Il caso Ilva e la morte della siderurgia

Ruggiero Capone «Dopo Taranto toccherà a Genova?», questo si chiedono i tanti addetti agli altiforni. Il provvedimento della magistratura potrebbe in qualche modo velocizzare la politica italiana di dismissione di altiforni e conseguente produzione di tubature, tondini e manufatti in acciaio e ghisa. Produzioni che, come ben noto, vengono sempre più spesso incrementate nell’Europa orientale, dalla Romania fino alla Russia, e senza dimenticare la Cina. Con l’arrivo dei custodi nominati dal gip, sono di fatto cominciate le procedure per eseguire materialmente il sequestro di sei impianti dell’area a caldo dell’ Ilva di Taranto. I tecnici sono incaricati dal gip di «avviare le procedure tecniche per il blocco delle lavorazioni e per lo spegnimento».

Verso mezzogiorno di ieri i quattro custodi sono giunti all’interno del siderurgico tarantino: hanno incontrato la dirigenza dell’Ilva, e per stabilire le procedure di chiusura totale degli impianti. Richiederanno tempi lunghi: il completo raffreddamento del cuore dell’altoforno. Gli operai sanno bene che la condanna a morte degli altiforni è segnata, solo un miracolo potrebbe permette il riavvio delle produzioni. Ieri i custodi hanno colloquiato col presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante: in tutto sono quattro, uno di loro s’occuperà della dismissione del personale, mentre gli altri tre sono incaricati di portare a spegnimento ogni impianto. Ma chi sono questi custodi, soprattutto che caratteristiche hanno? Barbara Valenzano è dirigente al “servizio tecnologie della Sicurezza e Gestione dell’emergenza” presso la direzione Scientifica dell’Arpa Puglia, nonché componente del Comitato tecnico regionale prevenzione incendi: la Valenzano è coadiuvata da Emanuela Laterza, funzionario presso lo stesso servizio, e da Claudio Lofrumento (funzionario presso il servizio impiantistico e rischio industriale del Dipartimento provinciale ambientale di Bari). Gli aspetti amministrativi riguardanti la gestione del personale verranno seguiti dal presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti di Taranto, Mario Tagarelli, che potrebbe essere coadiuvato da altri collaboratori.

Questa sorta di patibolo su 50mila posti di lavoro in tutta Italia non va giù agli operai. Ieri, una delegazione di alcune decine di lavoratori dell’Ilva di Taranto è entrata nell’aula del consiglio comunale del capoluogo ionico: ovviamente l’irruzione ha inceppato l’assemblea cittadina. Nel corso del consiglio del comune di Taranto dovevano essere decise iniziative sulla vicenda del siderurgico: ma nessun accordo unanime è stato nel consiglio comunale. Ora i lavoratori attendono gli esiti dell’incontro tra il procuratore generale di Lecce, Giuseppe Vignola, e rappresentanti aziendali dell’Ilva: colloquio che stato rinviato a data da destinarsi. Certo l’arresto di otto tra dirigenti ed ex del siderurgico non aiuta alcuna trattativa sul sequestro dello stabilimento. Il presidente Ferrante aveva chiesto di essere ascoltato come persona informata sui fatti, ma l’incontro non c’è più stato. Gli operai speravano venisse sospeso lo spegnimento dei forni, e in attesa del pronunciamento del Tribunale del Riesame: venerdì prossimo dovrà decidere sulla richiesta di scarcerazione dei dirigenti e sul provvedimento di sequestro. Ma il tempo della siderurgia sembra terminato.

Ieri in Regione Puglia s’è anche insediato il gruppo di lavoro che dovrà stilare la valutazione del danno sanitario: era già previsto dalla legge recentemente approvata dal consiglio regionale della Puglia, e per abbattere le emissioni inquinanti e procedere alla bonifica delle aree a rischio ambientale di Taranto. Tra gli stabilimenti al centro dell’intervento ci sono anche quelli delle aree industriali di Brindisi. L’assessore regionale all’Ambiente, Lorenzo Nicastro, sottolinea in una nota che si dà «così corso operativamente alla recente legge approvata dal Consiglio regionale». Nicastro ha anche annunciato «la programmazione, per giovedì prossimo, di un nuovo incontro delle professionalità coinvolte tra assessorato alla qualità dell’ambiente, assessorato alla salute, Arpa e direzioni delle Asl di Taranto e Brindisi».

«La legge sulla valutazione del danno sanitario - sottolinea Ettore Attolini (assessore regionale alla Sanità) - costituisce un elemento di innovazione in un territorio, nel campo della connessione causa-effetto, del tutto inesplorato. È necessario, proprio per la delicatezza dei temi e per la novità del campo in cui ci si muove, di ponderare le scelte e lavorare entro una cornice metodologica ben definita, fissando obiettivi a breve termine ed immaginare anche scenari di breve e medio termine». Tutti i partecipati all’incontro (si legge in una nota della Regione Puglia) hanno convenuto sulla «straordinaria urgenza ma anche sulla complessità del lavoro cui si va incontro visto che, in Italia e non solo, manca una case history: ciononostante è evidente che la valutazione del danno sanitario relativo a carichi ambientali da attività industriali ha una ricaduta forte in termini sociali e di servizi socio-assistenziali e costituisce, quindi, uno straordinario strumento al fine di ridistribuire i carichi del danno». «La legge sulla valutazione del danno sanitario - conclude Nicastro - per la nostra regione è un fiore all’occhiello, sia in termini di innovazione della norma che di tutela della salute. Il lavoro delle strutture tecniche di assessorati, agenzie regionali e Asl sarà quello di fornire a quella legge gli elementi che ne permettano l’attuazione in tutti i suoi aspetti».

Ma sull’incremento della disoccupazione non si legge nemmeno una riga da parte della Regione Puglia: il presidente Vendola sembra latitare. Dopo quattro ore di dibattito e battibecchi tra il sindaco di Taranto, Stefano Ippazio, e gli ambientalisti, il Consiglio comunale ha approvato un ordine del giorno che mette insieme inquinamento e lavoro: si legge della «preoccupante situazione ambientale e produttivo occupazionale verificatasi in seguito alle vicende dell’Ilva». Il documento impegna il sindaco a compiere tutti gli atti necessari, tra cui l’attivazione di una «cabina di regia per Taranto», per il governo del territorio e quindi dell’ambiente in una visione equilibrata che coniughi il diritto al lavoro con quello alla salute... Ma ormai la siderurgia è finita in Italia, altri 50mila operai (da Taranto a Genova) sono entrati nell’esercito degli zombie che chiede lavoro, provvidenze, ammortizzatori sociali.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:19