Privatizzazioni, il gioco delle tre carte

Non si era ancora asciugato l'inchiostro dalle pagine di "Destinazione Italia", dal quale pare che "un programma di privatizzazioni e dismissioni avrebbe numerosi vantaggi", che nella nota di aggiornamento al Def abbiamo letto che le previsioni sugli incassi da privatizzazioni per i prossimi anni passano dall'1 allo 0,5% del PIL. Ad essere riviste al ribasso sono state le entrate preventivate da Vittorio Grilli, di per sé non tremendamente ambiziose.

Da una parte, dunque, abbiamo nuovi annunci e l'ennesima collezione di misure per la crescita: a parole, le privatizzazioni fanno sempre parte del menù. Dall'altra, l'esperienza concreta di quanto vago (per esser gentili) sia l'impegno dei decisori a dismettere il patrimonio dello Stato: cosa che, sin qui, è stata pensata sostanzialmente come l'equivalente finanziario del gioco delle tre carte. Pare che l'obiettivo sia fare le privatizzazioni facendo a meno dei privati. Apprendiamo che presto arriverà il via libera di Bankitalia e Consob per l'sgr del Tesoro Invimit, che con in pancia 800 milioni dovrebbe cominciare ad acquistare immobili dal Demanio.

L'altro buon samaritano pronto ad investire nel mattone di Stato sarebbe la Cassa Depositi e Prestiti - che la politica ormai sembra considerare un Bancomat a propria disposizione. E' una forma di gattopardismo economico: cambiano i proprietari formali, ma a controllare un certo bene saranno sempre gli stessi. Insomma, in un Paese tarantolato da una tassazione proibitiva e proprio per questo incapace di centrare gli obiettivi di finanza pubblica, complice un'economia stagnante, gli asset dello Stato al massimo passano da una tasca all'altra. Mentre altri Paesi (come la Spagna) vendono sul serio, cioè a compratori veri e non eterodiretti dal venditore, noi sprechiamo la cartuccia delle dismissioni.

Purtroppo questo tipo di operazioni hanno un significato solo contabile perché, ai fini Eurostat, possono far balenare una (modesta) riduzione del debito e avvicinare i parametri, o allontanare (nel tempo) le sanzioni. Non ingannano, però, i mercati, anzi danno una sensazione di opacità sempre maggiore che non porterà né crescita economica, né riduzioni dello spread. Le privatizzazioni senza privati hanno le gambe corte.

Editoriale Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:36