Disciplinare gli appalti:  un cantiere senza fine

Carla Tomasi presiede la Finco, Federazione d’industrie delle costruzioni, che rappresenta sui tavoli istituzionali le imprese d’impiantistica come di servizi e opere specialistiche dell’edilizia. Il momento è serio e si va subito al sodo.

Presidente, come sintetizzerebbe quello che stanno vivendo le vostre imprese degli appalti?

L’immagine di un “cantiere senza fine” è quella che meglio rende l’idea delle tormentate vicissitudini che governano, ormai da anni, il settore degli appalti. E non solo da un punto di vista operativo, laddove la disponibilità di risorse pubbliche e la mole sempre ingente di contenzioso condizionano pesantemente il prosieguo del lavoro, ma i problemi sono soprattutto dal punto di vista normativo. Sembra paradossale, ma nessuna materia come quella degli appalti è oggetto di permanente interesse da parte del legislatore, sia in senso specifico che lato. Ad ogni piè sospinto il legislatore ritocca qua e là la normativa primaria, non disdegnando di mettere mano anche alla regolazione applicativa.

Si spieghi meglio.

Il Codice dei Contratti Pubblici (d. lgs n. 163 del 2006) che, nelle ambiziose intenzioni, avrebbe dovuto rappresentare non solo uno strumento per il recepimento delle direttive europee (nn.17 e 18 del 2004) in materia di appalti ma anche una summa organica e coerente dell’intricata materia, è stato fin dal 2007 oggetto di continue modifiche. La maggior parte delle quali al di fuori della legge delega da cui prendeva le mosse. Lo stesso è accaduto per il suo Regolamento attuativo (il Dpr 207/10), una delle ultime modifiche è passata addirittura attraverso il parere giurisdizionale del Consiglio di Stato che, chiamato a decidere su riscorso straordinario al capo dello Stato presentato dall’Associazione delle Imprese Generali, ha in un solo colpo messo in crisi il sistema di qualificazione degli appalti, e senza aver appellato la controparte interessata (le rappresentanze delle imprese specialistiche) e senza la benché minima analisi di impatto. La devastante conseguenza di questo parere (3014/2013), dopo il suo recepimento (con il Dpr del 30 ottobre 2013), è che i lavori possono essere eseguiti dall’appaltatore principale pur se privo di relativa qualificazione, contrariamente a quanto previsto dall’art. 40 del Codice dei Contratti Pubblici: così tutte le attività specialistiche e super-specialistiche, che costituiscono elemento nevralgico di un lavoro pubblico, possono essere eseguite dall’appaltatore principale anche se privo di relativa qualificazione. A prescindere dalla logica giuridica che ha ispirato la sentenza, certamente le conseguenze si sono rivelate aberranti, sia per la corretta allocazione della spesa pubblica che per la buona realizzazione dei lavori e per la sicurezza di utenti e cittadini, come per la stessa imprenditoria specialistica. Perversa è anche la norma che consente a chi ha semplicemente subappaltato una lavorazione di qualificarsi come specialista, usando i lavori che non ha direttamente eseguito: norma già deprecabile nella sua formulazione originaria (art. 85 del citato Regolamento) e ulteriormente peggiorata dal parere del Consiglio di Stato.

L’intervento del Consiglio di Stato sta avendo pesanti conseguenze per gli operatori del settore, qual è stata la reazione delle Istituzioni?

Le Istituzioni coinvolte nella gestione della materia, in primis il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sono consapevoli delle pesanti ricadute sul vasto tessuto imprenditoriale. Fatto di piccole e medie imprese specialistiche. Oggi si configura come una vera e propria vacatio legis, anche per le ripercussioni che questo avrà sia sulla qualità delle opere che sulla gestione dei lavori da parte delle stazioni appaltanti. Tanto consapevoli da aver più volte tentato in questi mesi di inserire una norma transitoria, ma senza successo, in ben tre successive versioni del decreto “Salva Roma” che, senza bloccare l’operatività dei cantieri, potesse tamponare la situazione. E nell’attesa di una più ampia sistemazione della qualificazione per la partecipazione agli appalti. L’ultimo tentativo in questa direzione è rappresentato dal decreto “Emergenza Casa”, licenziato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 12 marzo. Perché stia risultando così difficile coprire un vuoto normativo, perché come tale lo si deve intendere, è davvero difficile da comprendere.

Quella che lei definisce “una più ampia sistemazione della materia” potrebbe essere rappresentata dal recepimento delle nuove direttive europee licenziate all’inizio di quest’anno?

Certo, le nuove direttive rappresentano una grande occasione per rivedere aspetti significativi in materia di appalti: dal pagamento diretto al subappaltatore ai lotti per favorire le Pmi, dall’unificazione delle stazioni appaltanti all’offerta economicamente più vantaggiosa e molto altro. Però gli stati membri dell’Unione hanno due anni di tempo per il recepimento, ed il danno è tutto per il tessuto imprenditoriale che maggiormente investe nel settore delle costruzioni. Parlo di investimenti in innovazione, formazione e qualità. E il danno sarebbe irreparabile se si aspettasse tutto questo tempo senza un’idonea norma-tampone che, pur senza aggirare il parere del Consiglio di Stato, non metta in ginocchio il settore economico da me rappresentato.

L’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici potrebbe giocare un ruolo in questa vicenda, nonostante le incertezze sul suo futuro dopo le dichiarazioni del ministro Lupi e del commissario Cottarelli?

L’Autorità, a cui noi tutti riconosciamo un importante ruolo di complemento dell’attività primaria del ministero delle Infrastrutture in materia di appalti di lavori, ha già messo in evidenza nella segnalazione a Governo e Parlamento del settembre 2013 quanto le problematiche aperte dal parere del Consiglio di Stato fossero scottanti. L’Autorità ha proposto una serie di soluzioni, alcune condivisibili, altre meno, comunque in linea col suo ruolo di soggetto terzo. Però è un fatto che, a prescindere da tutto, la politica si stia mostrando refrattaria, o quanto meno in forte difficoltà, a trovare una soluzione al problema. Questo, al di là di qualsiasi considerazione, dovrebbe essere l’obiettivo prioritario da perseguire per il bene delle imprese e della stessa spesa pubblica.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:31