La conciliazione tra fede e ragione è un nodo centrale della filosofia medievale, un dibattito che affonda le radici nell’aristotelismo mediato dalla culture islamica, ebraica e cristiana da Mosè Maimonide (1135-1204) e San Tommaso d’Aquino (1225-1274). Maimonide armonizzò Aristotele con la teologia ebraica, Tommaso con quella cristiana. Questo scambio fiorì in contesti multireligiosi, specie nell’Italia meridionale. Infatti con Federico II (1194-1250), re dei Romani, di Sicilia e imperatore del Sacro Romano Impero, l’Università di Napoli (fondata 1224) divenne un nodo culturale di grande rilievo, tanto che invitò a insegnarvi proprio lì lo studioso Jacob Anatoli (1194-1258), allievo di Samuel ibn Tibbon (traduttore della Guida dei perplessi di Maimonide), il quale con Michele Scoto diffuse Averroè, Aristotele e Tolomeo tra ebrei e latini. Nel XIV secolo, Roberto d’Angiò (1277-1343), re di Napoli, continuò questa tradizione culturale con Yehuda ben Moshe Romano (Leone Romano, 1292-dopo 1330) il quale tradusse in ebraico estratti della Summa Theologica di Tommaso, testi di Alberto Magno, Egidio Romano e Alessandro di Hales; viceversa, dall’ebraico al latino opere come il Liber de Causis (attribuito ad Aristotele) e il De Substantia Orbis di Averroè, favorendo la ricezione cristiana. Queste traduzioni bidirezionali resero l’aristotelismo (riveduto) pilastro del pensiero occidentale, in un flusso continuo di idee e conoscenze.

Mosè Maimonide, nato a Cordova e attivo in Egitto, rappresentò il culmine della filosofia ebraica medievale influenzata dall’aristotelismo in quel periodo. Nella Guida dei perplessi (testo arabo del 1190; testo ebraico tradotto da Samuel ibn Tibbon del 1204), risolve i conflitti tra rivelazione biblica e razionalità aristotelica. Presenta infatti Dio come motore immobile e intelletto agente, re-intrerpretandoli però in chiave allegorica per allinearli alla Torah. Gli attributi divini così diventano negativi, ed anti-antropomorfici. Per Maimonide pertanto la fede non è un atto emotivo, ma una forma di conoscenza: credere significa comprendere razionalmente la verità su Dio e sul mondo. L’adesione autentica alla Torah non consiste quindi nell’accettare passivamente ciò che la Scrittura dichiara, ma nel penetrarne il significato autentico attraverso l’intelletto. La fede perfetta è così quella che unisce l’osservanza alla conoscenza filosofica, conducendo l’uomo alla sua massima perfezione: la comprensione di Dio. Come nota Howard Kreisel (studioso israeliano di filosofia ebraica medievale, professore emerito di filosofia Ebraica all’Università Ben-Gurion del Negev), Maimonide “giudaicizzò Aristotele”, rendendolo compatibile con la rabbinica. Nel pensiero di Maimonide, l’incontro tra la tradizione ebraica e la filosofia greca assume la forma di una mediazione sapienziale, nella quale l’aristotelismo non è accolto come sistema estraneo, ma come strumento capace di affinare lo sguardo umano sul divino. Costituiscono l’eredità di Aristotele: il primato della ragione come perfezione umana tale che la filosofia non contraddice la Torah; la stratificazione cognitiva: la scrittura ha senso esteriore (per tutti) e interiore (per filosofi); la causalità metafisica: l’universo ordinato da cause e fini e la provvidenza nella razionalità naturale; le norme teleologiche: i precetti etici mirano a creare una morale in vista di una società giusta.

San Tommaso d’Aquino che cita Maimonide come “Rabbi Moyses” nella Summa Theologica (1265-1274) afferma che la ragione è subordinata alla fede (ancilla theologiae) e pertanto dimostra verità teologiche, come l’esistenza di Dio attraverso le “cinque vie”: ex motu (tutto si muove da un primo motore immobile, Dio); ex causa (serie di cause richiede una causa prima incausata); ex possibili et necessario (contingenti implicano un essere necessario); ex gradu perfectionis (gradi di perfezione puntano a una perfezione somma, Dio); ex gubernatione (anche le cose inanimate tendono ad un fine da un’intelligenza ordinatrice, Dio, che le dirige). Le assonanze tra Maimonide e Tommaso d’Aquino emergono soprattutto nella concezione della conoscenza divina, atemporale, non soggetta a mutamento e capace di conoscere la contingenza senza esserne causa. La profezia è intesa in entrambi come una forma elevata di intuizione intellettuale. I due condividono anche una visione armonica del rapporto tra fede e ragione.

In questa prospettiva, il principio “credo ut intelligam”, credere per comprendere, viene arricchito dal razionalismo aristotelico che entrambi impiegano come supporto della teologia. Tommaso adatta potenza-atto, materia-forma, cause aristoteliche alla rivelazione cristiana: il Motore Immobile diventa il Dio creatore. Su eternità del mondo, come Maimonide, nega dimostrazione razionale; creazione ex nihilo è di fede. Entrambi peraltro affronteranno dure critiche: Maimonide per il suo allegorismo interpretato dagli ambienti più retrivi come eretico, Tommaso per l’uso della filosofia che per i più conservatori veniva ritenuta un rischio per la saldezza della fede. Oggi entrambi i pensatori offrono ancora una chiave per interpretare l’universo, non come caos probabilistico, ma come topos interconnesso e auto-riflessivo, proiezione di un ordine olistico e dinamico, dove fede e ragione non si oppongono, bensì co-emergono. Più che un’eredità statica, la tradizione aristotelica medievale appare così come un processo dinamico in cui la verità lumeggia grazie al confronto continuo tra livelli differenti di conoscenza e interpretazione. Il dibattito su fede e ragione oggi acquista pertanto rinnovata rilevanza di fronte a sfide come l’intelligenza artificiale, le neuroscienze e il transumanesimo. Scienza e religione, fides et ratio, non hanno altra scelta che quella del dialogo con senso dell’umano per affrontare utilmente questo confronto.

(*) Il tema è stato affrontato più ampiamente dall’autore al XXIX Convegno nazionale di studi promosso dall’Ascu. (Accademia siciliana cultura umanistica e dalla Fondazione Thule Cultura) presieduto e condotto da Tommaso Romano, “La luce della sapienza nel magistero di San Tommaso d’Aquino” il 13 dicembre a Palermo presso la Chiesa di Sant’Antonio Abate. Al convegno hanno dato adesione l’Università Popolare Cattolica Montemurro D’Ippolito, la Real Compagnia della Beata Maria Cristina di Savoia, l’Isspe, Civitan International, il Baliato di Santa Maria degli Alemanni dell’Ordine Teutonico. Il patrocinio morale è stato del Comune di Palermo – Assessorato alla Cultura.

Aggiornato il 17 dicembre 2025 alle ore 15:15