Un’onta lavata dopo nove anni

Le nuove Generali (inglobate Ina Assitalia, Toro, Lloyd Italico e Augusta e ceduta Fata a Cattolica), con 100 miliardi di attività sono la più grande compagnia di assicurazione d’Italia. Segue il colosso delle Coop, UnipolSai, leader assoluto nel mercato danni e Rc Auto che ha inglobato l’ex impero assicurativo di Ligresti (Fondiaria, Sai, Milano e Premafin). Venti miliardi di premi contro 16,8 miliardi; 1,6 miliardi di utili contro 0,75. 240 miliardi di Bpt in pancia che le rendono entrambe vulnerabili alle rating agency americane.

L’Unipol è così infine riuscita a divenire una stella di prima grandezza nel panorama finanziario. Oggi opera tramite Unipol Sai, Linear e Unisalute; nel settore bancario tramite Unipol Banca, Unipol Sgr, Banco Popolare, Popolare di Sondrio, Popolare dell’Emilia Romagna e Banca Intermobiliare con 15.200 dipendenti, 13,5 milioni di clienti, 11.900 agenzie e sub-agenzie e 300 filiali bancarie.

In un mondo in cui lo scontro politico avviene più nella battaglia delle aziende che in quella delle sezioni, la società bolognese di via Stalingrado viene spesso indicata come il primo asset del mondo cooperativo e del mondo sindacale, a loro volta storici sostenitori del centrosinistra. Nel contesto della crisi un patrimonio aziendale, pari all’intero debito pubblico statale, potrebbe sorprendere come strumento politico economico d’intervento d’autonomo rispetto allo stesso Stato. Invece, la storia cominciata nel 1963 ad opera di cooperative bolognesi ed emiliane con la Federcoop di Bologna, sta tornando al punto di partenza. Secondo il sindacalista torinese Uilca, Andrea Rochas, il management del nuovo colosso vuole legare i propri destini alla città di Bologna, nominata quartier generale del nuovo gruppo. Su 8165 lavoratori coinvolti nell’operazione, gli esuberi previsti erano 2240. Dopo Firenze, anche i 1500 dipendenti di Torino rischiavano di sparire dalla grande assicurazione in una mobilità selvaggia fatta di trasferimenti obbligatori a Milano e Bologna. Nell’anno della grandeur, Unipol ha dovuto subire l’ira delle categorie del credito (Fisac Cgil, Fiba Cisl, Uilca, Fna e Snfia), anche per la scadenza triennale del contratto, in assemblee aperte nel piazzale della ex Fontana davanti alla sua sede e diversi scioperi finchè a gennaio è stato trovato un accordo. Rispetto all’ira dei lavoratori, l’atteggiamento confederale è più distaccato. La Fisac, ufficio studi Cgil, si preoccupa che la tedesca Allianz e la francese Axa abbiano margini di solvibilità (197% e 233% ) ben superiori a Generali e Unipol che, anche per il maggiore indebitamento, avrebbero bisogno di più capitali.

Un punto di vista simile a quello aziendale, più attento ai rientri patrimoniali che al capitale sociale. Se il Pd è il partito di Mps e Intesa San Paolo, del partito Repubblica-Rai, della magistratura, delle municipalizzate e della media e grande burocrazia, lo dovrebbe essere anche del lavoro dipendente, almeno impiegatizio e della grande centrale sindacale Cgil. Quest’ultima, però, al di là delle sparate demagogiche usate contro i nemici politici, fluttua da tempo in uno strano limbo, tra l’antico antagonismo lasciato alla Fiom e il mai raggiunto senso della collaborazione proattiva di mercato. Quando l’amministratore, il Governo o l’azienda appartiene al suo stesso campo politico, Cgil perde tutta la sua forza antagonista. Gli scioperi degli ultimi due anni mentre si perdevano 1,5 milioni di posti di lavoro, sono stati una manciata, rispetto agli anni berlusconiani.

E il giorno di San Valentino il servizio d’ordine lombardo Cgil ha impedito di parlare agli esponenti Fiom, la cui voce, nel tempo della staffetta Letta-Renzi, suonava inopportuna. Si dice che gli ultimi Governi non abbiano avuto senso. Durante la loro gestione però, Mps è stata salvata, il gruppo Fiat è uscito dall’Italia mentre conquistava del tutto il “Corrierone” avviandone la fusione con la Stampa mentre Mediaset ha sbalzato Sky dal monopolio calcistico mettendo un uomo proprio a capo de La7. Soprattutto Unipol che era stata svillaneggiata nel suo tentativo di conquistare Bnl nel 2005, ha fatto suo l’impero Ligresti, cancellando il siciliano sopravvissuto anche alle condanne di Tangentopoli. Nessuno pensava che Unipol potesse tentare tanto dopo la fine dell’Opa lanciata su Bnl nel 2005, bloccata da Draghi e dall’Ivass (Vigilanza Assicurazioni) e che condusse sei anni dopo alla condanna dell’ex Governatore di Bankitalia Fazio e dei vertici Unipol (l’ex presidente Consorte, il vice Sacchetti, il direttore Cimbri) oltre che alla Popolare di Lodi, Bper, Hopa e Mps.

Vigilanza e magistratura, a loro insaputa, condannarono la cordata italiana per il danno arrecato agli spagnoli del Banco di Bilbao, spianando la strada ai francesi di ParisBas. Poi salvarono la faccia, prima con l’appello del maggio 2012 che assolveva tutti tranne Consorte e Sacchetti; poi con la sentenza di dicembre della Cassazione che annullava l’appello facendo finire tutto in prescrizione. Dopodiché l’occhio si è spostato sull’impero Ligresti, che via via con la Premafin Hp costituita nel 1986, aveva conquistato le storiche Fondiaria di Firenze del 1879 e Sai (Società Assicuratrice Industriale nata per assicurare i rischi industriali) del 1921. Fin dal 1997 Ligresti, condannato da Tangentopoli, aveva perso l’onorabilità necessaria agli incarichi in Premafin e, dopo in Fondiaria, incorporata in Sai nel 2003 e portata a Torino nel 2009 con il nome di Fondiaria-Sai.

Per questo motivo Premafin era controllata da un patto di sindacato interno alla famiglia Ligresti. Tra il 2009 e il 2012, all’improvviso Fondiaria- Sai perde fino a 2,8 miliardi, inutilmente frenate da 1,8 miliardi di ricapitalizzazione. La vox populi giustifica il tracollo per gli eccessi della famiglia, finché Mediobanca, storico partner della famiglia, non costringe i Ligresti a cedere tra 2011 e 2012 Premafin, Milano e FonSai non senza che gli accordi non facciano scattare indagini verso la banca e arresti sulla famiglia che opportunamente esce di scena. Parallelamente, imbeccata da vari uccellini, Unipol si prepara agli eventi: così nel 2011 delle 40 cooperative che comandavano nella storica ex finanziaria di controllo Holmo, ne restano solo 11 (le scatole Pantheon, Posto, Finpar, Ligurpart, Margherita, Holmo del Tirreno, Sopafin, Cooperare due, Par. coop, Finbon di altrettante Coop) concentrate nel nuovo controllore di Unipol, la Finsoe. Scaricati 130 milioni sulle coop di serie B, sono più contenti anche i creditori (per 187 milioni il Monte dei Paschi di Siena, già socio con il 13% fino al 2008; Carige per 56 e Popolare Emilia Romagna per 16) tutti amici e collaboratori.

È contenta Paribas che ha avuto il controllo totale di Bnl Vita. È contenta l’Allianz cui tocca il portafoglio premi da 1,7 miliardi della ex Milano (1300 tra agenti e dipendenti), passato lo scorso 14 gennaio. Sono contente Mediobanca, Pirelli e Rcs, dai cui capitali Unipol è uscita. Tutto nel 2005 le andò male. È contenta la famiglia Cancellieri con il pargolo che esce e entra dalle grandi aziende con grandi gruzzoli. È contenta Generali che alla fine esprime il presidente Telecom. È contento il Governo. Plaudono la destra e la sinistra. Questa volta nessuno, non il caso né la dea bendata e nemmeno Antitrust, Consob e Ivass, ostacola via Stalingrado che il 6 gennaio scorso brinda i quasi 2mila miliardi di capitale della fusione di Unipol, Milano e Premafin in Fondiaria Sai, rinominata UnipolSai.

L’onta del 2005 è stata 9 anni dopo lavata ed i riccioli dell’ad Cimbri chiamano al trionfo dopo aver rischiato da direttore generale condanne definitive, chiusesi con la prescrizione. Un trionfo del movimento cooperativo e di Legacoop? Gli unici scontenti restano i lavoratori, che, si sa, sono dei conservatori attaccati ai vecchi marchi. I soliti agenti politicamente corretti cercano di scaricare tutte le colpe sui Ligresti, ma non vengono accolti bene. I lavoratori diffidano degli intrighi di Mediobanca, che in fondo è creditrice dei vecchi come dei nuovi proprietari. Fanno loro paura le indagini che nel tempo hanno la tendenza, nell’ansia di fare giustizia, di azzerare i posti di lavoro. Digeriscono gli accordi per must politico che non fa sparire la paura degli esuberi, dato che al giorno d’oggi nemmeno i buoni risultati ne ostacolano l’eventualità. Pensano: “Undici scatole finanziarie con 2mila miliardi di capitale davvero sono il movimento cooperativo e sindacale? O sono il kombinat politico- industriale emiliano? L’Unipol è delle coop, di Legacoop e di Cgil? O è vero il contrario?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:21