Far ripartire la spesa   e convertire il Paese

Il governo e il potere politico di un Paese devono essere legittimi e legittimamente presi e dati. Un politico non può avere fantasmi. Se si governa non è perché si è più furbi o più lesti nell’aver rubacchiato il potere, perché quello stesso potere nasce marcio e non porta da nessuna parte. In Italia, da quarant’anni a questa parte, siamo al corto circuito. E siccome gli stipendi pubblici hanno funzionato fin troppo bene (per non parlare dei posti politici super stipendiati senza alcun vincolo o responsabilità cui rispondere e sottostare), la gran parte degli italiani, chi di riffo chi di raffo, si è gettata rabbiosamente sul posto di lavoro da conquistare, d’avere in qualunque modo garantito, di cui giovarsi e di cui usufruire costi quel che costi. Il risultato è drammatico.

In Italia è alquanto difficoltoso vivere di stipendio privato, mentre ciascuna famiglia italiana ha rubacchiato per sé un posto pubblico o semi tale. Chi al ministero mezza giornata, chi a scuola, chi nell’ente pubblico tale, chi nel tal’altro, a casa si ha un emolumento pubblico fisso, i più ammanicati due, tre. C’è chi anche li doppia, triplica, quadrupla. Questo capolavoro è reso manifesto dal modo in cui è strutturata oggi la società italiana.

Da trenta e passa anni. Nelle famiglie italiane, chi più chi meno, si sono trasmessi i posti pubblici agguantati. Magistrato il nonno, magistrato il figlio e il nipote (si veda la famiglia “giudiziaria” al completo dei cassazionisti Esposito, tutti in magistratura, e con tutti i guai che combina il giovane “virgulto”, il “giudice” nipotino, che si fa pagare l’affitto della casa a Milano e chissà cos’altro). Professore universitario il nonno? Professori universitari figli e nipoti. Nell’avvocatura generale dello Stato? Tutti dentro l’avvocatura dei raccomandati dello Stato. Corte dei Conti? Una super casta familiare. Ministeri?

Tutti al ministero, tra l’altro per il genere femminile è comodo perché consente di andare a casa presto. Le poste? Ragioneria dello Stato? Istituti pubblici? Meglio ancora, minimo sforzo massimo risultato. Tutti a carico dello Stato, istituti pubblici nazionali, regionali e locali, autorità, comitati, commissioni, organi costituzionali o parlamentari, enti come Aci, Ice, Asi, Cnr, Comi, Cri, Enea, Inail, Ipsema, Ispesl, Inps, Inpdap, Enpals, Inea, Infm, Infn, Iss, Istat, Isae, Ipzs, eccetera eccetera eccetera.

In politica è la parte a sinistra soprattutto che ha fatto dello Stato lo stipendificio pubblico. A destra, con l’immissione venti e più anni fa di Berlusconi, si è avuto l’inserimento insolito tanto quanto efferatamente osteggiato e combattuto di un imprenditore, cioè di soggetto non ricevente sino ad allora lo stipendio dello Stato a fine mese, inseritosi dispettosamente tanto quanto velocemente nello stipendificio politico pubblico. E mal gliene incolse. In Italia si è depredato, scannato, scarnificato lo Stato per vivere, se stessi e famiglia.

Quello che era stato in passato, è rimasto, gli italiani ciecamente tronfi nei loro posti pubblici rosicchiati. Niente si muoveva e si muove tuttora senza piegarsi a quella concezione malata di intendere lo Stato. Lo Stato assistenziale. Lo Stato che mi deve dare. Non do niente, prendo e basta, ma lo Stato mi deve dare. Ed è sempre troppo poco quello che mi dà. Non basta mai. Non è mai abbastanza. Ne ho “diritto”. Diritto al lavoro, alla pensione, ai diritti maturati, a quelli acquisiti, a tutti i diritti di questo mondo e dell’altro. La maggior parte degli italiani non hanno fatto altro che unicamente respirare a spese dello Stato, reclamando e recriminando con violenza un‘infinità immane e immeritata di diritti.

Diritti e stipendi che non possiamo più permetterci. In base a questa nefasta idea con cui abbiamo allevato insanamente e male intere generazioni di raccomandati inutili a pressochè tutto, è stato costruito un Paese viziato alla base. Che adesso è sperduto, non sa dove andare, perché finchè si poteva aumentare il debito pubblico, si poteva anche continuare a perpetrare il meccanismo stolto, ma adesso che il debito è un peso per rimanere in Europa, ma soprattutto adesso che non lo si può più manovrare e aggiustare a piacimento, siamo alla frutta.

Come fare. Siamo un Paese esanime agli ultimi tragici rigurgiti prima di schiattare ed esalare. Il progetto politico su cui da più di venti anni a questa parte si sta tardando inutilmente (Berlusconi ha giocato male il gioco) dovrebbe essere quello, così come avrebbe dovuto essere quello, del progressivo traghettamento del pubblico nel privato. Vuole dire ch,e invece di fare continuare la ruota girare finchè non si ferma perché i cavalli non tirano più e sono stramazzati al suolo (lo Stato), si tratta di consentire, con investimenti e immissioni tese a fare ripartire la domanda il più possibile, di fare ripartire oggi il carro, non più con i cavalli, ma a trazione autoalimentante.

Il carro deve andare da solo, autonomamente. Ciò vuole dire immettere soldi da una parte, e contemporaneamente agevolare e facilitare con forza lo spostamento della massa di italiani dal pubblico al privato, o ad un pubblico drasticamente privatizzato. Ciò sino a ridurre l’assistenza pubblica statale a massimo il trenta, trentacinque per cento a carico del pubblico. Trenta per cento contro ottanta per cento. E’ per questo che lo Stato italiano deve ridurre se stesso ai servizi essenziali, dismettendo il più possibile, nell’arco di una quindicina d’anni, il proprio ruolo eminentemente assistenziale, e consentendo agli italiani e al Paese tutto di camminare in autonomia.

Correre se possibile, e lo è. E’ una politica che, se avessimo avuto anche solo un politico lungimirante o con la lontana parvenza di statista, avrebbe dovuto essere portata avanti da oltre trent’ anni. Sarebbe stato più leggero sia portarla avanti che digerirla. In assenza, abbiamo perso tempo e generazioni, viziato un Paese che, potenzialmente sano e capace, si sta oggi autodistruggendo. Semplificare leggi, cariche, ruoli, posti, sfrondare istituzioni ed enti, piegare tutto a ciò che c’è di produttivo nel mercato – quello vero – del benessere e della ricchezza. Mollare la sinistra mantenuta dallo Stato, al suo destino. Mollare la destra mantenuta anch’essa, all’altro suo destino.

Avviare una politica concreta ed effettiva di ristrutturazione dello Stato a cominciare dalla sua stessa concezione. E’ un percorso necessario che, non intrapreso, dovremo comunque percorrere a calci nel sedere quando saremo tutti ancora più poveri, ancora più disperati. Lavorare strenuamente per tirare a nostro favore politiche e soprattutto investimenti europei. Correre dietro ai soldi, e non farsi distrarre da un’Europa che, così come è oggi, è giunta al capolinea. Portare in Europa il vento della nostra ricostruzione. Strenuamente e caparbiamente. Chiedere all’Europa di dotarsi di un governo politico perché si rimoduli presto, al contrario verrà divorata essa stessa viva dalla massa di Scozie che non aspettano altro, imbizzarrite tanto quanto stufe. Miseria e fame in genere non sentono ragioni. Bisogna “mangiare”, per vivere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:18