Tlc sotto la custodia dei partiti

Concretezza vuole che l’Agenda Digitale e lo sviluppo dell’economia digitale, ormai di assoluta preminenza mondiale su tutti gli altri settori, non possano trascendere dalle sorti del comparto telefonico (Tlc) e della sua principale impresa, Telecom Italia, l’unica rimasta nazionale (e solo in parte). Non possono perché conditio sine qua non del digitale è la velocità di trasmissione e di accesso ai dati Tlc. Se i consumi sono per valore metà digitali e metà materiali, sono maggioritarie le componenti digitali di produzione, commercio e servizi. Non esiste la sbandierata arretratezza italiana nel settore; la terza economia europea si nutre di consumi digitali. Manca, come in tutt’Europa la produzione. Gli europei, però di fronte all’aggressione asioUsa, hanno usato gli aiuti pubblici esattamente come avvenuto per energia, banche, auto, ecc. In Italia, salvate Finmeccanica, Enel, Eni, Poste, auto e le banche, si sono lasciati alla deriva, per scelte partitiche, produzioni, come chimica, acciaio e Tlc.

Malgrado ciò, proprio la leadership d’innovazione ha retto soprattutto quando per un decennio le sconfitte sul lato hardware e software sono stati annullati dalla vittoria del gsm europeo sugli standard Usa. Oggi il digital divide italico non sta nella sua economia duale, che è un dato assoluto di tutta l’economia ma è la somma dell’assenza di intervento pubblico (con le eccezioni ottime del piano digitale lombardo) con le aggressioni giuridica e partitico-finanziaria alle Tlc. Anche qui, i guai giurisprudenziali non sono un caso isolato. Con Telecom e le altre telco sono alla sbarra, Desio, Unicredit, Mps, Rcs, Ilva, Sai, Intesa, Finmeccanica, ecc. ecc.: una compagnia così ampia da suscitare dubbi sulle accuse stesse. Nelle Tlc c’è la particolarità dell’uso interno della giustizia nella lotta interna al managenent, secondo una pratica, si può dire, centenaria, della sinistra. Non a caso Sip è divenuta Telecom con la messa in stato di accusa dell’ex numero uno dell’ex azienda Iri e sulla stessa falsariga pende eterna la questione delle sim Tim false, stranamente pubblicizzata dall’azienda medesima. Si è concluso il processo sullo spionaggio Tovaroli, la gravità dei cui famosi dossier potrebbere non sembrare dissimile dalle solite intercettazioni sfuggite o dai consueti gossip Dagospia o dai libri di Travaglio, Gomez e Stella.

Telecom e la dignità dei politici e giornalisti di sinistra sono state risarcite, anche a spese di un giornalista di Famiglia Cristiana, e di altri comprimari che dovranno pagare milioni allo Stato, sempre che non li salvi la prescrizione. Dopo 5 anni, per il caso Iva telefonica, riciclaggio internazionale da €2 milioni, sono stati chiesti 7 anni cad. di galera, al fondatore Fastweb Scaglia ed all’ex Ad di Sparkle, società dell’internazionale Telecom, Mazzitelli. Prove documentali sul primo non ce ne sono, quanto al secondo, subito cacciato con ignominia, ha riavuto indietro nel 2012 immobili, conti e titoli, già sequestrati, perché non legati a profitti derivanti dalle accuse. Scaglia con tanto di vignette di Vincino si difende a spada tratta, Telecom no. Nel frattempo Fastweb è divenuta svizzera, Sparkle è decaduta e Telecom ci ha rimesso 500 milioni.

Il nuovo capo all’internazionale Telecom, successore di Mazzitelli, l’ex veltroniano capo Acea Andrea Mangoni, si è appena dimesso da AD Tim Participacoes e da Tim Brasil, forse per le eccessive promesse di investimenti in Brasile. La partecipata brasiliana, l’unica che aumenti l’utile nel Gruppo Telecom, è sempre più autoctona, con un management carioca, dopo le dimissioni imposte dalla giustizia dell’altro chief, Luciani. Coincidenza vuole che le idee di sviluppo dei manager considerati vicino al centrodx, li abbia portati in tribunale. Oggi vengono scaricati anche quelli del centrosx, forse per le scelte scellerate (ed assenza di giustizia) dell’indebitamento addossato a Telecom da Colannino nel ’99. forse per evanescenza ed incapacità. Adesso al posto di Mangoni, a capo della finanza Telecom c’è il montiano figlio dell’ex ministro Cancellieri, garanzia, in un’azienda già spremuta fino all’osso, di ancora maggiori risparmi, di aggressivi tagli di costo che non potranno che pesare sul conto dei lavoratori e sull’impoverimento dell’indotto, del comparto in generale e quindi di tutta l’Agenda Digitale. L’altro vulnus è partitico-finanziario. Il 1° febbraio è stato firmato il nuovo contratto Tlc, con un aumento base in 2 anni di 135€, ora all’approvazione dei 160mila lavoratori del settore.

Subito Moody's ha ribassato il rating Telecom a Baa3 con outlook negativo, vuoi per i risultati 2012, vuoi per il taglio del dividendo del 54% agli azionisti, chiamati per la seconda volta a sacrifici comuni dopo gli accordi di solidarietà. L’azionariato si divide tra le banche italiane e la spagnola Telefonica della controllante Telco (22,4%) e 430mila azionisti, italiani per il 26,6% e stranieri per il 50,1%. Telco è blindata fino al 2015, con possibilità però di recesso nel 2013. Per scongiurare quest’ipotesi il titolo Telecom verrà svalutato da 1,5 a 1,2€, riducendo le perdite a 100 milioni cad. per Mediobanca e Intesa, a 300 per Generali e 400 per Telefonica. Il debito, il peccato originale Telecom e quindi delle tlc italiane, anche dopo la cura triennale da cavallo messa in campo da Bernabè, resta oltre i €28 miliardi che tra i 16 di investimenti preventivati ed i 3 del nuovo prestito dei bond ibridi appena emesso, suonano alle orecchie dei mercati come un rosso da €43 miliardi. Il debito originario di Colannnino, con il sostegno del centrosinistra, fu di £61mila miliardi, cioè €31,5 miliardi. Dopo 13 anni, è aumentato di 12 miliardi, al netto della vendita di gran parte delle attività internazionali, degli immobili, della distruzione dell’informatica e del calo dei dipendenti Telecom, passati, come ricorda, Ugliarolo della Uilcom, in 10 anni da 120mila a 48mila.

Il debito costringe Telecom a vendere di corsa La7 alla Cairo Communication dell’omonimo presidente del Torino calcio, sua concessionaria pubblicitaria. L’offerta di Urbano Cairo di 90 milioni (oltre 200 di debito della Tv di Mentana) è inferiore ai €300 milioni offerti dal fondo Clessidra che puzzava troppo di berlusconismo. Ma lascia a TiMedia i remunerativi 3 multiplex sul digitale terrestre del valore di €350 milioni. Come il debito anche su questa vendita pesano i partiti, con l’improvvisa proposta di una cordata montista di Della Valle, già azionista Rcs - Corrierone e dalla trasfigurazione de La7, divenuta in 2 anni una seconda Rai3, esempio di televisione militante giustizialista di sinistra. Dopo aver paventato l’acquisto de La7 da parte del leader Pdl, ora per Mentana anche Cairo appare “vicinissimo a Berlusconi”. La filiera tlc parte dalla fibra posata sotto terra, dalle backbones sui fondi oceani, dai satelliti nello spazio e dagli hotbox urbani; si sviluppa per apparati di rete e data center, tlc mobili, fisse, voip, hw e sw in tutte le varianti, apparecchi individuali, contenuti digitali, dalla pubblicità all’editoria e cinema. Come si vede, moltissime cose, che sono un’unica cosa e che muovono oggi verso l’interiorizzazione negli oggetti stessi del web.

Dopo la scomparsa, colposa o meno, di Cecchi Gori, l’impossibilità di partnership con la Rai e Murdoch, il mercato Tv, parte cruciale del digitale, si identifica in Mediaset, gruppo europeo presente in Italia ed Spagna, mentre Google ha già superato in pubblicità la Rai. Telecom non ha imboccato, se non in modo raffazzonato con cubovision, la via del futuro interattivo della Tv web-connessa. Dietro l’alibi del debito c’è stata la soggezione alla partitica, ad un modello in cui non è Internet che si espande negli schermi televisivi, ma la è la Tv dei parashow parapartitici che viene riproposta pari pari sul web. L’arretratezza dei vertici manageriali e politici ripropongono lo stesso errore fatto nel ’97 all’epoca della madre di tutte le privatizzazioni, quando non l’informatica, oggi rappresentata da Facebook e dagli Over The Top, venne posta alla guida delle Tlc, come avveniva nel mondo, ma avvenne il contrario. I nemici ideologici del consumismo di Internet sono sempre al vertice, confermati con Decina all’Agcom. Si rivede un copione già scritto: l’informatica mondiale domina sulle tlc, ma l’IT italiano è finito. Domani l’Internet mondiale dominerà sugli schermi televisivi anche nostrani. La Tv e l’audiovisivo italiani finiranno come Sanremo, ridotto ad un festival Arci. La partitica cui gli imprenditori di Alleanza per Internet si rivolgono passivamente solo per avere commesse, si muove contro l’evoluzione tecnologica e contro il mercato senza peraltro sostenerli. Come si vede dal dibattito attorno al La7, alla classe dirigente non interessano le eventuali secche dell’innovazione. Il suo metro di giudizio è il manuale Cencelli applicato alla custodia cautelare dei mercati tecnologici, da conservare per sé e amici, anche dovessero morire di asfissia. A pagarne il fio saranno in parte i consumatori, del tutto i lavoratori e le competenze indipendenti della società.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:28