i valori finanziari come strumento per la realizzazione di interessi che vanno ben al di là dei mercati.

Inoltre il contesto in cui si opera nella finanza è tale da amplificare le debolezze umane; in particolare il distacco dall’economia reale favorisce la propensione all’euforia, alla depressione e rende inefficienti, come la realtà ci dimostra, i mercati finanziari che sembrano anticipare con esattezza gli eventi futuri mentre sono le aspettative degli eventi futuri che regolano i mercati ; ma le aspettative non sono conoscenze. I mercati, pertanto, divengono in modo molto diverso a quello che sarebbe se fossero fondati solo sulla conoscenza. L’approccio all’analisi finanziaria basata solo sulle scienze esatte ha dato l’illusione di una governabilità del sistema distaccata dal mondo reale, la conoscenza è diventata autoreferenziale inducendo gli studi ad innamorarsi dei modelli in una sorta di “miraggio della razionalità”. Il distacco dal mondo emozionale dell’uomo ha progressivamente reso inidonei i modelli ad interpretare la realtà, incapaci di prevedere l’evolversi dei fatti fino a ridosso della loro manifestazione, la crisi ne è una lampante manifestazione, e di trovare i giusti rimedi dopo.

Infine la finanza opera in un contesto amorale perché chi decide in finanza non si pone il problema delle conseguenze sociali della sue decisioni, come succede a chi opera nell’economia reale, spinto dalla massimizzazione del risultato a breve lesivo degli interessi collettivi che richiedono invece un orizzonte temporale di lungo tempo. In questo modo la finanza diventa un modo per perseguire l’arricchimento personale nel più breve tempo possibile e come una sorta di paradiso artificiale attrarrà, come vedremo un numero crescente di occupati; lavorare nel mondo della finanza diventerà un “must” per le giovani generazioni illudendole drammaticamente.

Ma perché siamo arrivati a questo punto e quali sono i reali problemi che ci troviamo ad affrontare? La crisi a cui siamo di fronte da anni ha un’origine nella finanza e nel ruolo che essa è andata assumendo nella nostra vita ed in quella della nostra società oppure ha origini più profonde e lontane legate al fallimento di modelli socioculturali che l’esclusiva attenzione all’economia ed alla finanza ci impedisce di capire? Come possiamo capire l’attuale fase storica per rispondere in modo corretto ai problemi che abbiamo davanti? Proviamo a delineare un percorso di analisi che ci possa aiutare ad individuare meglio lo stato dell’arte.

Se osserviamo la nostra storia possiamo vedere quanto la moneta e la finanza siano sempre state un elemento importante della vita delle società e spesso nella letteratura chi operava in quel settore era associato ad una visione moralmente negativa; Dante nella Divina Commedia parla degli usurai nel canto XVII e Shakespeare dedica a questa figura “Il Mercante di Venezia”. Lo sviluppo della finanza assume dimensioni rilevanti nel XVIII secolo quando gli scontri delle guerre napoleoniche necessitavano di risorse ingenti per finanziare le campagne di guerra e il sostegno della moneta era indispensabile per mantenere gli eserciti.

Con la rivoluzione industriale il sistema creditizio e finanziario prese dimensioni sempre più ampie e determinanti nella vita delle società al punto da essere un attore in grado di determinare scelte non solo economiche ma anche politiche e sociali perché la moneta era spesso usata come deterrente intimidatorio nelle relazioni internazionali tra stati . Per giungere più rapidamente ai nostri tempi possiamo rilevare due momenti determinati della nostra storia per capire l’attuale contesto. Il primo momento risale al 1944 ed in particolare all’accordo di Bretton Wood secondo il quale i cambi delle diverse monete e valute di tutti gli stati vengono ancorati al dollaro a sua volta legato alla sua convertibilità in oro dando nel periodo successivo una relativa stabilità al sistema finanziario. Il secondo momento risale al 1971 in cui Nixon dichiara unilateralmente lo sganciamento del dollaro dall’oro infrangendo un periodo di collaborazione; il segretario del Tesoro americano John Connally dichiarò al mondo: “il dollaro è la nostra moneta ma è un problema vostro”; in quel modo si chiuse un periodo storico e ne iniziò un altro completamente diverso in cui la finanza avrebbe cominciato ad assumere la dimensione attuale.

Il collasso dell’impero sovietico sancisce l’idea che un modello di economia e finanza che si era affermato fosse la soluzione di tutti i mali economici e sociali ed i suoi modelli culturali diventano verità da non mettere in discussione. Questo percorso di affermazione della finanza come strumento di rapido arricchimento viene legittimato dall’Accademia delle Scienze che assegna agli studi di finanza un ruolo preminente e ne legittima la diffusione; il suo uso fatto in modo autoreferenziale creerà danni enormi ma faceva comodo ad una minoranza si è generato così il più imponente travaso di ricchezza che la storia ricordi.

L’attenzione allo sviluppo degli studi sulla finanza influenza gli indirizzi di studio delle università americane; infatti i laureati aspiranti a lavorare nel mondo finanziario passano, solo ad Harvard, dai 5% del 1970 ai quasi 40% dei neolaureati ed al 30% delle neolaureate del 2008 prima della crisi scoppiata a settembre. L’attenzione alla finanza, in modo quasi esclusivo, condiziona le scelte di sviluppo economico e sociale, così si procede al trasferimento di attività manifatturiere in modo crescente in paesi a basso costo di lavoro condizionando i governi locali e riducendo progressivamente le prospettive occupazionali nel settore manifatturiero che è diventata oggi la vera criticità del mondo occidentale ma di quello di cultura anglosassone in particolare.

Chi opera nel mondo della finanza sa che il “piccolo e bello” non funziona quindi l’espansione della finanza si associa ad una sua crescente concentrazione nelle mani di poche istituzioni che oggi sono in grado di determinare le politiche egemoniche globali fino a costituire, come rileva Noam Chomsky, un senato virtuale del mondo perché la finanza ha sostituito le armi nell’esercizio del potere.

Il responsabile della compagna presidenziale di Clinton nei primi cento giorni della presidenza, James Carville, fece scalpore con la sua seguente dichiarazione: “...se esistesse la reincarnazione avevo sempre desiderato di rinascere presidente degli Usa, un papa... ma oggi vorrei rinascere come mercato obbligazionario così potrei intimidire chiunque”. Il potere del mercato obbligazionario, come vediamo oggi, sta nel fatto di potere sanzionare un governo facendo aumentare il costo del suo indebitamento si viene a determinare così un effetto domino, infatti l’aumento del costo del debito aumenta sia il debito che il deficit e gli investitori alzano la guardia vendendo i titoli di quel debito facendo diminuire i prezzi e facendo alzare gli interessi. Per riprendere l’osservazione di Niall Ferguson in “Ascesa e declino del denaro” (Mondadori 2008), il signor “Bond” è diventato più potente di quello inventato dalla penna di Ian Fleming ed ha licenza di uccidere.

È alla luce di queste considerazioni che possiamo capire lo scontro finanziario in essere, noi lo abbiamo visto nella campagna del 2010-2012 , che rappresenta una forma di esercizio di egemonia finanziaria e politica anche internazionale con la quale il mondo si trova a confrontarsi in un momento di cambiamenti epocali e funzionali a capire se il termine “ democrazia “ può essere ancora usato o rischia di diventare un termine mitologico. Ritornando alle considerazioni iniziali dove si era rilevato che la finanza non è in sé un bene o un male ma lo diventa rispetto agli interessi a cui viene asservita e quindi se la riportiamo al suo ruolo di sapere tecnico dobbiamo osservare l’evoluzione del modello socioculturale che ha spinto verso questa evoluzione. Così forse potremo capire che l’attuale crisi non è una crisi economico e finanziaria ma una crisi di valori che ha portato alla formazione di una società estremamente individualista ed antiegalitaria nella redistribuzione della ricchezza che ha anteposto l’interesse personale ed individuale a quello sociale. Si è affermato un modello un modello socioculturale materialista ed orientato dalla verità dei sensi: la verità diventa, infatti, ciò che si vede, si tocca e si misura. La cultura prevalente diventa pragmatica e suggerisce di rispondere alla domanda “come si fa?” mentre la domanda “che cosa è” rimane in secondo piano e così l’attenzione ai mezzi finisce per prevalere rispetto all’attenzione ai fini che sono dati.

L’economia e di fatto la finanza diventano scienze autoreferenziali , indipendenti come nelle scienze esatte, dalla realtà dimenticando che l’intrinseca emozionalità dell’uomo è una variabile che condiziona sempre le sue scelte, come accennato in finanza la gente compra e vende titoli su aspettative non su conoscenze. Si è affermato il liberismo del più forte che ha generato, come già detto, il più imponente travaso di ricchezza che la storia ricordi.

Un altro aspetto comportamentale che caratterizza l'evoluzione della società a seguito della diffusione di tale modello culturale è la progressiva caduta della tensione e dell'ordine morale come possiamo osservare negli scandali quotidiani perché l'esclusiva attenzione agli obiettivi di profitto e di risultato mette in secondo piano l'attenzione all'etica, spesso ripresa come valore da recuperare. L'idea che la “verità” debba essere misurabile confina l'ambito dei valori più metafisici - etica, solidarietà, equità, felicità, moralità... - espressi da sentimenti non misurabili in un'area dai confini non più chiaramente definibile quindi opaca e non immediatamente applicabile nei comportamenti quotidiani. Ne risulta che oggi la società ha difficoltà a capire l'essenza delle cose e di fare ciò che è giusto di fronte ad essa; è il senso di giustizia che Platone aveva definito come il compendio del dovere umano.

Questo modello socioculturale è oggi in discussione perché il pensiero unico tecnico-razionale che lo sostiene ha soffocato il pensiero creativo che è l’unico che porta avanti la società con la libera associazione di idee come la storia dimostra; inoltre l’esclusiva attenzione alle scienze tecniche orienta il pensiero solo al futuro e lo rende, di conseguenza, incapace di leggere i tempi della storia.

Paradossalmente l’uomo ha costruito un mezzo, l’economia e la finanza, che continua a mantenere sempre più autonomo ed indipendente da sé stesso che nel soddisfargli i bisogni che gli propone gliene crea sempre di nuovi più sofisticati e personalizzati rivolti alla soddisfazione di continuamente mutevoli bisogni personali di breve tempo. Ma l’economia e le tecniche devono mantenersi dotate di senso, la loro attività deve avere un criterio di misura, una gerarchia di valori, una consapevolezza di quali bisogni possano considerarsi giusti e quali sbagliati, è necessaria una corretta economia del vivere altrimenti si forma un sistema infinito di desideri che afferma la sua assoluta libertà di soddisfarli. Una crescita dell’economia continuamente basata sulla capacità di soddisfare bisogni creandone sempre di nuovi non può essere considerato un dogma come invece succede oggi ed allora forse è il momento di ripensare a quale modello di sviluppo sia più coerente con la necessità di riportare l’uomo al centro dell’economia e ridare un senso più compiuto ai valori espressi da termini come etica, morale, solidarietà ed equità.

 

(*) Professore ordinario di Programmazione e Controllo - Università Bocconi

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:23