Euro o non Euro, posizioni e deliri

Più si approssima la scadenza elettorale delle Europee e più cresce il surreale dibattito sulla cosiddetta sovranità monetaria. Politici di professione e parvenu di ogni risma si stanno scatenando in un delirio irresponsabile contro l’euro, considerato il principale problema della nostra traballante economia. Ora, su questo piano, in Italia ci sono grosso modo tre posizioni ben distinte.

La prima, sostenuta da coloro i quali ambiscono a tornare alla valuta nazionale, tende ad attribuire per l’appunto alla moneta unica la principale responsabilità delle nostre difficoltà economiche e finanziarie; la seconda - assai rappresentata nei maggiori partiti di governo - vorrebbe restare nell’euro, ma ricontrattando coi nostri partner i già laschi vincoli di bilancio imposti dai trattati comunitari; la terza - portata avanti da una sparuta minoranza - considera l’euro solo uno standard monetario sovranazionale molto più rigido di quello precedente targato lira, e per questo propedeutico per una maggiore responsabilità dei vari esecutivi sul piano del bilancio pubblico.

In soldoni, ciò significa che se uno Stato perde quella che i fautori della svalutazione competitiva definiscono sovranità economica, chi governa non potrà contare sulla compiacenza della propria banca centrale per coprire le proprie magagne, inondando di liquidità il sistema. E da questo punto di vista se l’Italia dovesse dare retta ad alcuni cervelloni del calibro di Barnard, Bagnai e Borghi, spesso presenti in tv a perorare la causa di una nostra uscita dall’euro, gli effetti sarebbero a dir poco devastanti. In sostanza, la credibilità di un Paese indebitato fino al collo, fin qui incapace di portare avanti uno straccio di riforma strutturale (checché ne dica il premier Letta, specialista negli annunci) e, per questo motivo, letteralmente inchiodato sul piano della crescita, precipiterebbe a livelli infimi.

Questo provocherebbe un immediato contraccolpo sui tassi d’interesse, ripercuotendosi a caduta sull’intero meccanismo che regola i finanziamenti interni. In altri termini, una volta che la politica italiana si fosse ripresa la prerogativa di emettere moneta - poiché in sostanza sarebbe codesta la traduzione concreta della citata sovranità economica - nessuno impedirebbe alla logica politica del deficit spending di finanziarie con ulteriori debiti - dato che la moneta di carta è sostanzialmente un debito che qualcuno dovrà prima o poi onorare - la propria ricerca di consenso.

D’altro canto, se bastasse aumentare i titoli di credito in circolazione per rimettere in ordine l’economia, tornando a far crescere il relativo valore aggiunto, non si comprende per quale motivo la Bce si ostinerebbe a voler tenere bassa l’inflazione, attraverso un controllo abbastanza severo della moneta. La verità e che, nonostante ciò che pensa l’esercito di keynesiani in servizio attivo permanente, la ricchezza si crea solo con il lavoro organizzato e finalizzato a produrre beni e servizi che qualcuno è disposto liberamente ad acquistare. Questo è l’unico modo per consentire a qualunque banca centrale di aumentare la massa monetaria. Il resto sono chiacchiere e distintivo ad uso e consumo di chi vuole continuare a redistribuire ricchezza di carta, pur di non acquisire nuovi consensi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:27