Indovina chi viene a pranzo per il compleanno della nonna, nel nuovo spettacolo di Carlo Buccirosso “Qualcosa è andato storto!”, in scena alla Sala Umberto fino all’11 gennaio 2026? Due figlie, la maggiore (Stefania Aluzzi) sposata con un tabaccaio (Peppe Miale), il quale da una vita litiga con suo cognato, il primogenito di casa Postiglione, l’avvocato Corrado (Carlo Buccirosso), che naviga perennemente in acque professionalmente tormentate. Ed è sempre lui che risulta inviso a sua madre, malgrado sia lì per festeggiarne i suoi “primi” 80 anni nella bella casa di campagna di lei, dove vive assistita dai due nipoti, il primo (Fabrizio Miano) figlio di Corrado, che è diventato medico disoccupato dopo appena 13 anni di infruttuosi studi. E c’è poi l’altra, Matilde, brillante e bella, adamantina e sincera come una Vergine delle Rocce, interpretata da una bravissima Elvira Zingone, nel ruolo di figlia ribelle della Aluzzi e di Miale, che dimostra un’invidiabile presenza scenica con il suo pieno controllo delle battute dialettali, dotata com’è di un’ottima postura teatrale. Infine, il gaio quadretto, appeso a rovescio, della discordia familiare è completato dalla sorella minore di Corrado, Amalia (Fiorella Zullo), zitella che alterna fidanzati a ritmo quadrimestrale e che intende presentare alla famiglia il suo ultimo compagno (Matteo Tugnoli), parrucchiere bolognese. Una figura di contorno quest’ultimo, decisamente imbranato, che vorrebbe diventare trasparente durante i vari alterchi familiari, provando lo stesso imbarazzo di tutti gli estranei che per la prima volta si trovano (involontariamente) al crocevia di relazioni familiari storicamente “incasinate”. Situazioni queste ultime molto frequenti un po’ in tutti i gruppi di persone, caratterizzati da una miscela di pari/impari, per cui il soggetto esterno debole viene vittimizzato e fatto soggetto dall’inner circle, per pura sfida e/o antipatia.
Proprio come accade al malcapitato parrucchiere, preso a male parole dal frustrato avvocato Postiglione, ogni volta che lo sgradito ospite entra nel suo campo visivo, preso casualmente tra i due fuochi di un diverbio frizzante e urticante tra l’avvocato e i suoi parenti. Lui, zio Dodò, vero/finto cerbero del gruppo di famiglia in un interno, si trova a dover gestire le sorelle che complottano e si sgambettano a vicenda per l’eredità materna, avendo casualmente rinvenuto due diverse e contrastanti versioni testamentarie autografe, che l’anziana seminatrice di zizzania ha disseminato nei più disparati nascondigli della casa. Oggetto dell’infinita contesa tra l’avvocato e il cognato tabaccaio è un gratta e vinci da 15mila euro, che l’anziana ludopatica (Tilde Di Spirito) avrebbe vinto una tantum, dopo aver dilapidato nel gioco il suo intero patrimonio, decimato la pensione e ipotecato la casa. Quel tagliando vincente, secondo la vulgata familiare, lo avrebbe indebitamente intascato suo genero, dopo averlo fatto sparire. Una commedia, quindi, dolceamara, in cui la responsabilità della cura dell’anziano è trasferito per procura ai giovani della famiglia che, paradossalmente, rinunciano a farsi una vita per adempiere una missione fuori dal tempo e dalla logica.
Ma che il tempo shakespeariano sia uscito fuori dai cardini è del tutto evidente in questa nuova commedia di Buccirosso, di cui l’attore è regista e autore. Infatti, il primo paradosso ruota in modo scombinato sull’arte della cura: come possono i nipoti conviventi e il genero che le vende i gratta e vinci ignorare o tollerare la seria ludopatia dell’anziana donna? Ma se, come accade nella commedia, lo stesso nipote, medico per forza, si incaglia in una semplice iniezione, mentre le figlie si fingono premurose badanti solo nelle rare occasioni conviviali, quale significato avrebbe questo ritrovarsi in riti stanchi e ipocriti in attesa dell’ineluttabile? Ma, l’altro aspetto che fa di una famiglia un tappeto di chiodi, sul quale nessuno dei suoi componenti può mai riposare in pace, nasce da quelle inspiegabili ostilità profonde e rancorose, che crescono come gramigna dopo una lunga semina infruttuosa di affetti senza radici, in cui le ombre di un sospetto si tramutano in colpa certa, senza evidenze a prova di dubbio. Così l’infamia del cognato “ladro” circola come il venticello della calunnia, impregnando di rabbia e sospetto (tipici dei fatti immaginati che non si possono provare) gli eredi legittimi dell’anziana madre, inquinando persino l’animo nobile di Matilde arrivata ad accusare suo padre di furto. E, nell’epilogo, sarà lei l’unica che metterà riparo a questa ignobile calunnia, chiedendo scusa per questa sua colpa, come farà anche zio Dodò, stringendo la mano a quel suo cognato antagonista di sempre.
Anche se si può star certi che la vis polemica reciproca, imperlata di battute al vetriolo, troverà un altro argomento vero/finto per rinnovare a vita questi indimenticabili duelli rusticani fatti di parole. Sì, perché in fondo, il frustrato (l’avvocato Postiglione), se intelligente e teatrante disinvolto, con l’orecchio assoluto per la battuta, troverà sempre sulla sua strada un soggetto più debole e remissivo, come il povero parrucchiere fidanzato della sorella Amalia, su cui sperimentare il suo esercizio di potere, per superiorità e brillantezza di linguaggio. Ma sono le parole, i motteggi, le caricature dialettali particolarmente efficaci l’elemento dinamico di rottura/cesura, un cuci e scuci delle relazioni affettive tra consanguinei e parenti acquisiti, che scorrono come acqua di torrente scendendo sempre verso il basso e mai risalendo verso l’alto, per un gesto consolatorio di limpido affetto che tarda a venire o non verrà mai. La vera protagonista dello spettacolo è una vera, inguaribile stipsi degli affetti, che impedisce il parto verbale persino di un semplice “ti voglio bene”. Per cui l’atto spontaneo, la carezza innocente e liberatoria di tutte le tensioni rimane pietrificata nel gesto sempre incompiuto, come se l’humanitas familiare si fosse tramutata in una statua di sale. Allora, se la famiglia è il ritratto della società, la nostra rimane in sottofondo solo una civiltà della rabbia.
Aggiornato il 22 dicembre 2025 alle ore 16:25
