L'ambientalismo anti economico

Le fonti da intemperie, come abbiamo più volte definito da queste colonne le cosiddette rinnovabili, sono un cancro dalle molte metastasi che si insinua nell’organismo economico produttivo sano in molte allettanti forme con suadenti slogan quali “decrescita felice”. Una volta attecchite, le metastasi prendono il sopravvento e si sviluppano a spese dell’organismo ospitante, sino a distruggerlo.

Come un cancro dalle molte metastasi l’impennata del costo del chilowattora dovuto al proliferare delle fonti da intemperie, soprattutto sole e vento, distrugge molti più posti di lavoro di quelli fatui ed eco assistiti, magicamente creati con motivazioni “verdi” sulla falsariga dei posti da forestali di certe regioni meridionali. Poi arriva la decrescita ed invece di brindare si scopre che non è felice, ma è di lacrime e sangue.

La situazione andrà inoltre a peggiorare perché l’assorbimento del costoso chilowattora prodotto da tale fonte ha priorità su quelli tradizionali più economici, per cui il forzoso e tanto agognato “risparmio energetico” si abbatterà paradossalmente sull’aliquota di minor costo, di conseguenza l’onere della componente più costosa è destinato ad accrescersi nella media ponderale del mix energetico, facendo ulteriormente aumentare il prezzo medio del chilowattora, come avvenuto in Sardegna che, a causa della sua insularità, è la prima regione a sperimentare gli effetti recessivi provocati dall’impatto delle fonti da intemperie, catastrofici sul piano umano e sociale, tutt’altro che la tanto sbandierata “decrescita felice”.

Una ulteriore conferma ci arriva da un lancio Agi di ieri, che riporta le dichiarazioni di Roberto Bormioli, Presidente della Confindustria della Sardegna Centrale, il quale denunzia «la grave situazione che in questo momento interessa il sito di Ottana rischia di determinare la chiusura di 30 imprese e la perdita di 500 posti di lavoro», paventando un effetto domino a seguito dell’annunciata fermata della centrale elettrica del gruppo Clivati a Ottana. «Oltre le realtà di Ottana Energia e Ottana Polimeri che contano 230 lavoratori diretti - puntualizza Bormioli - si rischia di mettere in crisi sia le altre aziende insediate nel sito industriale che tutte le piccole imprese appaltatrici, sia locali che esterne, che operano nei settori dei trasporti, delle manutenzioni e dei servizi». Purtroppo non esistono altre soluzioni se non quella di cambiare radicalmente l’approccio culturale.

Occorre azzerare le regalie a queste assurde soluzioni di elettrogenerazione “ecologica” e fare ricorso a produzioni economiche del chilowattora, quali ad esempio, come sostenuto dal Comitato Italiano per il Rilancio del Nucleare, Cirn, quella nucleare. Esiste un tipo di centrale, avanzatissimo sotto tutti i profili compreso quello della sicurezza, con consegna garantita in trentasei mesi dall’apertura del cantiere all’erogazione ai morsetti. Ma i Sardi non hanno voluto e non vogliono il nucleare; sono stati i primi, anticipando il pronunciamento nazionale ad esprimerdi in tal senso con un referendum popolare. Preferiscono fare ricorso a queste costosissime e perniciose forme di produzione di energia elettrica?

È loro diritto, glielo riconosce il riformato Titolo V della Costituzione. Poi se ne assumano tutte le responsabilità, compresa quella della “decrescita felice”, che dalle reazioni di piazza e dalle violente manifestazioni sembra poi essere meno felice di quanto decantato. Non possono fare delle scelte e poi pretendere, mettendo a ferro e fuoco Roma, che il governo centrale ripari alle catastrofi che ne sono derivate. Ai sensi del Titolo V la questione energetica è materia di pertinenza regionale, sono loro a dovere trovare una soluzione. Ad onor del vero una soluzione autoctona è stata avanzata e formalizzata. È quella della politica del cardo, per giunta selvatico.

*Segretario del Comitato Italiano per il Rilancio del Nucleare

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:47