Il diritto liberale   della globalizzazione

La globalizzazione del capitalismo finanziario, improntata per sua natura a un ideale liberismo economico, sta disegnando un nuovo diritto, o meglio il dispiegarsi e l’evoluzione del diritto così come lo conosciamo. In questa nuova rimodulazione, rimane non meno valido il principio cardine della sua certezza.

L’esigenza di un diritto sempre più “economico” e degli affari fa sì che lo stesso sia sempre più fortemente di tipo mercantile, un vero e proprio revival della lex mercatoria in grado di regolamentare il mercato globale. Progressivamente verranno a perfezionarsi correggendosi le situazioni paradossali con l’omogeneizzazione degli ordinamenti: si pensi ai casi di forum shopping e di jurisdiction, intendendosi per tali i risultati della facoltà di trasferimento della propria residenza di persone fisiche o giuridiche in modo tale da usufruire delle regole di un ordinamento piuttosto che di altro dove meno favorevoli.

Il mercato non è un meccanismo impersonale né scisso da qualsivoglia riferimento etico. Vi è in esso una prevalenza della prospettiva utilitaristica in economia, in grado di funzionalizzare gli egoismi comuni per l’armonizzazione, la crescita e il benessere sociale. Una società di mercato non prescinde cioè da taluni valori comuni tra gli individui.

Adam Smith, che ha difeso la società liberale in contrapposizione a ogni forma di interventismo pubblico, ne “La ricchezza delle nazioni” come ne “La teoria dei sentimenti morali” ha usato argomenti di ordine etico.

Murray Rothbard ha sostenuto il cosiddetto “assioma di non aggressione” che prevede che nessuno in una società libera aggredirà il prossimo. Si tratta cioè di un ordine di rapporti volontari che muovono necessariamente dal rispetto dell’altro e delle sue proprietà, anteponendosi, nel mercato, il diritto alla violenza, il riconoscimento dell’altro alla sua negazione. È lo statalismo, piuttosto, a essere violento e a favorire comportamenti opportunisti, mentre un ordine degli scambi si fonda sul rispetto di limiti precisi.

I mezzi economici, in un mercato efficiente, sono non violenti e rispettosi del diritto stabilito. Possono essere egoisti, ma mai aggressivi e violenti nei confronti del prossimo perché è nel loro medesimo interesse che non siano tali. La società liberale esige di per sé moralità e finisce col produrre una cultura del rispetto reciproco.

Montesquieu ha parlato di “dolce commercio” intendendo mettere in luce come le relazioni di mercato portino al miglioramento dell’animo (un commerciante è di norma più cortese di un impiegato delle poste perché è nel proprio stesso interesse esserlo).

Frederic Bastiat, un secolo dopo Montesquieu, ha osservato come in una società di scambi ci si metta al servizio del prossimo perché chi si offre sul mercato è a disposizione dell’altro e il suo successo è proprio legato a questa sua stessa capacità di soddisfacimento delle attese del proprio interlocutore. È in tale senso che il mercato è impensabile senza il rispetto di regole determinate – giuridiche e anche morali – quali ad esempio il tenere fede agli impegni (in sostanza, la buona fede contrattuale), il non aggredire l’altro, l’agire correttamente, favorendo allo stesso tempo il radicarsi di comportamenti responsabili.

Accanto agli scambi, una società libera, prevede che vi si affianchino ordini di tipo comunitario, quali in primo luogo la famiglia fondata su solidarietà, condivisione e gratuità. Mentre lo Stato deresponsabilizza, il mercato esige la società estesa dei contratti e dei commerci che favorisce l’integrazione economica globale e anche la società ristretta del vis a vis, della generosità e solidarietà. Il mercato connette individui e anche comunità, costituendo l’ordine naturale dei rapporti economici che emergono in una società libera. Il nostro diritto, così come lo conosciamo, è oggi ancora fortemente incompleto dove si pensi che, ad esempio, sono da esso previsti procedimenti propri del fallimento di una persona fisica o di persona giuridica, rimanendo “scoperti” i casi ben più gravi di fallimenti degli Stati in default o insolventi, ovvero persone giuridiche ritenute così grandi da non potere fallire.

Si pensi agli istituti di credito too big to fail, o cosiddetti di sistema, e agli Stati non in grado di ristrutturare i debiti sovrani. Esiste cioè nel diritto globale attuale, tuttora in movimento e in cerca di definizione, il fallimento privato ma non quello to big o statale. La giustizia a contratto – justice by deal – è in grado di dare la necessaria giustizia, rappresentando il tipo efficace per i commerci e non solo. La strada da intraprendere è proprio quella in base a cui la Bank of America ha recentemente raggiunto un accordo economico con il dipartimento di giustizia statunitense corrispondendo una cifra – notevole, diciassette miliardi di dollari – per evitare sanzioni penali. Si è trattato di una controversia avente a oggetto la diligenza e il controllo nella gestione di titoli derivati ipotecari.

Tale tipo di giustizia si estenderà ampliando i propri confini alla globalità. Il diritto deve porsi a tutela dell’intero spazio dei mercati globali, sia dei debiti sovrani che dei Paesi che dipendono da quelli. La riforma del diritto cosmopolitico deve comprendere altresì una nuova disciplina per i debiti sovrani, nell’ambito di ordinamenti dei mercati finanziari resi omogenei.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:20