Il martedì nero di Monti

È il primo "Black Tuesday" dell'era Monti: Piazza Affari ha lasciato sul terreno il 5% (maglia nera in Europa) e lo spread ha superato i 400 punti per la prima volta dall'inizio di febbraio. Da giorni lo spread era tornato a schizzare in alto, ma non ad occupare le aperture dei tg e delle pagine online dei grandi quotidiani. Con Berlusconi al governo, ogni punto in più bastava a provocare una nuova e sempre più alta fiammata dello psicodramma nazionale, mentre ogni punto in meno non veniva nemmeno rilevato; con Monti ogni punto in meno giustifica squilli di trombe, mentre le risalite vengono taciute finché è possibile, altrimenti, come in questo caso, parte la caccia alle variabili esogene.

La realtà - attenuante per Berlusconi ieri e per Monti oggi - è che l'andamento del differenziale tra i nostri titoli di Stato decennali e i corrispondenti tedeschi è stato sempre per lo più "agganciato" a variabili esterne che hanno a che fare con la crisi dell'Eurozona e la debolezza dell'economia globale. Ieri era la crisi greca a trascinare in su lo spread, oggi la Spagna. E se Monti si dice preoccupato del contagio spagnolo, il governatore della Banca centrale iberica risponde puntando l'indice sui «passi indietro italiani». Non c'è dubbio che in questi giorni abbiano giocato il loro ruolo fattori come i dati sulla disoccupazione americana e le importazioni cinesi, che hanno indotto gli investitori a spostare capitali dalle Borse ai titoli di stato tedeschi, allargando quindi lo spread. Ma come per Berlusconi, anche per Monti è innegabile che siano anche fattori endogeni a non consentirci di sganciarci una volta per tutte dalla prima linea della crisi dell'Eurozona. Ieri fu la bocciatura della manovra di luglio dell'ex ministro Tremonti da parte dei mercati a innescare l'inarrestabile ascesa dello spread; oggi è l'annacquamento della riforma del lavoro a denotare, ancora una volta, l'impossibilità di realizzare vere riforme nel nostro Paese, quindi la scarsa credibilità del sistema Italia. Percezione che la figura di Monti ha potuto solo attenuare.

Trova sempre più conferme, inoltre, la prospettiva di una recessione più acuta del previsto, a causa della stretta fiscale concentrata tutta sul lato delle tasse anziché dei tagli alla spesa. Il governo si preparerebbe a rivedere al ribasso la stima del Pil per quest'anno: da un calo dello 0,4/0,5% inserito nel Def trasmesso al Parlamento nel dicembre scorso, insieme al decreto "Salva-Italia", ad un -1,3/1,5% che verrebbe presentato a breve. Dopo un solo trimestre una stima peggiore addirittura di un punto percentuale. E ben oltre quel -1% su cui Monti ha calcolato le misure per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013. Un obiettivo che rischia di sfuggire di mano, considerando che anche l'altro parametro su cui si è basato il premier, il rendimento sui titoli decennali ai livelli di fine novembre (6%), sta per essere raggiunto. Come se non bastasse, il sottosegretario Giarda e il viceministro Grilli confermano che il governo non ha alcuna intenzione di tagliare la spesa pubblica - la spending review servirà solo a rendere sostenibile il livello attuale, non a tagliare spesa e tasse - né di abbattere lo stock del debito con le privatizzazioni.

Indubbiamente l'insediamento del governo Monti e i suoi primi passi avevano fatto tornare sul nostro Paese un clima se non di fiducia almeno di attesa, che però si sta lentamente diradando alla prova dei fatti. La stampa business internazionale e gli investitori esteri stanno scoprendo il bluff dell'Italia. Riforma delle pensioni a parte, solo tasse - che come prevedibile stanno deprimendo la nostra economia più di quanto il governo avesse previsto -, riforme cosmetiche (liberalizzazioni e semplificazioni) o pessime (lavoro). I mercati cominciano a spazientirsi e a vedere nel governo Monti i soliti vizi dei governi italiani: annunci, trionfalismi, ma poi inconcludenza, una montagna che partorisce topolini.

Ci si aspettava che sotto la spinta dell'emergenza, e grazie alla competenza e alla serietà personale, Monti riuscisse a riformare l'Italia, disinnescando la vera e propria bomba all'idrogeno del nostro debito prima che arrivassero a lambirla gli altri incendi divampati nella Santa Barbara dell'Eurozona. A parte la riforma delle pensioni, invece, delle indicazioni contenute nella lettera di agosto della Bce e degli impegni assunti con l'Ue dal precedente governo, poco o nulla di fatto. 

Naturale che i dubbi sulla nostra affidabilità stiano tornando. Nelle scorse settimane lo spread Italia-Germania si era ridotto a tal punto da retrocedere, dopo molti mesi, rispetto a quello spagnolo, che nel frattempo aumentava. Mentre negli ultimi giorni, proprio in corrispondenza con la «resa» del governo sulla riforma del lavoro - così l'ha definita il Wall Street Journal - il nostro spread è tornato a rincorrere quello spagnolo. E il Wsj continua a picchiare duro, osservando come Monti abbia «finito con il dover annacquare la riforma dell'articolo 18, che garantisce il posto fisso a vita». Il che è «preoccupante». Le regole «obsolete», ricorda infatti il quotidiano, sono «la principale causa della grave situazione in cui si trova il mercato del lavoro in Italia». Un tasso di occupazione del 56,9%, una disoccupazione giovanile del 31.9% (peggio solo Grecia, Portogallo, Spagna e Slovacchia). Il «dualismo» del mercato del lavoro, provocato dall'articolo 18, viene definito «disastroso per la crescita e gli investimenti». Le aziende sono disincentivate ad assumere a tempo indeterminato o convertire i contratti temporanei in permanenti; i lavoratori disincentivati a cambiare lavoro, le aziende ad assumere oltre i 15 dipendenti e ad aumentare la produttività dei lavoratori temporanei. «Se i giudici potranno ancora obbligare le aziende a reintegrare i lavoratori, continuerà a prevalere l'incertezza. E se il compromesso - conclude il Wsj - lascerà le aziende ancora con l'impressione di non poter assumere e licenziare, un'occasione d'oro sarà stata mancata».

Se la primavera del 2013 è l'orizzonte politico su cui può contare Monti, la sensazione è che i mercati siano molto più impazienti. Mesi, se non settimane, per dimostrare che l'Italia è capace di riformare se stessa. L'autorevolezza di Monti e gli aiuti della Bce ci hanno fatto guadagnare tempo prezioso, ci hanno fatto arrivare ai supplementari, ma adesso stanno scadendo anche quelli e il pareggio non è un opzione.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:45