Sciamani della finanza

Le vertenze giudiziarie in merito ai derivati stipulati dalle Pa in Italia negli anni scorsi stanno acquisendo una crescente criticità in merito alla definizione corretta delle responsabilità di dette transazioni. Abbiamo ancora in carico i derivati stipulati nel 1993 il cui costo di chiusura, sempre opaco, potrebbe essere vicino ai 40 miliardi di euro, una manovra finanziaria e comunque un’enormità rispetto ai 230 miliardi di lire al tempo negoziati. Ma ora stanno emergendo, anche, le vere responsabilità delle banche d’affari sulle quali per troppo tempo si è lasciato correre; i dati erano noti da tempo, ma ora all’improvviso sembra che la punta dell’iceberg cominci ad apparire.

Lo scorso anno, il Dipartimento di Giustizia Usa aveva condannato a risarcimenti record JPMorgan e Bofa per comportamenti fraudolenti nella gestione dei sub-prime che avevano causato la crisi da cui le stesse banche erano state salvate, mettendo in carico al debito pubblico il costo dell’operazione come è stata condannata S&P per manipolazione fraudolenta del rating su cui sta giustamente indagando la procura di Trani.

Il tema dei derivati, dopo i sub-prime è ancora più devastante; nel 1989, prima della finanziarizzazione dell’economia reale erano 1/20 del Pil mondiale, nel 1999, due anni dopo i Nobel a Merton e Scholes proprio sui derivati (1997) sono diventati il doppio del Pil mondiale ed a quel punto, pur di fronte al rischio potenziale di devastazione finanziaria, Greenspan li ha deregolamentati totalmente ed in 10 anni sono arrivati ad essere 20 volte il Pil mondiale con una concentrazione altissima.

Infatti, il 95 per cento della transazioni mondiali sono in mano a 5 banche d’affari Usa, per un valore complessivo che si avvicina ai 700mila miliardi di dollari. Bisogna fermarsi un attimo per capire l’enormità del dato. Gli Usa hanno dettato una exit-strategy dalla crisi finanziaria basata sull’inondazione di liquidità, l’unico modello culturale che conoscono, insomma hanno curato un tossicomane aumentando le dosi ed adesso si trovano con una massa monetaria incalcolabile senza vere contropartite reali. Gli stessi depositi di oro sembrano ridotti al minimo. Quindi è, giocoforza, dare l’idea del rafforzamento del Pil, ma avendo delocalizzato gran parte dell’economia reale sembra difficile che possa compensare la crescente massa monetaria. Gli interventi del segretario al Tesoro Jacob Lew, seppure importanti di fronte a volumi finanziari incalcolabili, sembrano pannicelli caldi. Se crolla il dollaro con un’economia costruita sulla delocalizzazione e quindi sull’importazione, una sua svalutazione farebbe crollare i consumi interni. Ma di chi è la colpa di questo disastro culturale? Le responsabilità sono da addossarsi solo all’incapacità di dette amministrazioni, nel caso italiano, o in generale anche al contesto culturale che nel tempo ha contribuito a far diventare tali strumenti una sorta di verità incontrovertibile.

La Corte di Londra lo scorso anno nel condannare le Pa, però, ha dimenticato le scuse degli economisti alla Regina e le loro motivazioni che, nel 2009, indicavano chiaramente le responsabilità in una cultura della finanza fine a se stessa e sempre più lontana dal mondo reale. In questo modo si continua ad evitare di mettere in mora un contesto culturale che ha contribuito a rendere gli operatori, le banche d’affari e gli studiosi dell’Accademia una sorta di “sciamani della finanza”, cioè guaritori imperscrutabili e magici dotati di un potere vitale da non mettere in discussione. Proviamo, dunque, a chiarire il perimetro vero delle responsabilità.

Certamente una classe politica inidonea, moralmente e culturalmente, al ruolo di conservazione del bene comune ma più propensa alla raccolta del consenso a breve ed alla massimizzazione del proprio bene si è messa nella situazione di “incapace” oggetto di circonvenzione che però rimane un reato. Quindi le responsabilità cominciano da loro, ma è stato steso davanti a loro un magico tappeto da percorrere che garantiva il basso livello di rischio. Inoltre il patto di stabilità, come concepito fino al 2007, favoriva il cammino con una serie di divieti e di vincoli che paradossalmente spingevano gli enti alla stipula di derivati, consentendo così l’aggiramento del patto.

Il contesto culturale in cui ci si è mossi, però, sembrava in grado di garantire un rapporto rischi-benefici assolutamente profittevole. A partire dal primo Nobel alla finanza, nel 1990 a Markovitz , si è cominciato ad attribuire alla stessa una sorta di alone di verità incontrovertibile; l’economia che nasce come strumento per la “polis” (l’economia politica), assume, sempre più, una sua dimensione autoreferenziale e diventa sovraordinata alla “polis” le cui istanze vengono ignorate. L’economia e la finanza vengono studiate con l’abito mentale delle scienze positive e quindi solo con l’uso determinante delle scienze esatte in una scienza che nasce e rimane, invece, una scienza sociale e morale; la natura dell’uomo è determinante nelle sua scelte ma viene ignorata. Gli studi assumono sempre più una connotazione scientifica in cui l’asimmetria informativa diventa uno strumento di potere in mano agli addetti ai lavori e crea una posizione di sudditanza culturale nei confronti dei terzi. Il tema della simmetria informativa era il fondamento che “definiva” la razionalità dei mercati (Lucas, Nobel nel 1995) perché gli operatori a parità di informazioni decidono allo stesso modo: falso! Il decidere allo stesso modo presuppone che gli operatori non siano condizionati dal contesto socioculturale in cui operano, quindi è naturale che un siciliano decida, a parità di informazioni, esattamente come un lettone o ancora un santo come un criminale.

La parità informativa, poi, sta per simmetria informativa che si verifica nella condizione mitologica della concorrenza perfetta ma nella realtà il contesto finanziario è oligopolistico quindi opposto alla simmetria informativa che non esiste ; ma se anche si volesse provare a crearla il fine della massimizzazione del profitto non può consentire tale via e la deve escludere. Vengono meno le condizioni e le ipotesi sulla razionalità dei mercati ; ma ancora tutti i santi giorni dobbiamo sentire i media parlare dello spread che va su è giù asimmetrico rispetto ad una razionalità di cui dovrebbe essere diretta espressione : uno spread-chewingum ( una sorta di gomma del ponte ). Ma se anche i mercati non sono razionali e se l’economia non è il fondamento della società crollano le ipotesi su cui è stato costruito l’edificio del neoliberismo ed i fatti “ misurabili “ sono la testimonianza del fallimento di un modello culturale che ha portato al collasso il mondo.

I fini di tale finanza sono interni ad essa e così viene meno “l’autonomia dell’uomo che è il fondamento della dignità della natura umana e di ogni natura razionale” (I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, pag. 69).

Un simile contesto di asimmetria informativa ha caratterizzato una drammatica situazione alla fine degli anni Cinquanta quando venne messo sul mercato la “Talidomide”, un farmaco per le donne in gravidanza con un ottimo rapporto rischi-benefici rispetto ai barbiturici in uso. Il farmaco, però, era stato sperimentato solo su cavie non gravide, contrariamente alle finalità applicative ed i risultati furono drammatici perché le donne incolpevoli che lo avevano assunto partorivano neonati amelici e focomelici. Di chi era la colpa? Delle donne che avevano assunto il farmaco, dei medici che li avevano prescritti o dei creatori del farmaco che l’avevano patentato come verità? In presenza di simmetrie informative il parere accademico diventa determinate per dare verità all’oggetto e contribuire a creare la fiducia delle pazienti. La ditta tedesca produttrice del farmaco ha costruito, lo scorso anno, un edificio come memoriale e scusa alle vittime dopo 40 anni, speriamo di non dovere aspettare tanto tempo anche per altri simili problemi perché, come diceva il grande J.M. Keynes, nel lungo tempo siamo tutti morti.

Sul tema della finanza e dei suoi prodotti le responsabilità ricadono anche su coloro che, involontariamente o no, hanno contribuito a creare una falsa verità. La politica, la finanza e l’Accademia devono cominciare a rispondere delle loro responsabilità nella finanziarizzazione dell’economia reale e del disastro sociale che hanno creato. Le Pa non dovrebbero fare derivati perché non si gioca alla roulette con i soldi degli altri, specie quando la roulette è manipolata dal croupier; se poi il tuo debito è detenuto da terzi, ne diventi drammaticamente ostaggio come la nostra storia recente dimostra.

Il dissesto a cui siamo di fronte è stato causato da uomini e non da eventi naturali ed imprevedibili e, questi uomini, spesso si sono laureati nella migliori università. Che valori morali si insegnavano in quelle università? Che responsabilità hanno questi uomini ed i loro maestri che hanno contribuito a metterci in questa drammatica situazione? Sarà bene cominciare a pensarci perché sbagliare è umano ma perseverare è diabolico e, oggi, a maggior ragione non è accettabile.

Di fronte al fallimento di un modello culturale che ha scambiato i ruoli assegnando all’economia ed alla finanza quello di fine ed all’uomo ed alla società quello di mezzo, è necessario ritornare al punto di partenza e dare un senso pieno al termine di “dignità” dell’uomo, perché la società sia un luogo di alleanze e di solidarietà condivisa e non un tragico terreno di guerre tribali e di scontro continuo tra singole persone, tra bande, tra gruppi di potere e di interessi troppo lontani ed asimmetrici rispetto al senso di un bene comune condiviso.

 

(*) Professore ordinario di Programmazione e Controllo Università Bocconi

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:29