“La canzone napoletana è diventata un prodotto di consumo: chi la fa rap, chi pop, chi rock, e poi tanto, tanto neomelodico. Io cerco di riportare al centro dell’attenzione quella classica: non pretendo di esserne il salvatore, studiarla attentamente e riprodurne l’anima profonda è sempre stata la mia grande passione”.
Un signore che si esprime così non può che chiamarsi Gennaro, ma un Gennaro elegante, lontanissimo dagli stereotipi uè uè uè. Parla con competenza, ma senza fanatismo, gli piace spiegare senza annoiare, diffondere senza imporre nulla.

Però la musica raramente rende abbastanza, così Pisapia, a quattordici anni, inizia a studiare canto, ma a venti è fattorino in una ditta di trasporti internazionali, dove farà carriera. E potrà anche organizzare quattromila concerti con due gruppi, i Cimarosa, e i New Cimarosa, con i quali inciderà diversi dischi e si esibirà nelle fiere del turismo di molti Paesi del mondo.
In passato Gennaro Pisapia non ha disdegnato arrangiamenti jazz, e con i New Cimarosa ha proposto versioni alternative. Ma ora, questo signore senza tempo è diventato la colonna sonora di uno dei luoghi più preziosi e raffinati di Napoli, il chiostro e il complesso monumentale di Santa Maria la Nova dove si esibisce con il Gruppo Smeraldo, l’ultima formazione che lo accompagna, formata da quattro polistrumentisti di grande valore.
Magia è un termine abusato da troppi scribacchini per enfatizzare qualunque cosa. E Gennaro non pensa minimamente a effetti speciali o trame psicologiche per piccole masse: inizia il concerto con Era de maggio, evitando di piazzare, come fanno tanti, all’inizio della scaletta, pezzi interessanti, ma meno conosciuti, per poi arrivare a un brano che scatena sentimenti molto forti.


La semplicità con cui il gruppo si esibisce dimostra che il cuore di tutti noi non è schiavo di coreografie, effetti speciali e furberie più o meno improvvisate. E questo signore con una pochette bianca che fa capolino discreto da un vestito grigio, è nemico giurato di ogni eccesso: perché nessuno mai potrebbe caricare di emozioni improvvisate “e diceva: core, core! core mio, luntano vaje / tu mme lasse e io conto ll'ore/chisà quanno turnarraje?”.
La canzone napoletana non va spiegata, la poesia arriva a noi per strade celesti. Ma raccontata, questo sì. Certamente, quando, all’inizio del concerto, Pisapia introduce un esperto professore di latino e greco, ci si aspetta con sottile terrore una lectio magistralis sulle radici e su tutto quello che forse non ci interessa.
Invece appare un signore con cappello di paglia e papillon rosso, con in mano il suo libro best-seller, “NapoLotto”. Un vero spasso, capace di far vivere le storie partenopee come se ci si trovasse in un vicolo del rione Sanità intorno a un personaggio del mondo di Bellavista.

La canzone napoletana è un dono, e si dice che Gennaro abbia saputo per vie traverse che la mamma di un amico giornalista stesse per compiere novant’anni. Senza dire niente a nessuno, prese la chitarra, saltò sull’automobile e partì per l’Emilia dove era riuscito ad arruolare un mandolinista napoletano. Inimmaginabile l’emozione di questa signora nell’ascoltare le melodie che i due le dedicavano, poi, di nuovo in macchina e ritorno a Napoli. Il giornalista non si occupava di spettacoli, ma di tecnologia, e la serenata fu un atto di puro affetto.
D’altra parte, è un fatto che lui sia nato un ventinove settembre. Ed era dunque un destino che, seduto in qual caffè, ci raccontasse a bassa voce una Napoli meravigliosa che non ha bisogno di retoriche consunte o di finti castelli neo-melodico-cafoni.
Pensandoci bene, grazie al suo amico professore, perché non proviamo a diventare ricchi? Sabato sarà Santa Lucia, cioè 13 (giorno), 15 (occhi) e 26 (messa).
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Aggiornato il 10 dicembre 2025 alle ore 14:19
