Lezione di politica economica liberale

L’avidità dell’uomo è una delle sue migliori caratteristiche. E’ grazie all’avidità e al piacere di crogiolarsi nel benessere e nella ricchezza che il fornaio si industria e si sacrifica ogni giorno in negozio per far sì che i clienti comprino i prodotti del panificio, al prezzo e con la spesa esatta in cui l’offerta e la domanda si incontrano. Il prezzo di un bene è “giusto” nel momento stesso in cui qualcuno compra quel bene. Ci deve essere cioè qualcuno disponibile a comprarlo, e che lo compri, a quel prezzo.

Il prezzo può apparire folle ad alcuni che, per questo, non lo compreranno, ma apparirà possibile a chi lo acquisterà. Se un vestito di Gucci o un piumino della Moncler costano troppo per un soggetto, in un mercato non viziato e funzionante, lo stesso vestito e lo stesso piumino è possibile per tanti altri. Se cioè un consumatore danaroso vuole privarsi e investire parte del reddito o del proprio patrimonio per comprarlo, spendendo centinaia o migliaia di euro dollari o yen o cosa gli pare, il mercato e tutti quanti noi non dobbiamo che apprezzarlo e ringraziarlo perché con lui/lei e grazie a lui/lei staremo tutti molto meglio, perché saremo tutti più ricchi. La libertà di determinarsi di un soggetto, unitamente ad un mercato che garantisca e renda possibile tale libertà, sono i criteri cardine dell’economia cui si deve ambire ed auspicare di avere.

In Italia, dove ci sono poche materie prime e che con ingegno e creatività si è splendidamente supplito da sempre a tale mancanza, i prezzi dei prodotti non sono ovviamente la corrispondenza tra effettivo costo e un minimo di profitto, ma, con l’applicazione del criterio esatto di mercato, sono la mera indicazione e informazione, rivolta ai consumatori, di quanto il mercato è disponibile a pagare quel determinato bene o servizio in quel dato momento. Si pensi al periodo di deflazione che è in Italia e che fa sì che i negozi siano deserti, per gli italiani. Alcuni, avendo negli italiani il proprio pubblico di consumatori, hanno approfittato del momento per svuotare negozio e cantine invogliando all’acquisto mettendo tutto alla metà, se non al settanta, ottanta per cento.

I negozi, in quel caso, sono stati pieni zeppi, mentre chi ha mantenuto il prezzo quale era, è rimasto deserto. Le grandi catene di commercio “puntano” sull’estero. Gli italiani non hanno comprato un vestito Gucci negli ultimi cinque anni? L’hanno comprato i cinesi, gli americani e i russi, e i negozi Gucci sono rimasti aperti anche in Italia, hanno pagato gli stipendi e hanno fatto profitti, grazie alla globalizzazione dell’economia. In Italia il mercato è storto e sbagliato perché da troppi anni non solo non esiste per lo più, ma perché è statalista, “coperto” quasi del tutto dallo Stato, e incapace di convertirsi al mercato vero, efficiente e globale.

Tutto ciò che era ed è dentro lo Stato ha infatti sofferto in Italia la crisi ed è qui a “farsi le pulci” inutilmente quanto dannosamente, come fa la Gabanelli che dalla Rai, impresa pubblica pagata con i soldi di tutti gli italiani, danneggia e fa male a tutti, innanzitutto allo Stato italiano; mentre chi ha vissuto commerciando con l’estero ha resistito, e sta floridamente sul mercato globale. Il problema italiano è il carrozzone statale che pesa e che va progressivamente fatto confluire dentro il mercato, cosa non da poco dato che si tratta di un apparato burocratico amministrativo corposo e abituato nefandamente allo stipendio sicuro a fine mese. Si tratta di convogliare le energie mal spese degli italiani stipendiati dallo Stato italiano nel mercato globale, di dismettere la scandalosa farsa di chi non produce alcunché ma viene stipendiato lo stesso, di fare valere, anche in pochi futuri servizi pubblici essenziali, la concorrenza e la competizione, il merito di chi vi si impegna.

La concezione distorta e l’impostazione errata dell’economia in Italia ha fatto sì che i concorsi pubblici per accedere ai posti pubblici siano stati e siano tuttora in preda alla raccomandazione, alla segnalazione, per sé, il familiare, per l’amico dell’amico. Non v’è settore pubblico in Italia in cui non vi sia stata e sia la prevalenza della non regola, e dell’eccezione che conferma la non regola. L’unico principio possibile di efficienza in grado di riportare gli italiani alla crescita, al benessere e alla ricchezza è condurli e immergerli, abbandonata in fretta la concezione statalista, nel mercato economico globale. Se non lo si fa, se non si comincia ad attuare e indirizzare gli italiani nella direzione della politica economica liberale del profitto e del mercato concorrenziale, competitivo e del merito, sarà il mercato a divorarci, cosa che già sta succedendo. Nel 2016 sono previste “nuove o maggiori entrate” per ben 32 miliardi di euro, che nel 2017 diventano 40 miliardi di euro, i quali, detratti tagli e contributi per 10 miliardi circa ciascun anno, danno la cifra di 20 miliardi di nuove entrate nel 2016 e di 30 miliardi nel 2017.

L’attuale ministro Padoan ha imparato la lezione da Renzi del fare proclami rifilando balle ed ecco che infatti starnazza dicendo che, con il via libera a questa legge di stabilità, ci saranno meno tasse e più lavoro. Risponderà mai di quello che dice oggi? Perché qui, più che tagli, si contano tasse per 50 miliardi di euro. La tassazione dovrà al contrario farsi minima, e pagata in corrispondenza dei pochi servizi effettivamente erogati. Posto pubblico fisso, stipendio statale fisso, Stato mamma, sono realtà sinonimi di ruberia e ladrocinio, “logiche” viziate e fuori dal mercato. Prima si cambia, meglio è. Senza libere elezioni e con governi non eletti, si blocca il Paese, che tarda a arrivare là dove inevitabilmente dovrà arrivare e stare.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:17