Smart work: risparmio da 37 miliardi di Euro

Telelavoro, smart work, home-working, lavoro agile. Chiamatelo come vi pare. La cosa interessante da dire è che secondo uno studio della School of Management del Politecnico di Milano questo nuovo (nuovo nelle modalità, intesa come tecnologia applicata) modello lavorativo potrebbe far risparmiare alle imprese italiane intorno ai 37 miliardi di euro.

Lo smart work non è per tutti. Non è per i medici, gli insegnanti e nemmeno per gli operai in catena di montaggio: in certi casi lavorare da casa è impossibile. Ma, nell’Era dell’e-commerce, i ruoli a cui questa forma di lavoro è applicabile sono in crescita. Nel Bel Paese il telelavoro non esiste. O meglio, al contrario della maggior parte degli Stati europei, esiste ma non è prevista alcuna legislazione al riguardo. Non è disciplinato. Il mercato lo sta introducendo autonomamente, è un dato di fatto, ma manca una legge che regoli termini e condizioni e che, magari, garantisca vantaggi fiscali all’azienda che decidesse di adottarlo in cambio di nuove assunzioni.

In realtà, nei mesi scorsi nei corridoi di Montecitorio se ne era parlato. E, per dirla tutta, una proposta di legge bipartisan è stata depositata in Parlamento il 30 gennaio, sostenuta da Pd, Ncd e Scelta Civica. Alessia Mosca, Irene Tinagli e Barbara Saltamarini sono le firmatarie. Una domanda però emerge spontanea: che fine ha fatto? “Tutto il percorso legislativo è stato svolto secondo i tempi, avendo rispettato le scadenze che ci eravamo proposte, ora con la crisi di Governo è tutto fermo. Attendiamo nuovi sviluppi”, afferma Mosca a Il Tempo. Il trio Mosca-Saltamartini- Tinagli ha presentato anche emendamenti al decreto “Destinazione Italia”. Se approvati, permetteranno l’accesso a forme di credito d’imposta alle aziende che vogliono allestire postazioni di lavoro domestiche. In concreto: il 65% per investimenti fino a 20mila euro. Il telelavoro può favorire l’ingresso nel mercato dei più giovani. “Sono soprattutto le nuove generazioni ad essere interessate a questa organizzazione del lavoro. I dati che abbiamo riscontrato dalle nostre indagini mostrano che il maggior interesse scaturisce proprio dalle fasce di età più giovani. I cosiddetti nativi digitali, più vicini alle nuove tecnologie”, fa sapere Mosca. Svegliarsi, accendere il pc, iniziare il lavoro. Scrivere dal bar sotto casa o dal divano in salotto si può fare e garantisce vantaggi. Anzi, è già qualcosa che si realizza in molti settori. Attendendo che ci sia una legislazione ad hoc, si registra l’esistenza di forme spontanee di home-working emerse puramente per esigenze di mercato e, in questo senso, la politica sta interiorizzando con evidente ritardo il cambiamento.

Di lavoro agile se ne parla da vent’anni, ma oggi grazie allo sviluppo della tecnologia e alla riduzione dei costi di installazione di una postazione distaccata, la dimensione del lavoro potrebbe cambiare. La marcia in più dello smart-working, con o senza l’impatto di una vita più rilassata, è di sicuro il risparmio per il datore di lavoro e per il dipendente. Lo smart work garantirebbe un aumento della produttività in media del 5,5%. Il che assicurerebbe una maggiore ricchezza per 27 miliardi alle imprese. A cui bisognerebbe aggiungere 10 miliardi di costi in meno, principalmente determinati da spazi aziendali ridotti. Con benefit inclusi per il bilancio pubblico: 4 milioni di euro in meno a carico dei cittadini ed emissioni di CO2 ridotte di 1,5 milioni di tonnellate.

I dati, almeno in Italia, non sono entusiasmanti e soltanto il 5% dei lavoratori ha uno stile di lavoro da “Smart worker”. Si registrano comunque segni di cambiamento. Regus, fornitore di spazi per il lavoro flessibile, ha esaminato il grado di diffusione dello smart-working con interviste a 26mila dirigenti d’azienda di 90 Paesi diversi. Ne è venuto fuori che quasi la metà (il 46%) dei manager ha dichiarato di lavorare in maniera flessibile per il 50% della sua settimana, con un rimbalzo di produttività fino a +76% registrato dalla società italiane che hanno adottato schemi più elastici nell’organizzazione della giornata lavorativa. I feedback sono anche emotivi: il 66% degli intervistati si dice più motivato nell’alternanza casa-azienda, il 25% la ritiene cruciale per la responsabilizzazione di giovani alle prima esperienza contrattuale.

Nelle multinazionali e in generale nelle aziende maggiormente digitalizzate, questo tipo di lavoro è già una realtà. Ibm, Deutsche bank, Coca-Cola, Coop, Telecom, Sanofi, Shell, Bpm sono solo alcuni dei nomi più vicini al telelavoro. Ma la vera rivoluzione sarebbe introdurre l’home-working anche in realtà di dimensioni più ridotte. “È per questo motivo che è importante favorire la digitalizzazione delle nostre aziende”, aggiunge Mosca. Per Barbara Saltamartini ad avvantaggiarsi delle nuove norme sarebbero soprattutto “le imprese, con uffici più piccoli in condivisione che potranno ridurre i costi mentre chi lavora riuscirà ad avere un po’ di flessibilità anche a proprio vantaggio”. Irene Tinagli di Scelta Civica pone l’accento su una questione cruciale: “La crisi non sia un alibi per rimandare le innovazioni in materia di lavoro. Al contrario, questo è il momento di agire perché attraverso lo smart work le nostre aziende sarebbero più competitive”. Lo slogan di chi da sempre è favorevole al divano è “Work smarter, not harder”, ma non bisogna dimenticare che lavorare sodo resta alla base di ogni scalata professionale.

Tratto da Notapolitica.it

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:26