Troppo fisco causa la   distruzione delle case

Il fenomeno è di quelli che dovrebbero davvero far pensare. A causa della forte tassazione, gli italiani proprietari di casa (l’80 per cento circa dell’intera popolazione, com’è noto) hanno già subito un “furto legalizzato” – per la caduta dei valori degli immobili causata, appunto, dalle imposte – di circa 2000 miliardi, e il tutto per ricavarne, quest’anno, 24 miliardi a favore dell’erario (calcoli del professor Paolo Savona). Ma tutto ciò non basta ancora: lo Stato non prende atto di questa caduta dei valori, e tantomeno della nessuna redditività della gran parte degli immobili. Anzi: continua a colpire le case con rendite catastali assolutamente inique e fuori mercato, aumentate del 5 per cento da Prodi e del 60 per cento (per l’abitativo, almeno) da Monti.

La casa è diventata per molti italiani un incubo, da una garanzia – per eventuali incidenti o imprevisti – che era (e poi ci si chiede perché calino i consumi, non si manifesti alcun senso di crescita, dilaghi la sfiducia). Il valore equo di una casa non è oggi neanche stimabile: non c’è mercato, non si vende e non si compera (se non da acquirenti che pretendono di fare loro il prezzo). Un fenomeno, peraltro, di cui l’Osservatorio immobiliare dell’Agenzia delle entrate si guarda bene dal prendere atto: andate sul sito di quest’ultima, prendete l’ambito territoriale in cui è situata casa vostra, e controllate cosa secondo il Fisco varrebbe la vostra casa, e cosa prendereste in affitto se l’affittaste. Roba da far accapponare la pelle.

In questa situazione, gli italiani hanno cominciato a ragionare così. Ma perché questa casa non se la prendono loro? I proprietari di casa hanno dunque scoperto una norma del nostro Codice che prevede che gli immobili “vacanti” entrino di per sé, per effetto di questa disposizione, a far parte del patrimonio dello Stato, gli immobili abbandonati – cioè – non diventano res nullius, ma proprietà dello Stato. I casi aumentano di giorno in giorno ed hanno riguardato, finora, immobili situati in località di montagna e collina abbandonate, ma anche situati in certi pagi esposti solo ai pericoli della delinquenza. Se il fenomeno non si è fatto ancora più grande di quel che è già, è solo per l’incertezza che per questi abbandoni si debbano pagare tasse o no, ed eventualmente quali.

In merito, le opinioni sono diverse (e lo Stato non interverrà certo per fare chiarezza, interverrà semmai per imporre in modo certo delle tasse, anche su questo). C’è un orientamento dottrinale – in atto, consistente – che ritiene che nulla debba essere in imposte corrisposto: l’abbandono dell’immobile è un fatto materiale – sostengono coloro che abbracciano questa tesi –, non legato ad alcuna specifica volontà di trasmissione della proprietà, è solo la norma codicistica che determina questo effetto. Quindi, se non voglio, – cospargendo – ottenere nessun effetto traslativo, non pago niente. Ma altri studiosi ritengono che si debbano invece corrispondere l’imposta di registro (9 per cento della rendita catastale) rivalutata del 5 per cento e moltiplicata del 120) nonché imposte ipotecarie e catastali in misura fissa.

Altri ancora ritengono che si debba pagare l’imposta sulle successioni e donazioni (8 per cento della rendita catastale rivalutata come già detto), più imposta catastale dell’1 per cento e ipotecaria del 2 per cento. Somme, comunque, convenienti – rispetto al pagamento annuale delle tasse e pur di liberarsi di un bene che è solo un costo – per casali pressoché abbandonati e non utilizzati (e neanche utilizzabili). In alternativa, alcuni cominciano a difendersi in altri modi dall’incivile principio del nostro Stato di colpire il valore (e fosse quello giusto almeno…, al quale lo Stato si impegnasse a comperare!) indipendentemente dal reddito che produce o dal fatto, addirittura, che produca un reddito (principio, quello accennato, costituzionalmente vietato in Germania).

Cosa fanno, allora, questi italiani? Anche qui, il fiume si ingrossa di giorno in giorno. Siccome sugli immobili semplicemente inagibili il nostro Fisco incivile pretende che si paghi, comunque, il 50 per cent (bontà sua!) dell’Imu e della Tasi – per non parlare, anche, della Tasi, campo ove i Comuni pretendono sempre di più per esonerare dal pagamento – allora molti preferiscono far sì che il loro immobile neppure un “edificio” sia più, lo privano di un elemento strutturale, del tetto per esempio. E non pagano più neppure le imposte locali, pur avendo sempre disagi (e gli incombenti, anche fiscali) comunque connessi alla proprietà di un bene, pur collabente. Per eliminare questi ultimi, molti proprietari si orientano allora addirittura verso la totale demolizione del bene, lo distruggono del tutto, cancellandolo anche dal Catasto (le schede di demolizione sono aumentate in un anno, in certe province, financo del 20 per cento).

L’ignominia è sotto gli occhi di tutti. Un patrimonio che è stato, per anni, un traguardo e il simbolo della sicurezza di tanti italiani, viene distrutto per non pagare tasse smodate e senza alcuna giustificazione reddituale. Sotto gli occhi imperturbabili dei maxieconomisti e lo sdegno dei grandi economisti (che sono, com’è noto, tutt’altra cosa). Una classe politica responsabile se ne renderebbe conto, e ci penserebbe. C’è bisogno – la legge di stabilità sarà presentata entro il 15 del mese – di una grande “operazione fiducia”. Che si può fare in un modo solo: dando un preciso segnale di inversione di tendenza, diminuendo le rendite di qualche punto almeno (costo: 700/800mila euro). Convincerebbe gli italiani che l’immobiliare non è sempre, e solo, un settore da mungere. Li convincerebbe più di ogni altra operazione di ingegneria costruttiva o fiscale.

(*) Presidente di Confedilizia

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:27