Saccomanni, ministro a sua insaputa

Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni è formidabile: riesce a dire la cosa giusta e riesce sempre a fare quella sbagliata. Non è dato sapere quale consideri corretta, ma sicuramente abbiamo una mezza idea su quale delle due reputi più comoda. Nel corso dell’ultima audizione in Commissione, ad esempio, il nostro ministro ha dato il meglio di sé affermando che la competitività non richiede maggiore spesa pubblica, ma maggiore efficienza e regole più semplici. “Le risorse reperite nel triennio (2014-2016) - prosegue il ministro - individuate in modo tale da minimizzare l’impatto negativo sull’economia, sono pari a 40,7 miliardi (9,7 nel 2014, 12,8 nel 2015 e 18,3 nel 2016).

Un quarto del totale (3 miliardi nel 2015 e 7 miliardi nel 2016) dovrà derivare dal processo di revisione della spesa. A regime, dal 2017 tale processo può determinare risparmi pari ad almeno 10 miliardi. Eventuali inferiori risparmi di spesa verrebbero compensati da variazioni di aliquote d’imposta e dalla riduzione di agevolazioni e detrazioni fiscali; per cautela tali risorse sono state contabilizzate tra le maggiori entrate”. Ecco subito la prima falla nel ragionamento del ministro: se l’Esecutivo dovesse dare prova di inefficienza nel ridurre la spesa pubblica, il fallimento si scaricherà sulle tasche dei cittadini sotto forma di un aggravio fiscale.

Non c’è che dire, ottimo sistema! Tipico di un “ministro per caso, no Alpitour” che gioca a promettere rigore e sgravi con le clausole di salvaguardia pagate da altri. Non contento, Saccomanni aggiunge che “certamente le misure che rafforzano la tracciabilità dei pagamenti sono importanti e le terremo in considerazione: è necessario prevedere in questo campo una riduzione del ruolo del contante nei pagamenti, perché la tracciabilità si ottiene solo attraverso l’utilizzo di canali rilevabili”.

Tutto giusto se non fosse che psicologicamente “il nostro eroe” si concentri sempre su metodologie atte ad accrescere i flussi in entrata. Come a voler dire che affamare la bestia statale è cosa buona e giusta, ma nel frattempo diamole da mangiare. Verrebbe da chiedergli chi pagherà le commissioni bancarie che gli istituti di credito chiedono per ogni transazione elettronica, come si regoleranno i cittadini attempati o le categorie svantaggiate ma tanto il nostro Saccomanni è ministro “a sua insaputa” e mica si pone certi problemi, tutto intento com’è a blaterare del nulla.

Ma la “madre di tutte le baggianate” è quella relativa al cuneo fiscale: dopo aver affermato che è necessaria una cura radicale per far crescere l’Italia reduce da 20 anni di stagnazione (a parole è veramente forte), parlando del cuneo fiscale ci ha tenuto a specificare che “poiché nessuno ipotizza di finanziare gli interventi per la riduzione del cuneo fiscale aumentando il disavanzo, chi è favorevole a misure più incisive dovrebbe indicare quali spese ridurre o su quali maggiori entrate fare affidamento”.

Il compito di un Ministro è quello di stabilire se le risorse destinate ad un dossier siano sufficienti o se risultino inefficaci ad approcciare un problema. Siccome il ministro non è il notaio del Parlamento ma fa parte di una roba che si chiama Esecutivo, dovrebbe assumersi la responsabilità dei provvedimenti che adotta e non fare mezze leggine di facciata lasciando la patata bollente al Parlamento. Il vero problema è che i fondi che il Governo riteneva di poter mettere in campo sono stati dispersi in mille rivoli, con la risultante che su nessuna problematica si raggiunge una massa critica di risorse capace di poter incidere.

Forse sarebbe stato più opportuno abbandonare la logica notarile tanto buona a non scontentare nessuno e fare poche cose ma bene; questo se avessimo avuto una guida capace di razionalizzare le risorse scarse e non un ministro “a sua insaputa”. Il titolare di via XX Settembre sicuramente è cosciente del fatto che, se da una parte l’aumento dell’aliquota Iva determinerà nei prossimi mesi un’impennata dei prezzi al consumo, dall’altra la dimensione dell’intervento sul cuneo fiscale è talmente irrisoria da non riuscire a privilegiare il lavoro e la produzione, oltre che non sostenere i consumi compensando un bel niente. Aggiungiamo che mentre l’Iva aumenta per tutti, il “cuneetto” fiscale non impatta su circa 25 milioni di persone. Ma questo è un problema per cui il nostro Ponzio Pilato Saccomani lo demanderà al Parlamento pensando: e mica sono il ministro io!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:18