Caos e disordine   monetario mondiale

L’ordine economico monetario mondiale emerso nella seconda metà del Novecento si è fondato sul petrolio e sul dollaro. L’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon ebbe l’astuzia di convincere I paesi dell’OPEC a quotare la materia prima in dollari in cambio di protezione militare alle loro monarchie contro minacce di invasione e rivoluzioni interne. Questo accordo ebbe una portata incalcolabile perché prevedeva che i paesi produttori non solo accettassero esclusivamente dollari in pagamento del petrolio ma li reinvestissero in titoli del debito pubblico statunitense. Tale privilegio rese il dollaro la valuta di riserva mondiale perché i paesi esportatori per comprare il petrolio dovevano accumularla e a tal fine la scambiavano con i propri surplus valutari sostenendone la domanda. Tuttavia in un’epoca in cui vigeva ancora il gold standard gli USA cominciarono a finanziare i propri deficit non con la crescita interna ma emettendo più dollari di quanto le riserve auree consentivano e inflazionarono la loro valuta. L’allora presidente francese De Gaulle consigliato dal governatore della banca francese e economista Jaques Rueff, (due giganti intellettuali rispetto agli gnomi di oggi) richiese la conversione delle riserve francesi di «eurodollari» in oro, facoltà prevista dal regime monetario del dopoguerra sancito a Bretton Wood nel 1944. Per tutta risposta Nixon, nel 1971, sganciò la valuta americana dal sistema aureo e impose un nuovo ordine monetario basato sul dollaro inconvertibile.

Già nel 1960 Rueff aveva previsto le conseguenze esiziali di una possibile egemonia del dollaro senza ancoraggio aureo. Infatti abbandonando il gold standard, la copertura delle emissioni monetarie poste al passivo del bilancio della Federal Reserve e costituita all’attivo dall’oro, veniva rimpiazzata da quella in titoli del Tesoro americano. Cominciava così la degenerazione del sistema: il denaro nasceva monetizzando non la produzione ma il debito dello stato e, non poggiando più su una base indipendente di ricchezza ma su debito, acquistava valore in quanto garantito e convertibile in questo debito. L’ordine monetario mondiale originato dal default valutario americano si fonda ancora su tale aberrante circolo vizioso che rende impossibile l’estinzione definitiva dei debiti perché se il denaro è garantito da una passività, non potrà ovviamente mai estinguere altre passività. Così il denaro entrava in circolo agendo da solvente chimico per l’economia reale e da materia incendiaria nel settore finanziario. Infatti tale meccanismo inflazionava le economie dei paesi partner perché la moneta di riserva accumulandosi nelle banche centrali allargava anche la lorro base monetaria permettendo un’espansione del credito inflazionista. Cominciava l’epoca delle stagflazioni, inflazione e stagnazione al tempo stesso. Ed ecco emergere la potenza cinese. Il doppio deficit fiscale e commerciale degli USA che rispecchiava l’insufficienza della loro capacità produttiva rispetto agli enormi consumi interni dava l’opportunità al Dragone di colmare il vuoto produttivo americano: la Cina produceva beni reali e gli USA esportavano dollari, «vuoti » e inflazionati sì, ma sempre buoni per comprarsi materie prime, tecnologia e finanziare uno sviluppo industriale senza precedenti. Fu così che il nuovo ordine monetario consentì alla Cina di diventare il maggiore creditore mondiale e rese gli USA il maggior debitore avviandolo alla decadenza industriale di cui oggi Detroit ne è simbolo sinistro. Il dollaro perdeva la sua leadership ed è in questo contesto che si concepiva l’euro con la velleità di farne un’alternativa al dollaro. Quest’ultimo aveva almeno come fondamento il petrolio e la forza militare americana dislocata in tutto il mondo, ma cosa poteva garantire l’euro? Nulla, poiché una moneta indipendente e inconvertibile può essere garantita solo dalla ricchezza dei paesi in cui circola e che il prelievo fiscale progressivamente riduce per ripagare il debito dei governi posto a garanzia delle emissioni monetarie. L’emergere dell’importanza delle banche centrali negli ultimi decenni è dovuto al fatto di dover fronteggiare la crescente insolvibilità del sistema dovuta alla via crucis di crisi economiche e finanziare determinate dalle stesse loro politiche monetarie che hanno incoraggiato debiti stellari, bolle finanziarie, guerre valutarie, distorsioni produttive, squilibri nelle bilance dei pagamenti, e la torre di babele dei derivati, una spada di Damocle su tutta l’economia mondiale.

Infine, all’ennesima ma più intensa crisi del 2008 e per la prima volta nella Storia, hanno cercato all’unisono di arginare il caos applicando nei paesi industrializzati gli stessi parossistici stimoli monetari: trilioni di liquidità rovesciati nelle economie e riduzioni seriali dei tassi di interesse senza ottenere crescita reale. Insomma una finanza bellica in tempo di pace senza distruzioni materiali, ma con milioni di vittime. Tale metodologia interventista, denominata «non convenzionale» è fallita perché si basa sull’inversione della causalità economica già immanente alla concezione della valuta di riserva inconvertibile: il credito, che rappresenta trasferimento a terzi di capitale altrui già esistente, quando viene erogato senza questo presupposto e a tassi arbitrari fino allo zero, equivale a immettere nell’economia capitale monetario che ancora non esiste e che posto in circolo come capitale reale ancor prima di essersi formato, dovrebbe tradursi in investimenti. Come dire: prima si investe e poi si forma il capitale. Tutto ciò funzionerebbe se il futuro fosse sempre prospero e le economie producessero a tassi crescenti in modo da rendere possibile la restituzione del capitale così anticipato ai prodighi mutuanti. Ma ciò ovviamente non accade perché questo capitale fittizio affluisce o a investimenti che stimolati da un interesse nullo sono antieconomici e che pertanto lo dissipano, oppure beneficia solo il settore finanziario. Quando infatti i banchieri centrali annunciano tagli all’interesse, solo i mercati finanziari e governi esultano perché oltre a ricevere la liquidità, beneficiano degli incrementi di prezzo di tutte le attività finanziare che la riduzione dei tassi comporta, conseguendo profitti immani senza alcun rischio. Per i governi invece diminuisce il costo dei debiti a scapito dell’economia reale che naturalmente non solo si deflaziona ma si deindustrializza. Paradossalmente, più liquidità viene irrorata a tassi calanti, più essa si riduce e più le crisi si intensificano perché agisce come la morfina dando solo l’illusione momentanea della salute economica senza crearla durevolmente.

Ciò accade poiché liquidità e tassi così determinati, non hanno lo stesso significato che assumono nell’economia reale. In quest’ultima il tasso di interesse, ossia il prezzo del capitale monetario che si forma solo consumando meno di quanto si produce, è determinato, come il prezzo di qualsiasi altro bene, dalla domanda e offerta e se fissato artificialmente a zero crea scarsità di capitale reale perché a tale livello la formazione di risparmio è impossibile. Ma il tasso di interesse nell’economia reale non può essere mai zero altrimenti il capitale sarebbe infinito, la gente non avrebbe bisogno di risparmiare e si vivrebbe nell’eden. Solo nell’economia immaginaria delle banche centrali può assumere questo valore che segnala, invece della propensione a risparmiare e ad investire, quella dissipatrice dei governi e il grado di distruzione dell’economia. Le crisi economiche sono proprio il risultato del tentativo di «coniare» capitale sulla base delle politiche monetarie senza tener conto dei fattori reali che lo determinano. Esse si acutizzano diventando insanabili nella misura in cui il sistema bancario tenta di alleviarle acquistando titoli di debito ed ogni altro tipo di spazzatura finanziaria usato come collaterale per espandere il credito ed evitare il collasso. Sperare in un ripresa grazie a questi espedienti o pensare che questi ultimi siano compatibili con le cosiddette riforme strutturali, è davvero da sprovveduti. Nella storia i sistemi monetari sono collassati a seguito di guerre o di default di qualche economia dominante. Nessuno ha mai tentato di cambiarlo in corso d’opera perché per i responsabili sarebbe l’ammissione implicita del fallimento delle loro balorde teorie miracolistiche. Per cui preferiscono mantenere viva l’illusione di una ripresa sempre imminente ma condizionata al prezzo di ulteriori sacrifici. Accadrà come per le ideologie: per estinguersi devono fare il loro corso, ma solo dopo aver determinato una catastrofe finale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:27