Una Unione politica   per gli investimenti

Mentre gli Stati europei perdono la propria identità comune non riuscendo a concepire di passare da mera Unione monetaria a Unione politica (federale) europea, e si dimenano inconsistentemente sotto l’egemonia di fatto del governo tedesco privo di qualsivoglia legittimazione democratica proveniente dai cittadini europei, gli Stati Uniti combattono la guerra all’Isis in assenza della approvazione del Congresso, e Russia e Cina si incontrano e stringono accordi sul gas, cioè i più grandi Paesi autoritari del nostro pianeta si alleano e trattano per il miglioramento e l’ampliamento del loro mercato, il proprio benessere e la crescita (si tratta di un “pezzo” di pianeta che comprende un miliardo e seicento milioni circa di persone).

I sistemi politici più antidemocratici al mondo trovano cioè nel mercato e nel profitto capitalistico il loro denominatore comune, mentre i Paesi occidentali autenticamente e storicamente più democratici sul globo bypassano la democrazia, rimangono a interruttore democratico spento, sopraffatti nei fatti dalla Germania. A est si guarda ai benefici e ai vantaggi del mercato globale perseguiti con decisioni tenacemente prese da poteri centrali e oligarchie al comando, pure risentiti dalla politica estera degli Stati Uniti, ponendosi, Russia e Cina, a “modello” agli occhi degli altri Paesi della terra quali Africa, Sudamerica e Asia, un modello privo di effettiva democrazia e di libertà politiche.

In tali Stati autoritari vengono chiesti adesso con forza diritti umani e libertà politiche, afflati di democrazia, si guardi infatti ai manifestanti di Hong Kong che vogliono elezioni popolari per la nomina del reggente sinora nominato dalla sola Pechino, e partecipazione democratica nella politica e nel sociale. In Europa, negli Stati europei più liberali, la democrazia è stata soppressa, si è allo stallo devastante della deflazione economica, e si vive una situazione priva di politiche economiche per la crescita per l’arroccamento rigorista della Germania.

Forse proprio grazie alla debolezza della Francia adesso, dato che la Germania senza l’appoggio della Francia ha fortemente affievolita la propria capacità di controllo sull’Unione europea, con la Francia che ha dovuto per necessità mettere uno stop, o meglio a chiedere un posticipo nel rispetto dei vincoli europei deficit/pil, si potrà aprire la questione cui ogni istituzione europea ha sinora non prestato alcuna attenzione, per proprio comodo e sbagliando, e cioè il superamento dei danni del patto di stabilità e “crescita” e, con ritorno ai Trattati, il perseguimento del governo politico democratico europeo. Si potrà chiedere cioè, e forse ottenere, riforme e soprattutto investimenti.

Perché è importante per i Paesi europei un’unione politica democratica? Perché, a differenza dei territori a est, autoritari per storia e loro “tradizione”, sebbene convertitisi rapidamente nella direzione del mercato e del profitto globale, noi cittadini europei necessitiamo, per orientarci efficacemente ai mercati del mondo, del modello democratico che conosciamo (cui siamo arrivati dopo guerre), che è quello democratico comune della elezione di un Parlamento e di un governo comuni, e solo possiamo costruire legittime politiche economiche. Si pensi ad un growth compact europeo per gli investimenti.

E’ necessario dunque procedere, con l’abolizione e drastica riforma del fiscal compact, a porre in essere investimenti nelle infrastrutture europee (e nazionali) per la crescita, quali i programmi Europa 2020, le grandi reti trans europee e i trecento miliardi di investimenti da Bei e bilancio europeo enunciati da Jean Claude Junker, attuale presidente della commissione europea. Dunque riforma delle regole di bilancio europee e richiamo europeo alla Germania per i surplus eccessivi accumulati a spese di tutti. Si può contrattare una politica economica comune per la crescita comune senza un’ unione politica?

Non ci si riesce, perché non solo manca la “testa” deliberante e poi coordinante e gestente, ma anche, e non ultimo, il problema della antidemocraticità delle scelte e delle decisioni verrà sempre e inevitabilmente a riproporsi in termini di legittimità, contestualmente o dopo fallimenti e probabili allontanamenti e “disunioni” da parte di Stati membri. In Italia è necessario portare avanti una politica volta a rilanciare gli investimenti pubblici produttivi per rilanciare la produttività delle imprese sopravvissute alla crisi, riducendo il cuneo fiscale (prima si fanno i tagli fiscali poi quelli alla spesa), aprendo reali prospettive di lavoro per tutti, e consentendo di “ristrutturare” il Paese nel senso della sua semplificazione (lo Stato minimo), a cominciare dall’apparato pubblico burocratico amministrativo, ovvero con una decisa semplificazione, forte defiscalizzazione e drastica revisione della spesa pubblica complessiva.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:26