La crisi de “Il Mulino”,  vero centro di potere

La crisi a “Il Mulino”, il pensatoio di Romano Prodi, Nino Andreatta e dei tanti politologi impegnati da Gianfranco Pasquino a Luigi Pedrazzi, da Carlo Galli a Ernesto della Loggia e Angelo Panebianco, era evidente già nel giugno del 2013. Allora i sessantotto dipendenti della società di Strada Maggiore a Bologna (che nel 2009 aveva acquistato anche la casa editrice romana Carocci, specializzata in saggistica e manuali) erano stati messi in cassa integrazione. Da luglio a dicembre hanno lavorato solo quattro giorni su sette.

Era attesa una ripresa che, invece, non c’è stata. La crisi dell’editoria, i problemi di gestione (contrasti tra i novantuno componenti dell’associazione), le divergenze sulle linee editoriali avevano portato la società “Il Mulino” a ridurre i ricavi attestatisi intorno ai 10 milioni con una perdita di poco più di 7 mila euro mentre la Carocci con un fatturato di 5,3 milioni aveva perdite per 27 milioni dopo un rosso di 73 milioni nel 2012.

I nodi sono venuti al pettine ad ottobre 2014 con la decisione del management di licenziare diciassette dipendenti (di cui undici redattori) mettendoli di nuovo in cassa integrazione a zero ore su un totale di trentadue. È scattato l’allarme di smantellamento. Il tentativo di spostare all’esterno della casa madre funzioni essenziali senza chiarire i termini del piano industriale ha rafforzato le preoccupazioni per la perdita d’identità. Stava quasi passando sotto silenzio anche la cerimonia del sessantesimo anniversario de “Il Mulino”, con la lettura “magistralis” del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, se non fossero state scatenate violente manifestazioni da parte dei movimenti antagonisti con scontri con le forze dell’ordine.

Successivamente il 12 dicembre in occasione dello sciopero generale a Roma della Cgil e della Uil i dipendenti sono sfilatati con un grande cartello in cui c’era scritto “Il Mulino licenzia Carocci editore”. Da allora, con il primo sciopero nella storia del gruppo bolognese, è stato un susseguirsi di iniziative. Si sono anche conosciuti alcuni particolari come la creazione di una nuova società, la Edimill, in cui dovranno confluire quattordici dipendenti. Questa società è controllata dalla Edifin che a sua volta detiene la maggioranza de “Il Mulino” e Carocci.

Un altro gruppo editoriale che sceglie la strada delle scatole cinesi per portare a termine operazioni di ristrutturazione aziendale. Mentre l’amministratore Giuliano Bassani proclama che “I timori sono infondati perché non ci sarà alcuna perdita dell’anima ma stiamo rafforzando la società con aumento di capitale”. Luigi Pedrazzi, l’unico dei fondatori del 1954 in vita, ha amaramente dichiarato “È vergognoso quello che accade a Il Mulino”. Il riferimento è alla mancata o scarsa partecipazione alle preoccupazioni per la crisi di una casa editrice che è stata la fucina di un mondo nato liberal-conservatore e trasformatosi in cucina del centrosinistra.

Scrive uno dei novantuno soci dell’Associazione Ernesto Galli della Loggia “Quello che è nato come un luogo d’incontro di culture diverse, un laboratorio di discussioni si è pietrificato in un’arcigna fortezza ideologica del centrosinistra, un custode di tutti i suoi fragili miti”. I soci de “Il Mulino” hanno infoltito negli anni quadri istituzionali come Presidente del Consiglio (Romano Prodi e Giuliano Amato), ministri, sindaci, etc. Per il politologo “Il Mulino si trova a rappresentare per un verso l’opposizione più chiusa e per l’altro il potere più consolidato: una schizofrenia micidiale che ne ha segnato la progressiva paralisi intellettuale. Lo testimonia la cooptazione dei nuovi soci membri delle cordate accademiche o similari di cui un terzo dall’Università di Bologna, pochissime donne e nessun socio da Roma in giù”.

L’attuale presidente della casa editrice “Il Mulino” è Enzo Cheli, ex presidente della Corte Costituzionale e il direttore della rivista è Michele Salvati.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:18